martedì 16 luglio 2013

Un futuro incerto (VIII): l'alba

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Dopo la guerra con la Francia, la Svizzera aveva dispiegato una parte importante dei suoi effettivi alla frontiera occidentale, convinta che se ci fosse una minaccia, sarebbe venuta dal lato francese. La prosperità degli ultimi anni avevano portato la Svizzera, fra le altre cose, ad una certa inconsapevolezza su quale fosse la situazione al di là dei propri confini. Certo era che nei territori della vecchia Germania la gente delle diverse nazioni che ora occupavano il suo territorio avevano avuto due anni consecutivi di carestia. Quando già nel mese di aprile i termometri di alcune zone della Germania segnavano più di 30 gradi Centigradi e si anticipava una nuovo anno di raccolti mediocri, il popolo tedesco perse la pazienza. I diversi Lander crearono un grande esercito unito e si lanciarono con decisione alla conquista della Svizzera.

La qualità delle armi e la preparazione militare dell'esercito tedesco erano molto basse, ma ciò che gli dava forza era il suo numero schiacciante: un esercito di più di 100.000 uomini disperati, che avevano perso tutto o erano sul punto di perdere tutto. I piccoli reparti svizzeri alla frontiera non poterono far fronte ad una tale marea umana e furono letteralmente spazzati via. I tedeschi, con una maggioranza di truppe a piedi, avanzavano ad una velocità inusitata, radendo al suolo ogni cosa al loro passaggio. Avvertito da un messaggero venuto direttamente dal Ministero, Gianni si vide obbligato a scappare da Zurigo nella notte, accompagnato da Margueritte. Questa fuga fece infuriare un Gianni ormai stanco di fuggire. Ciò che gli invasori non sapevano è che stavolta era preparato.

Nelle periferie di Zurigo, vicino al suo primo impianto che ora era stato ampliato, Gianni aveva diversi capannoni vigilati da uomini di sua fiducia – persone buone che aveva salvato dalla rovina e alle quali aveva dato vitto e alloggio, gente preparata e con conoscenze tecniche e militari di base. In quei capannoni conservavano una dozzina di carri armati, con una corazza impenetrabile anche da proiettili di grande calibro, ma straordinariamente leggeri grazie agli strati laminati di fibra di carbonio. I blindati trasportavano al loro interno centinaia di proiettili di grande calibro e di pallottole per mitragliatrice, leggeri ed inseribili, fatti a loro volta in fibra di carbonio e spinti da esplosivi a base di idrogeno e metanolo. Data la leggerezza e la manovrabilità dei blindati, la loro eccellente corazza e la terribile potenza di fuoco che erano capaci di sviluppare, quei dodici blindati furono in grado di fare strage di tedeschi. La battaglia fra gli invasori e quella piccola forza blindata durò soltanto un paio d'ore e fini per diventare un esercizio di tiro al piattello. Quella notte, fra invasore ed invasi, ci furono più di 10.000 morti in territorio svizzero. I generali che comandavano l'esercito tedesco, vedendo che nemmeno sacrificando i suoi uomini migliori erano in grado di avvicinarsi ai blindati, decise di sciogliere l'esercito e di ritirarsi nel proprio territorio. Almeno 5.000 altri tedeschi furono fatti prigionieri nella loro fuga disordinata, anche se pochi di loro sarebbero arrivati vivi al carcere.

Dopo l'attacco folgorante dei tedeschi, centinaia di chilometri quadrati del nord della Svizzera erano diventati poco più che case crollate e coltivazioni perdute, falciate e schiacciate dal passaggio di quella truppa abbruttita. La gente che abitava in quella terra ora insudiciata, coloro che avevano potuto fuggire e rimanere in vita, ormai non potevano più riceverne pane e sostentamento almeno fino al raccolto seguente. E a ricostruire le case, le fattorie, i pagliai... ci sarebbero voluti mesi e molte famiglie di contadini non potevano nemmeno permetterselo. Zurigo si era liberata dalla barbarie per via dell'azione rapida di Gianni. Man mano che i blindati espellevano i tedeschi verso il loro paese, il paesaggio di desolazione che avevano lasciato diventava sempre più evidente per Gianni, che contemplava tutto ciò dall'alto di una collina a nord di Zurigo. Fortunatamente, pensò, Margueritte era in salvo, lontano, nelle retroguardie. Ma probabilmente altre Margueritte non avevano avuto la sua stessa fortuna quella sera nella quale, a tradimento, i tedeschi li avevano assaliti. Sentì un rabbia profonda, un odio alimentato dal risentimento di decenni in cui era stato umiliato da gente che considerava abbruttita ed inferiore. Ma stavolta no. Questa volta Gianni non era disposto a permettere che un tale affronto venisse cancellato così facilmente. Prese il suo la ricetrasmittente ed ordinò al comandante della sua flottiglia personale di blindati che inseguisse i tedeschi fino a Berlino se fosse stato necessario e che li annientasse.

I blindati, molto più veloci e potenti dell'esercito tedesco, fecero strage fra le truppe che si ritiravano, spaventate, fuggendo dall'orrore che si estendeva alle loro spalle. Lo stesso Gianni vide, attraverso le telecamere poste nel blindato del comandante, che i suoi blindati stavano scatenando una carneficina inimmaginabile. No, non poteva cadere nella stessa brutalità. Odiava quegli uomini che avevano messo in pericolo ciò che più amava al mondo: la sua università, la sua casa, il suo paese d'adozione, Margueritte... ma nonostante questo non poteva massacrarli come se fossero insetti. Ordinò ai suoi blindati di fermarsi e di dispiegarsi  in formazione occupando un'area di sicurezza in territorio tedesco.

Le settimane successive furono frenetiche per Gianni. Le sue fabbriche producevano blindati e dozzine, con tutte le loro munizioni ed esplosivi. Con il beneplacito del Governo Svizzero creò un protettorato in Germania, una zona cuscinetto, e tutto il resto della frontiera Svizzera fu militarizzata e vigilata dai nuovi blindati SPEG. In tutte le frontiere svizzere i controlli si fecero molti più serrati, limitando l'accesso agli svizzeri e alle persone con residenza o familiari nel paese elvetico. Oltre allo sforzo bellico e produttivo, Gianni fece generose offerte per la ricostruzione delle zone devastate, fino al punto che in quelle settimane spese metà della sua fortuna e col suo esempio ottenne che anche il Governo mettesse la sua parte.

Gianni odiava in modo viscerale ed irrazionale quella truppa di pezzenti che stavano per rovinare la sua opera, ma il suo cervello di scienziato lo spingeva a cercare di lasciare da parte i suoi pregiudizi e capire il perché. Centomila persone non si mettono d'accordo semplicemente perché sono malvagi; naturalmente c'era un motivo che aveva portato tanta gente ad agire in modo tanto brutale e concertato. Gianni fece visita al protettorato tedesco e parlò con decine di prigionieri e capì perfettamente cos'era successo. Mentre la Svizzera prosperava, la gente in Germania soffriva sempre di più. L'invasione era il mero prodotto della fame e la fuga da condizioni di vita sempre più miserabili. Niente di più semplice, niente di più prosaico.

Evidentemente il problema doveva essere generalizzato nel continente e probabilmente in tutto il mondo. Se Gianni voleva che il paradiso svizzero continuasse ad estendersi, non poteva abbandonare quelle migliaia di milioni di persone alla loro morte. La Svizzera non poteva chiudersi nella sua bolla, esibendo impudicamente la sua prosperità mentre il resto dell'Umanità soccombeva. Come sanno gli ecologi che studiano la dinamica delle popolazioni, nessuna barriera è sufficientemente forte da fermare la pressione di una popolazione sufficientemente grande e i blindati di Gianni potevano risultare efficaci per mettere in fuga più di un esercito o un'orda di sbandati di 100.000 persone, ma avrebbero finito per soccombere di fronte ad un attacco di un milione o due di persone, o più. C'era gente abbastanza in Europa da inondare letteralmente la Svizzera col proprio sangue e anche di più nella vicina Africa. E se la necessità continuava a spingere, alla fine sarebbero passati. E non solo quello. Un giorno sarebbero potute arrivare minacce da terre più lontane, alcune delle quali conservavano ancora alcune testate nucleari. Fortunatamente per il mondo, la maggior parte delle testate che conservavano le potenze nucleari erano state smantellate per sfruttare il combustibile nelle centrali nucleari quando l'uranio cominciò a scarseggiare negli anni 10, ma anche così un paio di ogive bastavano a mettere un piccolo paese come la Svizzera in ginocchio. Non c'era altra soluzione: doveva estendere la tecnologia all'Europa e al resto del mondo.

Dopo due settimane di discussione con il Ministero e molteplici contatti diplomatici, la Svizzera convocò una conferenza paneuropea a Berna per discutere i termini della condivisione della tecnologia SPEG, come passo preliminare alla sua estensione a tutto il mondo. All'incontro parteciparono osservatori di tutti i continenti, anche se alcuni di loro non riuscirono ad arrivare in tempo, data la precarietà dei mezzi di trasporto di quegli anni, questo nonostante il fatto che l'annuncio della conferenza fu fatto un mese prima della sua celebrazione. Dopo il discorso inaugurale del Primo Ministro svizzero, l'anfitrione dell'evento, la conferenza centrale fu quella di Gianni Palermo che spiegava le caratteristiche generali della tecnologia (i suoi requisiti, ma senza scendere nei dettagli di funzionamento) e abbozzava il suo potenziale su scala europea e globale. In realtà, Gianni proiettava numeri molto più modesti di quelli che offriva il vero potenziale della tecnologia SPEG, ma anche così si produsse un mormorio di soddisfazione fra i delegati – probabilmente non speravano di ottenere tanto. Gianni non si sentiva a suo agio nel partecipare a quel forum, anche se sapeva di doverlo fare. Nella sua testa aveva immaginato ciò che si aspettava di trovare a quella conferenza; vedeva sé stesso, umile professore universitario, che doveva parlare di fronte a decine di diplomatici con decenni di esperienza, una compostezza opprimente ed una notevole superbia, gente che ti fa sentire piccolo solo guardandoti dall'alto in basso. Ma invece di orgoglio e prepotenza con fine tatto diplomatico, Gianni si ritrovò a parlare ad una truppa di famelici, emaciati e pezzenti. Durante i pasti frugali delle cinque sessioni dell'evento, le loro distinte signorie divoravano il pane e la zuppa come se fossero prelibatezze. Dopo l'esposizione iniziale di Gianni, i delegati nazionali descrissero la situazione di ogni paese, spiegando le loro sfide a problemi più grandi, tutti diversi – desertificazione, mancanza d'acqua, inondazioni, bassa produttività agricola, tormente, epidemia – e tutti molto simili: con una fonte di energia affidabile, tutti quei problemi avrebbero potuto essere tenuti a distanza.

Dopo una breve giornata di lavoro coi delegati, durante l'ultima giornata dedicata alle conclusioni, Gianni espose un piano di espansione per i paesi europei con un tempo di realizzazione di circa cinque anni e per le prime esperienze pilota fuori dall'Europa; ma dedicò più della metà della presentazione a spiegare anche i limiti. Descrisse con molta precisione i problemi che si sarebbero presentati, a seconda della regione, se si fosse tentato di aggirare il limite di sostenibilità di ogni territorio, dando da intendere chiaramente che SPEG era l'ultima opportunità per l'Umanità e che se stavolta l'avidità e la sfrontatezza umana non fossero state tenute a bada, gli esseri umani sarebbero scomparsi inesorabilmente dal pianeta. Stabilì una quantità massima di energia per ogni territorio, che doveva essere destinata in primo luogo ad un'agricoltura sostenibile e alla produzione di acqua potabile a seconda della capacità del territorio, in secondo luogo a mantenere un livello sanitario corretto e degno e in terzo luogo all'educazione, nella quale i programmi di studio dovevano essere rivisti ed approvati dall'autorità accademica svizzera e nei quali andava data priorità alla formazione nel campo della sostenibilità e del rispetto dell'equilibrio naturale. Soltanto dopo aver adempiuto a queste tre necessità, a seconda del proprio livello di popolazione massima di carico rivedibile per ogni territorio, si sarebbe potuta usare tutta l'energia rimanente per altri usi, fino alla quota massima stabilita per il territorio.

La gestione della proprietà della tecnologia SPEG rimaneva in mano svizzera, che si impegnava a non negarla a nessun paese che aderisse ai suoi principi. La Svizzera diventava così il garante del benessere dell'Umanità e il paese più importante del mondo. Per la relativa sorpresa di Gianni, non ci furono proteste, non ci fu retorica contorta per cercare di arraffare più privilegi per gli uni a scapito degli altri. Fra i delegati c'era solo stanchezza e disperazione. I rappresentanti dei paesi europei e dei paesi pilota votarono ordinati e unanimemente l'accettazione incondizionata delle norme che erano state decise in quella conferenza. La conferenza si chiuse con tutti i delegati in piedi ad intonare l'Inno alla Gioia di Beethoven, che insieme alla bandiera svizzera diventavano il simbolo della nuova Europa e del nuovo mondo.

Cinque anni dopo il continente era irriconoscibile. Dopo grandi sforzi, alla fine la fame era finita e la vita prosperava di nuovo. La vita era ancora dura, ma sopportabile, in molti territori la cui capacità di carico si era ridotta, nonostante la tecnologia SPEG, a causa dell'inclemenza del Cambiamento Climatico. E la situazione era cangiante, per cui, almeno in Europa, non si poteva dar la battaglia per vinta. Nel Ministero Internazionale della Sostenibilità svizzero si lavorava intensamente rivedendo i programmi di installazione nazionale e fissando criteri standard per stabilire le quote energetiche e di uso di materie prime per ogni territorio. Fortunatamente al Ministero cominciavano ad arrivare le prime promozioni universitarie formate da Gianni, con molte idee nuove e progetti per il futuro.

Gianni aveva già compiuto settant'anni. Era seduto sulla panchina del suo giardino di fianco ad una giovane Margueritte nel pieno dello splendore dei suoi diciannove anni. Entrambi guardavano il giardino, dilettandosi del volo delle farfalle, contemplando una nuova primavera, fra le poche a meritare quel nome, trasformava il triste inverno in uno spettacolo di colore e vita.

- Un giorno dovrai porti di fronte a tutto questo, Margueritte – disse alla fine Gianni – Il resto del mondo sta ancora soffrendo. Il Ministero ha studiato nuovi progetti di espansione per l'Africa, l'America, l'Asia e l'Oceania, ma ci sono innumerevoli difficoltà. Siccità, tormente, il livello del mare che sale, quello delle falde acquifere che si abbassa... Il mondo è molto più grande dell'Europa e se è ancora difficile stabilizzare questo continente, al di fuori di esso la sfida è ciclopica. Ma è un nostro dovere: dobbiamo liberare l'Uomo dai suoi pesi. Non possiamo riposare finché un solo uomo soffre.

Margueritte sorrise e il suo volto si illuminò.

- Mi hai insegnato bene, so quello che devo fare e lo farò. Quando finirò gli studi all'Università mi prenderò in carico l'installazione internazionale e nel frattempo farò uno stage al Ministero della Sostenibilità – Margueritte prese la mano di Gianni e guardandolo coi suoi grandi occhi a mandorla gli disse in francese – Ormai puoi riposare, papà, proseguirò io il tuo lavoro.

Era la prima volta che Margueritte lo chiamava papà, anche se legalmente erano più di dieci anni che era suo padre. Forse perché parlavano quasi sempre in tedesco. Per dire quelle parole Margueritte aveva avuto bisogno di tornare alla lingua materna. Lui le diede un bacio sulla fronte e cominciò a piangere, e lei lo abbracciò.

- Non c'è mai stato un uomo migliore di te, papà.

- Non è vero Margueritte, ho fatto cose terribili.

- Tutti hanno fatto cose terribili in quegli anni, ho letto i libri di Storia. Ma tu hai saputo trovare la strada ed hai fatto più bene che male.

Dopo quel giorno, Margueritte unì i suoi studi all'Università, dove studiava fisica ed ingegneria, con la gestione degli impianti SPEG e il suo stage al Ministero per aiutare nella pianificazione sostenibile dei territori. Gianni a poco a poco gli cedette il passo e alla fine si incontravano soltanto per la gestione di uno spazio sostenibile comune: il giardino.

La Primavere successiva, prima dell'arrivo dei rigori dell'estate, Gianni fece un viaggio nostalgico a Roma. Non era più un uomo perseguitato, ma famoso e riconosciuto, anche se lui evitava di apparire in atti e omaggi pubblici. Col suo aspetto discreto, agli albori di una rispettabile anzianità, riusciva a non venire importunato e passare inosservato la maggior parte delle volte. Per arrivare in Lazio, il nuovo paese di cui Roma era la capitale, dovette attraversare mezza dozzina di paesi che solo venti anni prima non esistevano. I treni di quell'epoca andavano a velocità ridotte per ottimizzare l'efficienza energetica e, fra quello e i passaggi di frontiera, il viaggio per arrivare in Lazio durava più di un giorno. Ma Gianni non aveva più fretta: non aveva motivo di correre, visto che nessuno lo inseguiva. Al contrario, le guardie doganali lo salutavano con rispetto vedendo il suo passaporto svizzero e, vedendoci il suo nome sopra, si mettevano sull'attenti e molte volte gli allungavano ferventemente la mano. Uno lo abbracciò, addirittura. Fu proprio la guardia del passo di Serravalle, quel passo maledetto dove venti anni prima un gruppo di sbarbatelli, coltello alla mano, cercarono di prendere lui e Davide Rosi.

Il treno proseguiva nel suo lento tremolio. Il Piemonte e la liguria erano riuscite a conservare la propria rete ferroviaria in buone condizioni, ma in Toscana si notava l'abbandono di molti anni. Il Governo della Toscana, mettendo in pratica le direttive del Ministero svizzero della Sostenibilità, aveva completato la Fase tre di Rigenerazione Sostenibile del Territorio e stava dedicando i suoi sforzi alla strutturazione efficiente del territorio: Gianni vide molte macchina di fabbricazione svizzera che lavoravano per ripristinare a e fare manutenzione alla strada. Guardando quelle colline, Gianni non poté evitare un brivido, ricordando la sua città natale rasa al suolo dalle bombe incendiarie francesi. Ma ora la Francia non esisteva più e Parigi tornava lentamente ad essere quello che non avrebbe mai dovuto smettere di essere: un centro europeo della cultura e della scienza.

Poco dopo essere entrato in Lazio, Gianni ricordò un campo di riconobbe abbandonato. Le macchine lavoravano al suo smantellamento, un imperativo per la necessità di riutilizzare i materiali, ma anche dal punto di vista morale. Forse in quel campo erano morti Enrico Pozzi e tanti altri suoi compagni. E cos'era successo agli esiliati? Angelo santi ed alcuni altri naufraghi erano giunti a Zurigo, ma cosa era stato fatto di tutti gli altri? O avevano seguito altre destinazioni niente affatto promettenti? Gianni non poté evitare di pensare a davide Rosi ed alla sua triste fine, caduto da molto più in alto di tutti gli altri. Come sempre, la consolazione di aver aiutato Colette e i suoi figli era l'unico rimedio al grande dolore che gli provocava il solo evocarlo.

Gianni alla fine scese dal treno a Roma. Non c'erano ricevimenti ufficiali, nessuno sapeva che sarebbe arrivato quel giorno, anche se lo aspettavano per la settimana seguente (volevano dargli la Gran Croce d'Oro al merito Civile del Lazio, anche se Gianni dubitava che potessero trovare oro per una croce tanto grande). Si diresse direttamente ad un modesto hotel, molto diverso da quello che il Ministero della Sostenibilità laziale gli aveva riservato per la settimana successiva. Si registrò coi suoi nuovi documenti di identità laziali che il Governo di quel paese gli aveva fatto arrivare “a riconoscimento dei lavori prestati per la sua patria di origine”, ignorando il fatto che, stricto sensu, egli era laziale di nascita. Il proprietario dell'hotel non sapeva chi fosse Gianni Palermo, ma sapeva che i documenti erano in ordine e che l'ospite era economicamente solvente, visto che pagava in anticipo i quattro giorni di soggiorno.

Dopo essersi registrato all'hotel, Gianni se ne andò a passeggio per le strade di Roma, un po' senza sapere dove stesse andando o meglio senza rendersi conto di dove andava. Arrivò quasi senza pensarci nelle vicinanze di quello che era stato il suo laboratorio di ricerca, allo stesso colle da dove fu testimone del suo saccheggio e del suo incendio. Erano passati vent'anni e nessuno aveva recuperato quello spazio. Si intuivano le rovine sotto gli arbusti e i cespugli che davano un tocco di verde, anche se malinconico, all'insieme. Un grande cartello, leggermente sbiadito a causa della pioggia, annunciava la ricostruzione imminente del centro “con il contributi del Fondo Svizzero di Sostenibilità Europea”, anche se a giudicare dalla data – tre anni prima – erano stati più zelanti nel mettere il cartello che non a cominciare i lavori. Alcune cose non cambiano di luogo anche se cambiamo di paese, pensò Gianni.

Ovunque vide le devastazioni della guerra contro i francesi, che nonostante il tempo trascorso – e della poca resistenza degli italiani – erano ancora molto evidenti. Vide soltanto alcuni edifici ricostruiti nei quartieri più signorili, in alcuni casi con fondi svizzeri. Prese nota, per riportarlo al Ministero della Sostenibilità Internazionale, una volta di ritorno a casa. Sicuramente era molto difficile superare molte abitudini  negative dell'epoca precedente.

Passeggiando e quasi senza volere giunse al suo vecchio quartiere, nella sua vecchia strada, alla sua vecchia casa. La zona non aveva subito più degrado di lui da quei venti anni che erano passati da quando l'aveva abbandonata, zaino in spalla. Senza sapere bene perché, entrò dalla porta della sua vecchia casa e salì fino all'appartamento dove abitava. Era un appartamento relativamente modesto. Il suo stipendio da professore universitario, dopo i tagli ripetuti, non era da tutti, e lui, senza familiari a carico, aveva preferito spendere i soldi in viaggi. Pensava a questo guardando la vecchia porta di colore verde opaco. Era uguale a venti anni prima e non era stata ridipinta. Cosa era stato di tutte le sue cose, di tutto quello che lasciò con la sua fuga? Senza riuscire a reprimere l'impulso, bussò alla porta.

Gli aprì una bambina di circa otto anni. Per un momento a Gianni parve di vedere Margueritte dieci anni prima. Dall'interno si sentì una voce femminile, senza dubbio era la madre: “Chi è?”

- E' un signore molto distinto – disse la bambina – Sembra uno scienziato.

FINE


Antonio Turiel
Luglio 2013

Un futuro incerto (VII): la nuova Firenze

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Subito dopo aver adottato Margueritte, Gianni cominciò il progetto del primo impianto pilota. Per la sua localizzazione scelse un piccolo appezzamento che era stato di proprietà di Strauss. Quando accettò l'eredità, quell'appezzamento gli parve un'eccentricità del vecchio professore: si trattava di mezzo ettaro, poco produttivi dal punto di vista agricolo, in una zona petrosa e vicina a Zurigo. Non era frutto di una eredità precedente, come poté verificare nelle carte di registrazione: Strauss l'aveva acquisita prima della morte di sua moglie. Ma quando Gianni cominciò a cercare un luogo idoneo per l'impianto pilota, con le magre risorse di cui disponeva, si rese conto che quell'appezzamento riuniva in sé una serie di caratteristiche estremamente idonee per la generazione con la nuova tecnologia (che battezzò SPEG, acronimo di Strauss Palermo Energy Generation). Era tanto appropriata per quello scopo, che Gianni non aveva alcun dubbio sul fatto che Strauss avesse passato mesi a cercare una posizione così idonea e, da quello che vide nel registro di proprietà, l'aveva pagata generosamente... per non metterci mai piede in vita sua.  

Ottenere i materiali per l'impianto non era facile. Le forniture scarseggiavano ed erano care. Gianni dovette fare un grosso investimento di tasca propria perché il lavori procedessero e passava continuamente da lì per supervisionare i lavori. Qualche strumento chiave lo prese in prestito dal laboratorio, con la scusa di fare misure sul campo. Tale modo di procedere si sposava talmente poco con la mentalità tedesca di Zurigo che nessuno immaginava quello che stesse facendo in quanto il suo comportamento era inconcepibile, ma, fortunatamente per Palermo, egli era mediterraneo e gli risultava del tutto concepibile agire così, anche se lo faceva non senza sospetti. Sapeva di farlo per il bene superiore per la Svizzera e per l'Umanità, ma anche così il suo margine di manovra era limitato: se se si fosse saputo che stava utilizzando materiale del laboratorio per un progetto personale lo avrebbero espulso dall'università senza pensarci su. 

La costruzione dell'impianto pilota non era, tuttavia, la sua sola preoccupazione. Adottare Margueritte fu un gesto nobile d parte sua, ma nonostante il suo carattere previdente, il professor Palermo non aveva previsto che accudire una bambina, per quanto fosse già un po' cresciuta, implicava un certo carico di lavoro addizionale. Per esempio, la bambina doveva andare a scuola. Gianni la iscrisse alla scuola che dipendeva dal liceo che dipendeva dalla sua stessa università. La sistemazione era molto conveniente perché l'educazione era di grande qualità e per i professori di quell'università l'iscrizione era praticamente gratuita. Margueritte non era mai andata a scuola e sapeva appena leggere, tanto meno in tedesco, quindi ogni sera doveva ripassare per ore i suoi compiti con Gianni, che per lei ridusse le sue ore di sevizi sociali. Margueritte aveva una mente sveglia e con l'aiuto di Gianni riuscì a raggiungere i suoi compagni di scuola nel giro di un paio di anni di scolarizzazione. Ma l'arrivo di Margueritte comportava anche tanti impegni domestici fondamentali, per esempio preparare colazione e cena in orari decenti. Gianni lavorava senza sosta in laboratorio e al montaggio dell'impianto pilota e fra queste e le ore di studio con Mergueritte non gli bastava il tempo. Poté risolvere questa cosa pagando una governante (il suo stipendio ed alcuni piccolo progetti industriali che faceva su incarico dell'università facevano sì che se lo potesse permettere; “il mio lavoro all'Università ha un buon EROEI”, pensava a volte ironicamente). Ma, più importante, avere la bambina in casa lo obbligava a condividere il proprio spazio vitale, dopo tanti anni vissuti in solitudine. Perché Margueritte occupò progressivamente una parte sempre più grande nella vita di Gianni. All'inizio la bambina era abbastanza sospettosa, anche se trattò Gianni sempre con correttezza, ma nella misura in cui prendeva confidenza col suo padre adottivo, gli faceva sempre più domande e Gianni, che aveva una vocazione pedagogica, vide in lei l'allieva perfetta da plasmare sin dall'infanzia, anche se gli servì tempo per capire che una bambina di otto anni ha i suoi tempi di apprendimento, che doveva alternare il gioco ad altre attività. La cosa che cambiò di più la vita di Gianni fu, appunto, di dover partecipare (o di provarci) ai giochi della sua nuova pupilla, impresa che gli risultava ingrata, considerandola una perdita di tempo, ma che si impose compiere e che col tempo sarebbe arrivato a gradire.  

La bambina non faceva vedere molto della propria vita precedente. A volte Gianni la vedeva piangere in qualche angolo della casa senza che potesse conoscerne il motivo. Ma Gianni, timidamente, non osava disturbarla in quei momenti. Finché un giorno, uscendo a sistemare il giardino come ogni martedì e giovedì, la incontrò che piangeva di fianco al pozzo e, commosso da quelle lacrime infantili, le chiese il perché di quel pianto. Lei gli risposa che le mancava suo padre e, soprattutto, sua madre. Gianni sentì lo stesso dolore di quel giorno in cui la raccolse dalla strada. Allora le spiegò l'origine della casa, di come il professor Strauss si era preso cura del giardino di sua moglie quando questa morì e di come Gianni si faceva carico dello stesso giardino, ora che entrambi erano morti. 

- In qualche modo – le disse Gianni – gli Strauss continuano a vivere qui perché noi curiamo il loro giardino. Essi mi hanno dato ciò di cui avevo bisogno ed io mantengo vivo il loro ricordo. Tu puoi fare la stessa cosa: mantenere vivo qui il ricordo dei tuoi genitori. C'era un fiore particolare che piaceva a tua madre?

- Le rose – disse Margueritte, asciugandosi le lacrime col palmo della mano. 

- Molto bene. Allora andremo oggi stesso a comprare delle belle rose  che pianteremo in quell'angolo laggiù.

- Credo – disse Margueritte – che stiano meglio da questo lato del pozzo. 

- Come desideri, piccola. 

Dopo quel giorno, Margueritte dedicava le sue ore al di fuori della scuola e dei compiti a casa a prendersi cura del giardino. Visto che Wilhelm Strauss si era preso cura del giardino della sua defunta sposa come colui che esegue una strategia militare, con precisione ma senza armonia, Palermo aveva seguito semplicemente un protocollo scrupoloso, assicurandosi che ogni tipo di pianta avesse le condizioni di umidità e di nutrienti adeguati e che le erbacce e gli insetti non le infestassero. Ma Margueritte introdusse il sentimento in quel giardino; più che un prodotto standardizzato e agghindato, la bambina fece del giardino una spazio armonioso ed un angolo di pace e allegria. Un giorno, tornato particolarmente stanco per aver cercato di risolvere alcuni problemi all'impianto, Gianni si sedette un po' sotto il portico di casa che dava sul giardino e rimase meravigliato nel vedere in cosa lo aveva trasformato Margueritte in pochi mesi. La bambina gli si avvicinò sorridente e cominciò a parlare dei suoi progetti per i gladioli, le sempreverdi, gli arbusti da siepe e per tante altre cose che Gianni fu incapace di sentire, ma guardava la sua pupilla bagnata dalla luce del tramonto come se vedesse un angelo nel paradiso terrestre che aveva creato in quel fazzoletto di terra. 

Gianni impiegò quindici mesi di sforzi, grandi investimenti e agitazione per terminare il primo impianto SMEG. Durante quei mesi, Gianni dubitò molte volte del fatto che fosse sensato impegnarsi in quell'impresa senza poter contare su ulteriori investimenti, ma per lui era importante mantenere sempre il controllo della tecnologia: senza controllo, gli uomini si sarebbero lanciati in una nuova folle corsa alla distruzione del mondo, e stavolta ci sarebbero riusciti. Ma fare le cose in questo modo comprometteva il patrimonio di Gianni, il che non lo preoccupava particolarmente, considerando quante volte era stato sul punto di perdere molto più di questo. Tuttavia, per la prima volta in vita sua aveva altra gente a suo carico. C'erano Colette e i suoi figli, che ancora erano troppo giovani per lavorare, in un paese nuovo che cercava ancora di trovare un suo equilibrio e che a volte entrava in guerra (per fortuna risolte in poche scaramucce) con quella che un tempo era stata la Francia. Ma quei pochi mesi di tintinnio di spade erano stati fatali per l'economia della vedova del Generale Rosi, visto che Gianni non aveva un modo sicuro di farle arrivare il denaro. E dall'altra parte c'era Margueritte. La vedeva tanto felice nella sua nuova casa e a scuola, ma soprattutto in quel frutteto in cui aveva convertito il giardino. Gianni avrebbe potuto subire tutte le umiliazioni del caso, ma non poteva permettere che quella bellissima bambina tornasse nel flusso dal quale l'aveva salvata. Quindi Gianni non poteva permettersi di sbagliare stavolta. 

E non sbagliò. L'impianto SPEG entrò finalmente in funzione, giusto prima dell'inverno di quell'anno. Alla sua inaugurazione invitò le alte cariche del Ministero dell'Educazione Superiore e della Ricerca e del Ministero dell'Industria. E al dimostrazione fu un successo. Gianni aveva paura che qualcuno pensasse che cercava di fare metter in piedi una nuova truffa come quella dei tremogeneratori di Tesla, ma si rese conto che, curiosamente, molta gente non si rendeva nemmeno conto che quello che aveva fatto in Francia era una truffa. Dopotutto, anche in Svizzera la gente era piuttosto ignorante, perlomeno negli aspetti tecnici fondamentali per il suo futuro.

La nuova fonte di energia rinnovabile aveva un rendimento eccellente e poteva essere sfruttata direttamente sia come fonte di calore, sia per produrre forza meccanica o persino, collegata ad un alternatore, per generare elettricità. Gianni spiegò che, scarseggiando materiali fondamentali come il rame (la maggior parte del rame proveniva dal riciclaggio, realizzato penosamente a mano, visto che il commercio internazionale era da tempo un vago ricordo del passato e non c'erano miniere di rame in Europa degne di essere sfruttate), non era conveniente concentrarsi nella generazione di elettricità. Inoltre, la conversione di energia meccanica in elettricità implicava perdite maggiori del 20%, alle quali si sarebbero dovute aggiungere un 20% in più per perdite di trasformazione e trasporto. Pertanto, egli consigliava di cercare di sfruttare il potenziale meccanico diretto: se anziché produrre e trasportare elettricità per il suo uso in fabbriche lontane si fossero installate fabbriche di fianco alla centrale e queste avessero preso l'energia meccanica direttamente mediante pulegge, cinghie e sistemi di trasmissione, si sarebbe potuto avere uno sfruttamento pari a quasi il 100% dell'energia generata dall'impianto PLEG. 

- E' il Secondo Principio della Termodinamica – spiegava Palermo – voi lo avrete generalmente sentito formulare come principio di aumento dell'entropia, ma si può anche intendere come una legge di pedaggio energetico. Cioè, ogni volta che c'è una trasformazione di energia di un tipo – meccanica, termica, elettrica – in un tipo diverso, si deve pagare un pedaggio e questo pedaggio è tanto più grande quanto più diversi siano fra loro i due tipi. Per esempio, collegare una cinghia a questa turbina rotante per azionare quella macchina è molto efficiente, poiché trasformo movimento meccanico in movimento meccanico. Ma se uso vapore acqueo per azionare la turbina, l'efficienza si riduce al 50% e se voglio prima generare elettricità rimane un miserabile 35%. 

Le autorità annuivano, senza in realtà capire nulla, ma erano soddisfatte da Ciò che sembrava essere la fine della scarsità energetica. 

Il primo impianto di Gianni palermo ebbe un grande successo commerciale. I ricchi volevano elettricità, le fabbriche forza meccanica e le case calore per cucinare e per il riscaldamento. La potenza dell'impianto era tale che riusciva a soddisfare gran parte di Zurigo da solo, anche se dovettero installare alcune condutture nuove a riutilizzarne di vecchie. Coi benefici del primo mese di sfruttamento, Gianni poté restituire il materiale che aveva sottratto dal laboratorio e persino fare una generosa donazione all'Università, per cui tornò a respirare sereno. 


I residui di energia del primo impianto SPEG erano talmente tanti che Gianni accoppiò uno stabilimento per la sintesi di fibra di carbonio e di grafene, con l'aiuto dei migliori specialisti della sua università. La fibra di carbonio, materiale leggero e resistente, rendeva più facile la costruzione del secondo impianto, mente il grafene permetteva di migliorare enormemente la conduttività elettrica di certi elementi chiave. Entrambi i materiali erano molto costosi energeticamente, con pochissima exergia – specialmente il grafene – ma avevano il vantaggio di poter essere sintetizzati a partire dal carbonio abbondantissimo dell'atmosfera. Se gli impianti SPEG si estendono, pensò Gianni, si potrebbe persino ottenere una riduzione dei livelli di CO2 nell'atmosfera e fermare il processo di riscaldamento globale. Tuttavia, ci sarebbero voluti decenni per arrivare a produrre una diminuzione percettibile. Dall'altro lato, la sintesi del grafene era talmente costosa, anche con le migliori tecniche disponibili, che il suo uso doveva essere ristretto ad applicazioni nelle quali dimostrasse che l'energia necessaria per la sua sintesi fosse minore del risparmio di energia dato dal suo uso, il che  non avveniva tanto di frequente. 

In un tempo record di sei mesi, il secondo impianto fu pronto a partire. Fatto in fibra di carbonio, era più leggero, efficiente e funzionale. Gianni cominciò a guadagnare molto denaro e ad essere un uomo molto popolare in Svizzera, gli cominciarono a piovere offerte per installare nuovi impianti in tutto il territorio elvetico. Gianni preparava da mesi un piano di reindustrializzazione bilanciata della Svizzera e con il gende potenziale che aveva nelle sue mani cominciò a metterlo in pratica. Il suo sistema era semplice: per prima cosa, impianti SPEG di alta capacità in fibra di carbonio  e con elementi di grafene per le unità di trasformazione elettrica più esigenti, poi, una nuova fabbrica di fibra di carbonio e grafene: E, infine, favorire l'insediamento di fabbriche adiacenti che sfruttavano l'abbondaza di energia e materiali. Un impianto in ogni città, due se questa era grande. Con questo piano in testa, Gianni cominciò l'espansione e coi sui avanzamenti guadagnava sempre più soldi. Soldi. 

- Alla fine dei conti – spiegava a Margueritte mentre tornavano a casa da scuola – i soldi sono solo monete, un simbolo, una rappresentazione delle eccedenze di energia di adesso convertiti in energia immagazzinata, ma solo virtualmente, simbolicamente. 

- Non capisco, Gianni – la bambina lo chiamava sempre per nome. 

- Guarda – e tirò fuori un franco svizzero dalla tasca – diciamo che un franco svizzero equivale, diciamo, a mille kilocalorie – e perché la bambina capisse disse – all'energia che ci da una pagnotta di pane. 
- E' vero – disse Margueritte – nella panetteria della parte bassa di Zurigo ti vendono pagnotte di pane per un franco. 

- Giusto. Quindi, ora cos'ho io in banca, un milione di franchi? Vale a dire, mille milioni di kilocalorie, un miliardo di kilocalorie. Ma non ho necessità di usare tutta questa energia, è come un milione di pagnotte di pane! - Gianni si divertiva vedendo il sorriso di Margueritte che immaginava quasta montagna di pane – Così cedo tutta questa energia ad altra gente che ne ha bisogno ora e loro in cambio mi danno tutti questi biglietti. Ogni biglietto è un valore, un impegno delle persone che me li danno, in realtà la Banca Svizzera, per cui quando io avrò bisogno di tutta questa energia che al momento mi avanza, qualcuno me la darà, grazie sempre alla mediazione della Banca Svizzera. Così abbiamo tutti ciò che vogliamo quando ci serve. Vedi che bella cosa? Ma c'è un problema in tutto questo sistema. Sai qual è?

Margueritte fece cenno di no con la testa.

- Bene, si presuppone che quando io la richieda avrò tutta l'energia che voglio. Il che è un problema se io accumulo sempre più biglietti, se la gente mi paga per tutto quello che posso dargli, perché se un giorno reclamo la mia energia tutta insieme (per esempio, perché voglio costruire un palazzo) – e Margueritte sorrise di nuovo, si immaginava, probabilmente, come una principessa in una palazzo e l'idea fece ridere anche Gianni – potremmo trovarci col fatto che non mi possono pagare o che, per pagarmi, tutta la gente dovrebbe smettere di fare ciò che stavano facendo per pagarmi... compreso smettere di mangiare!

Margueritte si portò la mano alla bocca fra il divertito e lo scandalizzato. 

- Questa sembra una barbarie, in realtà è accaduto davvero, per fortuna molto prima che tu nascessi, Margueritte, L'uomo aveva costruito un sistema molto efficiente, che creò molta ricchezza in questa parte del mondo (anche se in altre morivano di fame), ma che aveva bisogno di disporre di molta energia. Peggio ancora, il sistema aveva bisogno di sempre più energia, perché non abbiamo pensato a niente di meglio che chiedere che per lasciare l'energia che ci avanzava ce ne dovessero restituire ancora di più. E più. E più. Alla fine i nostri buoni sull'energia che qualcuno avrebbe dovuto pagare rappresentavano una quantità di molte volte maggiore dell'energia disponibile nel mondo. E se questo non fosse sufficientemente sbagliato, successe che un giorno le fonti di energia che alimentavano la nostra società cominciarono a dare sempre meno energia. 

Margueritte lo guardava stupita. 

- E per quale motivo, Gianni? Perché all'improvviso quelle fonti davano meno energia?

- Be – continuò la sua peripatetica lezione – in realtà non fu all'improvviso. In realtà c'erano stati molti segni e molti scienziati, come me, avevano avvertito molte volte di questo problema. Risulta che le fonti che sfruttavamo erano, come si dice, “non rinnovabili”: Cioè, che si usano una volta e poi non ci sono più. Erano sostanze che si possono bruciare, che si sono formate in epoche antichissime, quando la Terra era giovane: petrolio, carbone, gas uranio... quelle cose che hai studiato nei libri di Storia. Ce ne sono ancora; di fatto si producono ancora molte di quelle cose, ma i problemi cominciarono non quando finirono petrolio, carbone gas naturale e uranio (perché non si sono esauriti né si esauriranno per secoli), ma quando la loro produzione non ha potuto continuare ad aumentare e cominciò a diminuire.  

- E perché non si è potuto continuare ad aumentare la quantità di petrolio o carbone che estraevamo? Non potevano semplicemente mettere più persone a scavare, o usare macchina più grandi?

- In realtà Margueritte – e qui Gianni sorrise maliziosamente, visto che era arrivato al punto di cui voleva parlare – arrivò il momento in cui il petrolio che rimaneva era più nascosto, più disperso, più profondo... e per estrarlo si doveva spendere più energia di quella che ci dava indietro il petrolio estratto. 

- Be', questo non ha senso. Avremmo perso energia, ma abbiamo bisogno di energia visto che è questa che muove le macchine e tutta la società. 


- Infatti! - disse un Gianni Palermo esultante – e per questo in un determinato momento dovremo lasciare che i giacimenti di petrolio, gas, uranio e carbone... diano sempre meno, perché non conviene più ampliarli. 

- E' logico – disse pensierosa Margueritte. 

- E' Logico – ripeté Gianni – ma non puoi immaginare quanto ci volle a farlo capire alla gente. C'era molta gente che pensava che fosse solo questione di spendere più soldi, senza capire che i soldi non erano l'energia per aprire i pozzi o scavare le miniere, ma un buono per quell'energia. E anche quando si cominciò a vedere che l'energia era troppo cara, si fecero ancora molte follie; si sfruttarono le sabbie bituminose del Canada, il gas e il petrolio di scisto, l'uranio dai fosfati...

Margueritte aveva la faccia di chi non capiva di cosa stesse parlando. Gianni comprese che la lezione di quel giorno doveva volgere al termine. 

- Riassumendo – disse Gianni, abbassando lo sguardo e la voce – non capivamo che non ci sarebbe stata sufficiente energia per poter mantenere un sistema sempre crescente e quando mancò in Europa (altre nazioni più potenti poterono conservare la loro parte), la gente che aveva molti soldi chiese di essere pagata anche se in quel modo condannava alla rovina e alla fame i propri simili. Molta gente rimase senza lavoro, senza casa, senza cibo... senza futuro. La società impazzì e all'improvviso ci diedero la colpa di tutto, fra gli altri a noi scienziati.  

- Non è giusto – disse Margueritte, determinata – Questo non succederà di nuova, vero Gianni? - e lo guardò coi suoi occhi grandi, supplichevoli. 

- No – disse Gianni – Non se posso evitarlo. 

Se c'era qualcosa che Gianni temeva era che, in nome del progresso e della crescita economica, l'Umanità tornasse a cadere negli stessi errori e che questa volta i problemi che avrebbe causato non si sarebbero potuti risolvere. Il Governo svizzero gli chiese varie volte che gli cedesse la tecnologia, ma Gianni non gliela rivelò mai. Gli suggerirono di brevettarla, che di fatto era la cosa migliore che potesse fare per proteggere i suoi interessi commerciali. Ma Gianni sapeva troppo bene che un brevetto è una pubblicazione. Un brevetto è un documento nel quale si dimostra che hai inventato qualcosa e che proibisci  tutti di sfruttarla senza che ti paghino dei diritti ma, pubblicandola, chi avrebbe impedito realmente che la copiassero senza chiederti il permesso? Non era quella l'epoca nella quale uno potesse aspettarsi che le leggi fossero applicate, meno ancora al di fuori della Svizzera. Inoltre, il brevetto espira dopo 20 anni, dopo i quali l'invenzione diventa di dominio pubblico e tutti possono usarlo liberamente. Gianni non aveva la minima speranza che in 20 anni l'Umanità avrebbe compreso la necessità di rispettare i limiti che le impone il proprio habitat, che le impone il pianeta. Così negò mille volte di brevettare o rivelare i suoi segreti.  

L'unica possibilità che gli rimaneva perché la sua opera continuasse risiedeva nell'incontrare qualcuno di sua fiducia per trasmettergli i propri segreti. Ma rabbrividiva pensando a un nuovo Davide Rosi. Così decise di creare questa persona di fiducia, di  modellare questa persona da quando era bambina, insegnandole la verità sul mondo e la necessità di rispettarne i limiti. Decise che un giorno Margueritte avrebbe gestito gli impianti, pertanto mise ancora più impegno nella sua educazione, sia tecnica sia umanistica. Per evitare che Margueritte crescesse come una bambina viziata, la vita nella piccola casa di Strauss era giusta ma austera. Nonostante che Gianni Palermo fosse un uomo ricco in quella residenza, non aveva molti piatti, né posate d'argento, né cristalli fini, né molto cibo, né molti giochi. Niente di tutto questo sembrava interessare Margueritte, che giocava felice con altre bambine o passava ora a sistemare il giardino. Gianni osservava  con orgoglio che i ragionamenti della bambina erano sempre più riflessivi, più profondi. Aveva appena compiuto 10 anni e già era una signorina con la testa sulle spalle e i piedi per Terra. In quel periodo, Gianni smise di prestare servizi sociali. Era un uomo troppo famoso e in realtà con i suoi contributi finanziari e in natura poteva ottenere molto di più che con le proprie mani. Così, disponendo di più tempo libero, Gianni prese con scrupoloso dovere l'andare a prendere la bambina all'uscita della scuola ogni giorno e si godeva la lunga passeggiata di ritorno a casa conversando con la figlia adottiva. Grazie ai suoi generosi contributi, sosteneva sia la scuola sia la sua mensa.   

Nel giro di un altro anno, gli impianti SPEG erano già 4. Il loro apporto energetico cominciò ad avere un impatto positivo sull'agricoltura e la Svizzera si lasciò dietro gli anni di fame. Oltre alla meccanizzazione, con una compensazione minima e senza fertilizzanti né pesticidi (gianni sapeva troppo bene il danno al suolo generato dalla precedente agricoltura industriale), uno di più grandi contributi degli impianti SPEG fu quello di produrre acqua mediante condensazione e in quel modo si poté ovviare ai periodi di siccità occasionali che a quell'epoca colpivano il paese. Gli introiti di Gianni erano ormai così elevati che si poteva permettere il lusso di destinare una parte importante al finanziamento di una rete nazionale di scuole, tutte con mensa. E quello stesso anno e dopo non poche vicissitudini, ottenne che Colette ed i suoi figli si trasferissero in Svizzera, anche se la vedova del suo ex studente preferì rimanere a vivere nella parte francofona del paese. Gianni pagò personalmente la scuola al figlio minore e il liceo al figlio maggiore e un paio di volte all'anno con Margueritte andava a trovarli, anche se Colette non ricambiò mai la visita a Zurigo. 

Tre anni dopo aver cominciato con il primo impianto SPEG, la Svizzera aveva già 16 impianti, con una potenza complessiva di 50 Gigawatt ed una capacità di carico (tempo effettivo durante il quale gli impianti davano il loro potenziale massimo) del 85%. La Svizzera prosperava dopo vari decenni neri e Gianni era considerato un eroe nazionale. 

Gianni promuoveva attivamente l'insegnamento della sostenibilità, dando gli stessi corsi nelle scuole e nei licei. Anche se non aveva nessun incarico nel Governo, era molto influente ed ottenne che l'insegnamento nei licei fossero molto pratici, che si basassero sulle conoscenze applicate al mondo reale e che fossero lontane dall'accademismo, eccetto per le scienze umane, che considerava fondamentali per ottenere un corretto equilibrio emotivo e spirituale negli studenti. Lui stesso insegnava economia critica comparata nella propria Università, mostrando l'errore dei sistemi economici precedenti nell'ignorare che l'economia è un sottosistema del mondo reale, in particolare dell'ecosistema umano, e proponeva come valore fondamentale l'economia ecologica. 

Ma un giorno Gianni subì un contrattempo inaspettato. Stava tornando a casa con Margueritte e mentre la bambina andò a sistemare il giardino – quel giorno non aveva molti compiti –  e lui si mise a controllare la corrispondenza. Una delle lettere proveniva dal cantone nel quale voleva costruire il diciassettesimo impianto SPEG. Si trattava di una comunità rurale che sarebbe stata aiutata molto dalla presenza dell'impianto nel lavoro dei campi. Tuttavia, la lettera comunicava che l'assemblea cantonale riunita aveva deciso di negargli il permesso. Gianni si arrabbiò: com'era possibile che quei contadini ignoranti fermassero così un progetto fondamentale per il loro sviluppo? Gianni decise che avrebbe parlato col Ministero per cambiare la decisione dell'assemblea e se ne andò in giardino a dire a Margueritte che doveva uscire un attimo e che sarebbe rimasta da sola con la governante. La bambina notò che suo padre adottivo era furioso, lo conosceva molto bene e, con la pubertà, la sua capacità di intuizione era aumentata molto. 

- Margueritte – disse Gianni – devo uscire un attimo. Ti lascio da sola con la governante. 

- Molto bene – disse Margueritte e aggiunse – dove vai, papà?

Margueritte raramente chiamava Gianni papà. Con un po' di fastidio Gianni rispose: 

- Vado al Ministero, a sistemare un problema – e vedendo che Margueritte alzava lo sguardo, curiosa, comprese che non poteva dare una spiegazione tanto vaga. Le aveva giustamente insegnato a non accontentarsi di mezze spiegazioni e a tentare sempre di sapere la verità delle cose. Così sospirò, sapendo che le doveva una spiegazione e che gli ci sarebbe voluto un po' – Mi hanno negato il permesso in un cantone per costruire un nuovo impianto.

- E perché ti hanno negato il permesso, Papà? - disse Margueritte mentre potava le rose. 

- Perché sono degli sciocchi! - disse gianni adirato – Non sono capaci di vedere che il nuovo impainto li aiuterebbe molto.

Margueritte rimase a guardarlo per qualche secondo, pensierosa. Poi gli disse:

- Sai papà che a me piacciono molto le rose? Mi ricordano molto mia madre.

Gianni annuì. Quelle rose avevano salvato la bambina dalla malinconia. Gianni ringraziava quel giardino per avergli permesso di tenere con sé Margueritte, la sua grande promessa per il futuro.

- Ricordi che all'inizio volevo riempire tutto il giardino di rose? Compreso il pozzo?

Gianni sorrise, ricordando l'episodio. 

- Alla fine l'unica cosa che ottenni fu che morissero la metà delle rose. In più in altre parti del giardino non si poteva nemmeno entrare, da quante rose c'erano. Il fatto è che ogni rosa ha le sue spine. Non possiamo avere la bellezza senza subirne le conseguenze e a volte è meglio rimanere con meno che con più. E ora che il giardino non è tanto pieno ed ho fiori e piante diverse, le rose sono molto più evidenti, mentre prima si presentavano quasi come un'erbaccia, una piaga che ricopriva tutto. 

Margueritte esagerava, ma naturalmente Gianni capì quello che voleva dire. Dimostrando che aveva appreso bene le lezioni del suo maestro, la bambina aggiunse: 

- Sedici impianti SPEG sono sufficienti per un paese tanto bello come la Svizzera. Ora molta più gente vive di agricoltura e abbiamo le fabbriche di cui abbiamo davvero bisogno per vivere bene. Ormai la fame non c'è più e, grazie a te, padre, i bambini non devono lavorare e ricevono una buona educazione. Più impianti significa più fabbriche e fare più cose che in realtà non ci servono. E se non sappiamo fermarci alla fine più che le rose ciò che noteremo saranno le spine – disse Margueritte, tornando ai suoi lavori di giardinaggio. 
Gianni era commosso. Sua figlia adottiva aveva compreso meglio di lui cos'era la sostenibilità. Certamente doveva scomparire tutta la generazione che , non per colpa propria, era impregnata dell'idea dello sviluppismo, compresi coloro che erano più consapevoli dei problemi ambientali e delle risorse, per far sì che prosperasse una nuova generazione senza pregiudizi. 

Gianni si vergognò del modo in cui aveva parlato del cantone che gli aveva negato il permesso; loro e sua figlia gli avevano dato la lezione più importante della sua vita. Dall'altro lato, sentiva un'allegria incontenibile nel vedere che Margueritte fosse un'allieva tanto capace. Col cuore che gli palpitava forte, le diede un bacio in fronte, la ringraziò e tornò in casa, mentre essa continuò a lavorare con il sorriso sulle labbra. In casa, Gianni scrisse una lunga lettera di ringraziamento al cantone per avergli fatto capire il suo errore e lodando il loro impegno in difesa del territorio. Da quel giorno, Gianni si dedicò a fare manutenzione alle installazioni e a riparare le infrastrutture chiave, contribuendo a smantellarne delle altre, frutto degli eccessi di un altro tempo. 

Col suo nuovo benessere, la Svizzera diventò il faro della cultura e della civiltà. Lo Stato ed i cantoni stimolavano l'arte e le scienze. Il paese prosperava. Era diventato la nuova Firenze. Gianni aveva già compiuto 65 anni e Margueritte era ormai una adolescente. La vita trascorreva placida e tranquilla. 

Una notte di aprile, le truppe tedesche si presentarono alla frontiera. Volevano la tecnologia degli impianti SPEG, ma non volevano negoziare. Ancora una volta, cominciava la guerra. 

Antonio Turiel
Luglio 2013





Un futuro incerto (VI): la pietra filosofale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante il danno enorme che aveva causato, la Chimera della Grande Repubblica Francese era stata straordinariamente effimera: poco più di sette anni separavano il momento in cui la Francia aveva invaso l'Italia dal momento in cui la grande Tempesta di San Alfonso distrusse l'Esercito della Repubblica. Due anni dopo gli eventi di cui raccontavamo nel capitolo precedente, una pace relativa era tornata a regnare in Europa. Le nuove nazioni, molto più piccole degli Stati Nazione falliti dai quali avevano avuto origine, erano riusciti a superare una buona parte delle loro rimostranze storiche e giungere a collaborare fra loro. In molti casi collaboravano per pura necessità: la vita era molto dura in quegli anni nei quali il Cambiamento Climatico si manifestava con sempre più forza. Ottenere un raccolto sufficiente era un'impresa che non era alla portata di tutti gli agricoltori e la fortuna era variabile e sfuggente col passare delle stagioni e degli anni. Mancava praticamente di tutto e tutta la popolazione che poteva tornò in massa alle campagne. Le epidemie di dissenteria, di colera, di febbre tifoidea, di tubercolosi e di tante altre malattie che si pensava fossero dimenticate, tornavano di nuovo e a volte si propagavano per tutto il continente. Nonostante i miglioramenti nelle abitudini igieniche e la maggior conoscenza delle basi microbiologiche delle infezioni, la maggior parte della gente faceva fatica a seguire anche delle semplici raccomandazioni per mancanza di mezzi e per dover soddisfare la necessità sempre più urgente di trovare qualcosa da mangiare. Con le epidemie, la fame e l'emigrazione in altri continenti, la popolazione europea stava sperimentando una graduale ma continua discesa.

Gianni non era estraneo a tutte queste calamità, anche se il suo status di Docente Universitario gli permetteva di vivere un po' meglio del resto dei suoi concittadini di una Svizzera che, a sua volta, conservava un livello di benessere superiore di qualsiasi altro paese. Quando terminava le estenuanti giornate di 10 o 12 ore che si auto-infliggeva, alla ricerca impossibile della fonte energetica ideale, passava altre due o tre ore in una mensa sociale  o facendo il volontario in ospedali per persone in difficoltà. Gianni si sentiva un privilegiato e quindi obbligato a restituire qualcosa ad una società che lo aveva rimesso in piedi. In realtà si sentiva più riconoscente anche perché lui stesso si attribuiva gran parte della colpa delle disgrazie che si erano abbattute sull'Europa negli anni precedenti. Se non avesse ingannato quei creduloni Francesi con i tremogeneratori di Tesla, la Francia non si sarebbe imbarcata in un'impresa così grande e assurda. Lui non li aveva obbligati, ma fu un loro necessario collaboratore. La vita in Europa sarebbe stata migliore se Gianni non avesse aggiunto altro dopo la sua accusa contro l'ignoranza in quel processo di Parigi e se si fosse lasciato semplicemente giustiziare. Si poteva rigirare questo fatto come si voleva, ma era la semplice e inappellabile verità. Gianni sentiva che doveva compensare con tutti i mezzi a disposizione l'orribile male che aveva contribuito a liberare.

Dopo la sconfitta di San Alfonso, probabilmente impressionato dal comportamento di Gianni durante i giorni precedenti, Strauss aveva cominciato a trattarlo in un altro modo. In realtà era da qualche tempo che lo trattava in un altro modo, ma per Gianni fu evidente solo quando la minaccia francese si dissolse come lo zucchero nel tè che era solito condividere con Strauss. Gianni non aveva problemi a scendere a realizzare di persona le sue esperienze di laboratorio e, in alcune occasioni, Strauss, generalmente riluttante ad interagire con le apparecchiature sperimentali, a volte lo seguiva per proseguire le loro discussioni e verificare a caldo le sue diverse ipotesi, verifica che generalmente sottoscriveva il punto di vista di Strauss. “Mi sono sbagliato solo una volta in vita mia”, diceva Strauss con una certa superbia infantile, “ed è stato giudicando lei, caro amico”, diceva a volte a Gianni. Lui gli rispondeva che la nebbia della guerra offusca la ragione umana, non lascia vedere con chiarezza, quindi non aveva troppa importanza ciò che Strauss considerava un errore di valutazione di Gianni (e lo stesso Gianni non lo considerava del tutto una sciocchezza).

Un giorno in cui Gianni stava commentando i dettagli del su ultimo prototipo, Strauss gli disse:

- Lei è così vicino, così vicino... Sì, forse è questo il momento e lei è la persona.

Gianni guardò sorpreso Strauss, curioso. Cosa voleva dire l'anziano professore?

- Venga, venga con me – e guidò Gianni verso il suo ufficio. Dal taschino della sua giacca tirò fuori una chiave che penzolava da una catenina e con essa aprì il cassetto di un armadio, da dove prese un block notes con la copertina azzurra scolorita, la mise fra le mani di Gianni e gli disse: - Mi piacerebbe che faccia una revisione dei calcoli di certe esperienze che erano collegate a questo quaderno e poi mi esponga le sue conclusioni. Non mi fraintenda: naturalmente non le ordino nulla, sono anni che lei è professore di questa università con pieno diritto. Ma mi piacerebbe davvero conoscere la sua opinione. Questo sì, la prego di trattare tutto questo materiale con la massima discrezione: non voglio che venga diffuso fra gli altri professori. Accetti per questa volta questa piccola eccentricità di un professore alla fine della sua carriera professionale.

Gianni fu colpito da una sollecitudine tanto strana, ma la curiosità prevaleva su qualsiasi altra considerazione, quindi accettò l'incarico di Strauss e prese il block notes per studiarlo con tranquillità a casa sua.

Gianni passò ore ed ore assorto dalla lettura di quello straordinario block notes. Quelle 100 pagine contenevano una profondità concettuale e tecnica che non aveva mai visto da nessun'altra parte prima, tutto scritto con i caratteri minuti e puntigliosi di Strauss. Era ovvio che Strauss ci avesse messo le mani molte volte su quegli studi e che lo aveva ripulito, forse più volte, fino a scrivere questo libretto di apparenza umile e contenuto grandioso. Ma quello che vi veniva spiegato non poteva semplicemente essere. Era tanto straordinario che era per forza impossibile. Gianni pensò che Strauss lo stesse mettendo alla prova ancora una volta e la prese come una sfida. Continuava a fare le sue annotazioni nel suo block notes personale, che poi divennero due, poi quattro, poi... Per giorni, Gianni dedicava tutto il suo tempo libero e anche il suo tempo per la sperimentazione nel laboratorio a provare a cercare la trappola di quei calcoli. Concluse il block notes nel momento in cui annotava i suoi ultimi risultati nell'ultima pagina del suo decimo block notes. Non aveva trovato il trucco, Strauss tornava a vincere.

Con il capo chino andò a cercare Strauss nel suo ufficio. Suono alla porta e quando Strauss gli rispose “avanti” la aprì e dalla soglia, con la maniglia ancora in mano, gli disse:

- Mi arrendo, professor Strauss. Lei ha vinto. Non sono riuscito a trovare l'errore. Tutti i calcoli sembrano impeccabili. Dov'è il trucco?

Strauss sorrise e gli chiese di entrare e chiudere la porta. Gianni entrò, rassegnato. Strauss si sarebbe divertito alle sue spalle, facendogli il pelo per non aver trovato un errore evidente, ma come minimo avrebbe imparato qualcosa in più di Fisica.

- Si sieda, amico mio – gli disse Strauss, col tono che usava quando quando Gianni aveva fatto qualcosa che gli piaceva particolarmente – Lei ora ha revisionato i miei calcoli per giorni e non ha trovato nessun trucco. Ed è logico, perché non c'è alcun trucco.

Gianni lo guardò stupito, con la bocca aperta, per alcuni secondi, incapace di articolare una parola e alla fine gli disse:

- Andiamo professor Strauss, andiamo, non si prenda gioco di me. Ho saltato qualche termine, ho presupposto qualche assunto di Fisica che in realtà è sbagliato e che lei conosce meglio di chiunque altro. Mi dica per favore dov'è al chiave di questi risultati assurdi.

- Ma non c'è nessuna chiave occulta! - disse strauss e i suoi occhi brillavano come quelli di un bimbo birichino – I risultati sono corretti. La densità energetica risultante...

- ... è semplicemente assurda professore – lo interruppe Gianni con discrezione.

- Si contraddice il Primo e il Secondo Principio della Termodinamica, professor Palermo?

- No – disse Gianni, questa è stata una delle prime cose che ha confermato, naturalmente

-  C'è conservazione della massa, si sono tenuti in conto tutti i calori latenti e sensibili, i potenziali chimici, i moduli di elasticità, di comprimibilità, i punti di rottura, le dilatazioni termiche? - domandò Strauss come chi spunta una lista della spesa.

- E' tutto apparentemente corretto, professor Strauss – disse Palermo e dopo aver riflettuto un po' aggiunse: - La chiave sta nell'uso delle diverse anomalie reattive presenti in questo strano fenomeno di risonanza...

- ... le quali sono tutte perfettamente documentate da un'infinità di validazioni sperimentali – e qui fu uno spumeggiante Strauss a interrompere Palermo.

Gianni Palermo era in stato di shock. Ma il fatto è che non poteva essere. Semplicemente, non poteva essere.

Intuendo i suoi pensieri, Strauss gli disse:

- Guardi Gianni – era la prima volta nella sua vita che lo chiamava col suo nome di battesimo – ho bisogno di lei. Io, come sa, sono un fisico teorico, ma lei è uno sperimentatore molto in gamba. Ora ha visto la stessa meraviglia che ho visto io anni fa, quando dopo una settimana di frenetica ispirazione, scrissi questo block notes. In realtà, scrissi e riscrissi, provai mille cose cercando l'errore nei miei argomenti, corressi al massimo i miei ragionamenti, separando chiaramente tutti i fattori e non trovai l'errore. Di fatto, capii perché non c'erano errori. Era qualcosa di evidente, sotto gli occhi di tutti, ma come i pezzi di un puzzle mancava una visione complessiva per farli incastrare. In seguito mi spaventai e chiusi quel block notes in questo cassetto per decenni, sperando che un giorno comparisse qualcuno col quale poter discutere questi risultati senza che facesse di me lo zimbello di tutta l'Università. Quindi, professor Palermo, la prego: converta i miei calcoli in dispositivi, realizzi l'esperimento. Dimostri che mi sbaglio. Trovi il mio errore, la prego.

A Gianni girava la testa, ma la richiesta di Strauss gli piaceva. Se c'era un luogo dove Gianni Palermo si sentiva sicuro era in laboratorio. Sì, lì era in grado d trovare l'errore che sulla scrivania del suo ufficio non era stato capace di trovare.

Stava già uscendo dalla porta dell'ufficio quando Strauss gli fece un'ultima richiesta:

- Ma Gianni, per favore, sia discreto.

- Naturalmente Wilhelm – disse Gianni facendo l'occhiolino. .

Lo stesso Gianni aveva interesse ad essere discreto. Non sarebbe stato per nulla edificante se si fosse saputo che due professori dell'Università Tecnica perdevano tempo tentando di attuare una chimera infantile. Quindi programmò il suo orario di laboratorio di modo che, in mezzo alle sue sperimentazioni convenzionali, provava le diverse fasi che erano implicate nel block notes azzurro. Ma nessuna fase fallì di per sé e tutti i valori confermavano, con un'approssimazione molto buona, i calcoli di Strauss. Così che Gianni si vide obbligato ad assemblarle tutte insieme, il che non fu molto discreto (il dispositivo, nonostante fosse in scala, era alto quasi due metri) e alcuni compagni gli chiedevano su cosa stesse lavorando. Lui rispondeva loro che voleva montare un calorimetro di precisione per testare certe reazioni esotermiche e con questa spiegazione li aveva soddisfatti.

Quando finì di montare, tutti i pezzi revisionati tre volte, spostò il suo “calorimetro” nel patio interno della facoltà. Lo fece quando era già notte e praticamente non era rimasto nessuno nell'istituto. Collegò l'apparato a terra, fece gli ultimi aggiustamenti e lo azionò. Prese misure, controllando entrate e uscite, per due ore. Non poteva crederci. Tutto funzionava come nel block notes di Strauss.

Gianni aveva dovuto ingegnarsi per convertire i calcoli di Strauss in u dispositivo fattibile e dovette fare non pochi disegni di ingegneria un po' elaborati per poter sfruttare al massimo il potenziale dei calcoli si Strauss: dalla fisica teorica a quella sperimentale c'è sempre differenza. Tuttavia, i margini che aveva stimato Strauss erano ragionevoli e il dispositivo funzionava quasi come da manuale. Gianni semplicemente non riusciva a credere di aver fatto quello che aveva fatto.

Siccome non poteva lasciare l'apparato in mezzo al patio della facoltà, decise di portarsi il prototipo a casa, con l'aiuto di un carrello. Non viveva lontano dal laboratorio. L'Università aveva una piccola quantità di case che affittava a prezzi bassi al suo personale e la sua piccola dimora aveva un patio posteriore dove avrebbe potuto collocare il dispositivo in modo discreto e lasciarlo acceso a tempo indeterminato.  Lo installò là, lo collegò a un alternatore, questo ad un accumulatore di grande capacità e lo lasciò acceso per dei giorni.
Per giustificare l'uscita del materiale, scrisse una richiesta di trasferimento di attrezzature per un lavoro sul campo destinato alla determinazione di zone franche favorevoli per la generazione termosolare, riempì i formulari di ordine di missione e se ne andò a casa a vigilare l'aggeggio. Dopo aver vigilato il suo funzionamento per una settimana, controllando ogni variabile, si convinse che il dispositivo funzionava correttamente e che avrebbe continuato a farlo indefinitamente.

Fu dopo quei sette giorni nei quali Gianni Palermo credette di vivere in una specie di sogno irreale che decise di andare a trovare Strauss. Era un pomeriggio di domenica e Gianni incontrò Strauss a casa sua, mentre lavorava in giardino. Il giardino era stato la passione di sua moglie e, quando lei morì tre anni prima, Strauss aveva deciso di mantenere vivo il suo ricordo mantenendo vivo il suo giardino.

Strauss alzò lo sguardo e vide di fronte a sé un Gianni palermo sporco, con i vestiti spiegazzati e le occhiaie.

- E' terminato il suo esperimento sul campo, professor Palermo? - gli disse, mentre continuava a potare un arbusto.

- Sì – disse Gianni, laconico – certo che l'ho finito. Dovremmo parlare.

- Naturalmente – disse Strauss – Per favore, entri in casa.

Gianni sprofondò nella poltrona mentre aspettava che Strauss gli servisse il tè. All'improvviso si rese conto di quanto fosse stanco. Erano quasi sette giorni che non dormiva. Quando il professore si sedette nella sua poltrona, Gianni parlò.

- Professor Strauss: il dispositivo funziona. Funziona esattamente come lei aveva previsto; be', con qualche piccolo aggiustamento insignificante, ma ciò che importa è che funzioni! Funziona! Si rende conto di cosa significhi questo?

- Sì - disse Strauss e diede un breve sorso al suo tè – significa che abbiamo trovato una fonte di energia praticamente inesauribile.

Ed era così. Avevano trovato una fonte del genere – be', più che altro Strauss aveva trovato la fonte e Gianni aveva messo in pratica il suo sfruttamento. Suonava come quelle cospirazioni tanto popolari negli anni passati, tutti quei racconti di energia libera, Tesla usato come un'icona grottesca e tutto quel gauzzabuglio assurdo di concetti di fisica quantistica, magnetismo e moto perpetuo. Ma, a differenza di tutte queste parole vuote, il dispositivo di Gianni funzionava su una solida base teorica sviluppata da Strauss e nella sua deduzione ed implementazione era stato usato il metodo scientifico; ogni ipotesi era stata falsificata, ogni processo era stato dimostrato... un lavoro da formichine che che aveva richiesto anni di sperimentazione e di sviluppo. E le cose non venivano fatte così per capriccio: la necessità di usare il metodo scientifico proveniva dal fatto che si cercava la riproducibilità, che i risultati ottenuti oggi qui fossero gli stessi che potesse ottenere qualsiasi altra persona in qualsiasi altro luogo. Insomma, che quello che avessero ottenuto avesse una validità universale, una garanzia di funzionamento, che non si basasse sull'ingenuità o la credulità della gente, ma che fornisse benefici oggettivi e misurabili.

Gianni si sentiva sopraffatto degli eventi. Tanti anni passati a prevedere la scarsità di risorse ed energia per ritrovarsi, alla fine della propria carriera scientifica, con una fonte di energia praticamente illimitata e per il cui sfruttamento erano richiesti materiali semplici e con un fabbisogno energetico per la realizzazione, sfruttamento e mantenimento molto ridotto (Gianni stimava che l'EROEI del suo dispositivo fosse superiore a 40 e, probabilmente, si sarebbe potuto migliorare nei progetti successivi). Gianni si sentiva come il personaggio di un racconto, di una favola, di una storia scritta da uno scienziato per dare l'allarme sui problemi della sostenibilità del nostro mondo. In realtà, gli sarebbe piaciuto essere un tale personaggio immaginario. Perché non era in grado di immaginarsi cosa sarebbe successo a partire da quel momento.

- Professor Strauss... Wilhelm – disse alla fine Gianni di fronte al mutismo di Strauss – questa è la più grande scoperta dell'Umanità. Dobbiamo renderla pubblica.

- Con un'invenzione del genere la Francia avrebbe sottomesso il mondo. Che garanzie abbiamo che la Svizzera non farà la stessa cosa se le offrissimo questo Santo Graal, questa Pietra Filosofale capace di trasmutare il pianeta?

- Il popolo svizzero – rispose Gianni – è un popolo colto ed educato.

- Lo era anche il popolo francese, Gianni – rispose Strauss – Mon Dieu! Il mondo ha conosciuto poche nazioni tanto colte ed avanzate tecnologicamente come la Francia. E, tuttavia, quando il suo sistema industriale collassò, la sua caduta fu più pesante e più brutale di quella di altri paesi meno avanzati come, non si offenda, la sua Italia. Quando la necessità mette sotto pressione, la ragione e il buon senso di solito scarseggiano. E proprio adesso la necessità attanaglia anche la Svizzera. Io mi fido del nostro primo Ministro, ma i francesi non si sono fidati dei loro Presidenti? E non sono stati traditi fino ad essere portati alla sconfitta finale?

- Ma, professore... - Gianni non si sentiva ancora a suo agio con tanta improvvisa familiarità – se tutte le nazioni disponessero di questa tecnologia, nessuno potrebbe invadere nessuno, nessuno avrebbe bisogno di invadere nessuno.

- Questo è vero – Strauss rimase un attimo a pensare – ma si lancerebbero comunque in una folle avventura: quella di espandersi senza controllo fino ad andare a sbattere contro i limiti e tentare sempre di superarli. Fondamentalmente, è ciò che abbiamo fatto finché la società industriale non è collassata.

- Ma, cosa dovremmo fare allora? Lasciare che l'Umanità sprofondi nell'oscurità? Lasciare che la gente muoia di fame e di malattie?

- Sinceramente non lo so, Gianni. Sono anni che conosco questa fonte miracolosa di energia e per anni mi sono fatto la stessa domanda, senza avere una risposta. Dubito che l'Umanità la sappia usare correttamente. Sai? Molti anni fa un astrofisico americano fece un calcolo curioso. Immaginò che qualcuno trovasse questa meravigliosa fonte di energia inesauribile ed illimitata ed si pose il problema di cosa sarebbe successo sulla Terra col calore residuo che dissiperebbero le nostre macchine se mantenessimo un ritmo crescente di consumo di energia di un 2,3% all'anno (cosa che sarebbe considerata una crescita moderata con gli standard di inizio secolo). Le sue conclusioni erano inappellabili: in 350 anni la temperatura del pianeta salirebbe dai 16°C delle medie attuali e fino a 36°C , prima di 450 anni anni gli oceani bollirebbero e in poco più di 7000 anni il pianeta sarebbe talmente caldo che persino l'acciaio fonderebbe. Queste sono le conseguenze della logica esponenziale della crescita infinita ella quale l'essere umano si vede spinto dalla sua stessa biologia. Finché non apprendiamo a moderare questa spinta siamo condannati.

E non dovremmo provarci, professore? Possiamo incrociare le braccia e condannare i nostri simili a una vita di dolore e penuria, giudicando che mai saranno capaci di imparare?

- La decisione finale, mi caro Gianni, la lascio a lei. Il mio tempo qui sta per finire. Mi hanno diagnosticato un cancro terminale, non vivrò più di un paio di mesi.

- Wilhem... oh mio Dio, mi dispiace molto.

- Non si dispiaccia, Gianni. Me ne vado dopo aver vissuto una vita intensa e grazie a suo lavoro degli ultimi mesi posso andarmene con la soddisfazione personale di aver risolto l'ultima sfida scientifica della mia vita. Ma, sinceramente, preferisco non vivere per prendere le decisioni difficili che dovrà fronteggiare lei. Mi chiami pure egoista, se vuole. Non ho figli e non lascio dietro di me altro che la mia opera, se questa ingrata Umanità è in grado di sfruttarla.

Gianni era muto. Sentiva che le lacrime gli venivano agli occhi. Era da molto tempo che rispettava profondamente quell'uomo, ma solo col tempo era giunto ad apprezzarlo. Era la cosa più vicina ad un amico che gli rimaneva in Svizzera. Nel mondo.

- Ho preso una serie di misure opportune. Lascio a lei tutti i miei possedimenti, che comprendono questa casa e tutto ciò che contiene. Tengo particolarmente alla biblioteca: mi ci sono voluti anni per crearla e preferisco evitare che vada dispersa. Lei senza dubbio saprà apprezzarla. La prego anche di curare il giardino. Era molto importante per mia moglie.

Gianni poté articolare solo un “sì” a voce bassa. Non si sentiva di avere la forza morale di contrariare un moribondo, tanto meno uno come lui, uomo di carattere e che meditava con somma attenzione ogni passo che faceva. Wilhelm Strauss continuò a parlare delle sue misure post mortem, come chi fa un inventario.

- Per questa settimana in cui lei era fuori, ho chiesto il permesso per malattia all'Università, la quale me lo ha concesso, date le circostanze, anziché forzare il mio pensionamento: sa già che avrei potuto essere in pensione da anni. In questo modo lei avrà il tempo per prepararsi per i concorsi per la cattedra che lascerò vacante con la mia morte. Nessuno dei suoi competitori ha un livello comparabile al suo, quindi se si sforza, ce la farà, caro Gianni – e come se immaginasse che Gianni gli avrebbe chiesto perché avrebbe dovuto volere la cattedra, aggiunse – Essendo cattedratico di questa Università e con quel poco di anzianità che ha già, il suo stipendio praticamente triplicherebbe, guadagnerebbe a sufficienza da poter intraprendere i progetti che crede opportuni e continuare a mantenere la vedova e i figli del suo pupillo senza bisogno di rimanere un giorno senza cena.

A quell'uomo non sfuggiva nulla.

- Credo che questo sia tutto – concluse Strauss.

- No, non lo è – disse Gianni ed abbracciò con forza Wilhelm.

Tutto avvenne come aveva previsto Wilhelm Strauss. Lui morì dopo due mesi e il suo posto rimase vacante. Gianni approfittò di quel tempo per prepararsi a fondo la cattedra e batté in modo limpido i suoi competitori. Una volta ottenuta la sua nuova posizione, Gianni cominciò a pensare seriamente cosa fare col resto della sua vita. Era sul punto di compiere sessant'anni, anche se manteneva in buona forma, in parte per l'esercizio e in parte per il digiuno involontario che il suo stipendio da professore titolare ed i suoi obblighi morali gli avevano procurato. Il mondo che aveva conosciuto da giovane era fatiscente. Anche quel ristagno di civiltà che era la Svizzera soffriva di un processo di decadenza, un peso morto attaccato ai piedi che trascinava i paesi e le civiltà verso la miseria e l'ignominia. E, ciò che era peggio, il degrado stava accelerando. Ma lui, Gianni palermo, era l'unico uomo sulla terra che conosceva i segreti di una fonte di energia incredibile, il sogno dell'Umanità: praticamente illimitata, rinnovabile, non inquinante e che non richiedeva materiali troppo sofisticati o rari per il suo sfruttamento. Con questa fonte di energia l'Uomo poteva evitare di cadere in fondo al baratro verso il quale sembrava inevitabilmente destinato, questo Gianni lo sapeva bene, ma poteva anche finire di distruggere il mondo e sé stesso. Quell'energia poteva essere allo stesso tempo la sua salvezza e la sua perdizione finale.

Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Avrebbe potuto, forse, scappare in Nord Africa, rifugiarsi in una comunità di lì. Fra gente che era stata capace di sostentarsi per secoli vivendo col necessario, sarebbe stato più facile far capire che non si deve abusare delle risorse, che ci sono sempre delle conseguenze impreviste, delle esternalità, come dicono gli economisti, che alla fine non sono ipotizzabili anche se ci diciamo che lo sono, per inerzia mentale, per non essere in grado di rinunciare a cose che crediamo che siano comodità e non sono altro che catene che ci tengono legati. Gianni avrebbe potuto, forse, rifugiarsi là, partire da zero, tornare a cominciare con mezzi più modesti, mentre il resto dell'Europa finiva di sprofondare. In quel modo, sarebbe riuscito ad ottenere che la sostenibilità dell'azione umana venisse incorporata nell'inconscio collettivo della società? Ma questo sarebbe stato giusto nei confronti del suo paese, del suo continente? Alla fine dei conti lui era europeo. Che diritto aveva di ergersi a “salvatore” di altri popoli, nazioni elette che non avrebbero seguito il sentiero della Gomorra europea? Non sarebbe stato più onesto tentare di salvare quello che c'era qui, per difficile che fosse? Non lo doveva forse a Svizzera, Francia, Italia ed Europa?

Dopo il lavoro e dopo le molte ore di servizio sociale, Gianni Palermo faceva lunghe passeggiate per Zurigo, frequentemente di mattina, sempre pensando a quale decisione prendere. Era un uomo rispettato in Svizzera e in realtà non aveva bisogno di complicarsi la vita. Avrebbe potuto portarsi il segreto nella tomba. Ma di tanto in tanto ricordava le parole di Strauss; non aveva diritto a fare una cosa del genere, forse non era giusto rubare all'Umanità quella che forse era la sua ultima opportunità. “In varie centinaia di milioni di anni, l'Umanità scomparirà, distrutta dall'inevitabile aumento della radiazione solare, è questa la fine che vogliamo? Ma, d'altra parte, senza educazione, senza razionalizzazione, ci espanderemmo come un virus senza controllo per finire ugualmente per soccombere”. Non riusciva mai a uscire da questo circolo vizioso dei suoi pensieri.

Un leggero strattone della gamba dei pantaloni lo destò dalla sua introspezione. Proprio di fronte a lui c'era una bambina di circa otto anni. Scalza, apparentemente affetta da tubercolosi, cenciosa, in mezzo alla strada a quell'ora di notte.

- Signore – gli disse in francese con sguardo implorante – mi dia qualcosa da mangiare. Sono giorni che non mangio qualcosa.

- Dove sono i tuoi genitori, piccola? - chiese Gianni.

- Il signore se li è portati via. Avevano la tubercolosi – disse, tossendo leggermente.

Gianni senti una cosa che non aveva mai sentito. La pietà. La bambina aveva un po' di febbre ed era molto magra. Gianni la prese per mano, quasi senza dirle nulla (un “Vieni!”) e la bambina lo accompagnò senza resistenza. Apparentemente era arrivata al punto di fidarsi di uno sconosciuto, tanto erano scarse le sue prospettive di futuro.

Gianni la portò all'Ospedale Universitario, dove fece valere le sue credenziali di cattedratico perché lo lasciassero passare. I medici presero il suo gesto come un impulso di filantropia eccentrica, ma siccoma pagò di tasca sua l'ingresso e il trattamento, furono felicemente d'accordo. Ogni giorno, dopo il lavoro e prima di proseguire per i suoi servizi, Gianni passava all'ospedale per vedere la piccola Margueritte. La bambina si rimise in salute in poco tempo, grazie agli antibiotici di ultima generazione che avevano sviluppato in Svizzera, ma che erano tanto cari che solo la gente più ricca poteva permetterseli (Gianni dovette investire una buona parte dei suoi risparmi per salvare Margueritte). Due settimane dopo il suo arrivo, Margueritte era un'altra bambina: felice, con una grande voglia di giocare, con grandi occhi interrogativi che si volevano mangiare il mondo. Aveva anche guadagnato peso.

Prima che la dimettessero, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, Gianni prese varie decisioni. La prima fu decidere che Margueritte meritava di vivere, quindi la adottò. Era un uomo solo ma di grande prestigio e conosceva abbastanza gente nel Ministero da rendere i procedimenti rapidi. La seconda fu decidere che l'Umanità meritava una seconda opportunità. Avrebbe dovuto ottenere che la sostenibilità fosse un argomento scolastico e avrebbe dovuto cambiare il modo d'essere della gente in molti modi, di modo che l'uomo smettesse di comportarsi come un cancro sulla terra e cominciasse a comportarsi come una specie davvero intelligente. C'era molto lavoro da fare, ma con Margueritte per mano, con quegli occhi aperti e intelligenti che lo guardavano come se fosse un Profeta, Gianni si sentiva capace di tutto.

Antonio Turiel
Luglio 2013

Un futuro incerto (V): la meta è dove stai andando

Di Antonio Turiel
Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante fosse solito fare lunghe passeggiate sui monti vicino a Zurigo, l'ascesa della montagna fu dura e penosa per un Gianni nel bel mezzo della cinquantina. Ai suoi piedi poteva vedere Losanna e in lontananza Ginevra. Ginevra era perduta, le truppe francesi sarebbero entrate per questo passaggio naturale fra le Alpi e la catena del Giura, questo era chiaro.

Gianni saliva con un plotone di ricognizione che si era appostato su quella montagna. Voleva vedere coi propri occhi cosa dovevano fronteggiare. Al capitano in carico non fece molto piacere portare con sé un civile, ma Gianni aveva un'autorizzazione del Ministro e il capitano, semplicemente e disciplinatamente, rispettò l'ordine.

Dall'alto della montagna, Gianni poteva vedere una grande estensione della pianura centrale della Francia. Con l'aiuto di un binocolo identificò immediatamente dove si era concentrato l'esercito francese. Gli parve che l'insieme di truppe presenti fosse piuttosto scarso. Pensavano forse di attaccare anche dal lato tedesco?. Ma la Francia aveva sottomesso solo la parte nord della vecchia Germania, quindi per arrivare alla Svizzera per questa strada avrebbe dovuto attraversare una terra ostile. Non sembrava molto verosimile. D'altro canto Davide, che era sicuramente a capo delle truppe, non sapeva nulla di strategia militare (alla fine dei conti era solo un imprenditore e prima era stato uno scienziato) e confidava ciecamente nella superiorità meccanica. Tutto faceva pensare che avrebbe tentato di entrare direttamente in Svizzera via Ginevra, costeggiando il lago Lemano.

L'esercito popolare svizzero era formato da uomini forti e orgogliosi, amabili nel quotidiano, ma tenaci quando ce n'era bisogno. Tuttavia, quel clima tanto strano che si era venuto ad instaurare col passare degli anni, faceva sì che molte delle sue vecchie strategie non avessero più senso. Per esempio, gli inverni raramente erano rigidi, quindi non potevano più contare sul Generale Inverno; di fatto, Davide li stava assalendo in pieno inverno. Gianni vedeva chiaramente che i Francesi li avrebbero schiacciati. Tuttavia, dal lato francese stava succedendo qualcosa. Era già passato un giorno dalla scadenza dell'ultimatum per la consegna di Gianni ed ancora non avevano iniziato l'assalto. Qualcosa di raro in una persona arrogante come Davide.

Con l'aiuto reticente del professor Strauss, Gianni riuscì a convincere il Governo svizzero a sollecitare la Francia per un incontro in terra neutrale delle due delegazioni, “come ultimo tentativo di evitare una guerra che nessuna delle due nazioni vuole”. L'emissario fu inviato all'accampamento dei francesi e, sorprendentemente, la risposta fu positiva. L'unica condizione che imposero i francesi fu che Gianni doveva partecipare alla delegazione svizzera. Nonostante le perplessità una tale richiesta causò, sia Gianni sia il Governo acconsentirono. Si accordò che ogni delegazione sarebbe stata costituita da 20 delegati, 10 dei quali sarebbero stati soldati armati. La riunione avrebbe avuto luogo fuori Ginevra, a circa 40 chilometri dall'accampamento francese, e i delegati francesi avrebbero dovuto percorrere gli ultimi 4 chilometri a piedi, mentre i loro veicoli avrebbero dovuto ritirarsi. Gianni non si sorprese di vedere il Generale Rosi in testa al corteo francese. Dopotutto, se c'era qualcosa che non mancava a Davide Rosi era l'audacia.

Il Governo svizzero aveva posto alla testa della propria delegazione il Segretario di stato della Difesa, ma con notevole maleducazione Davide Rosi lo ignorò e si diresse verso Gianni:

- Ci rivediamo, Gianni – gli disse.

- Non mi aspettavo nulla di diverso, Generale Rosi.

- Andiamo – disse Davide stringendo le spalle e aprendo i palmi delle mani – non lasciarti impressionare dal mantello e dai galloni. Sono ancora Davide Rosi, il tuo vecchio studente di dottorato.

- E' da molto tempo che non ho nulla da insegnarti e ciò che hai imparato io non te l'ho mai insegnato – Gianni ponderò il su disprezzo per non attrarre ulteriori mali sulla nazione che lo ospitava e proseguì: - Suppongo che vuoi che mi consegni. Se mi assicuri che non attaccherai la Svizzera rientrerò con la vostra delegazione.

Gianni era stanco. Più che vecchio si sentiva stanco e disgustato dal mondo. Succedesse quello che doveva succedere, consegnarsi gli sembrava un prezzo accessibile se avesse ottenuto che quella bestia maledetta non profanasse l'ultimo baluardo del sapere e della civiltà che rimaneva in Europa.

- Mi sembra stupendo che torni con noi, Gianni. Di fatto nella repubblica tutti ti riceveranno con le braccia aperte. - Il tono di Davide era caldo, paterno, ma finto – Inoltre, è la cosa migliore per la tua sicurezza personale.

- Cosa vuoi dire? La mia vita non è in pericolo in Svizzera... - Gianni guardò direttamente negli occhi di Davide... - o forse sì. Non ci posso credere. Non ci posso credere! Pensate di invadere la Svizzera comunque!!

Avevano parlato in italiano, lingua che nella delegazione svizzera conosceva solo Gianni, ma l'ultima frase Gianni la pronunciò in francese. Davide sorrise ed aprì le braccia, fingendo di mostrarsi come una persone indulgente e continuò in francese, un francese ora fluente e sicuro.

- Andiamo, andiamo, non drammatizziamo! Non c'è motivo che ci sia un'invasione nel senso stretto della parola. E' ovvio che l'esperimento svizzero non può proseguire oltre, coi tempi che corrono. La Grande repubblica ha dei progetti per la Svizzera, dei quali la nuova provincia elvetica ne avrà dei benefici.

Gianni non credeva alle sue orecchie. Davide aveva insistito perché prendesse aperte alla delegazione svizzera perché pretendeva di averlo in suo potere prima che cominciassero le inevitabili cannonate. Non se ne lasciava sfuggire una, il ragazzo era un vero falco negli affari. Il Segretario di Stato era rosso d'ira, ma nonostante questo parlò con educazione. In modo aspro, s', ma educatamente:

- Lei non può un giorno dire che vuole solo l'estradizione del professor Palermo e il giorno dopo dirci che ci sottometterete comunque! Che razza di paese siete? Non potete fare questo! Gridò a Davide.

- Sì, sì che possiamo – Davide rispondeva con calma – Siamo la Repubblica. Noi possiamo tutto.

- ... finché non finisce il magnesio – aggiunse Gianni.

Davide lanciò uno sguardo fulminante a Gianni, al che il professore si mise a ridere:

- Andiamo, ragazzo, andiamo, credi che abbia rivelato un segreto? - e non poté evitare di afferrare la spalla di Davide, in un gesto di umiliante familiarità, come se fossero un paio di amici che si raccontano barzellette sporche in un'osteria – Credi che il resto del mondo sia idiota? Qui si sono resi conto della farsa da molti anni e non c'è stato bisogno che dicessi loro nulla. Hanno semplicemente fatto due più due. Sei abituato ad essere circondato da asini che pensi che tutto il mondo ragli – e tolse la mano dalla spalla di Davide due secondi prima che questi la spostasse con forza.

Davide ignorò la provocazione di Gianni e si concentrò in ciò che voleva dire. Guardò il Segretario di Stato:

- La Svizzera ora ha un clima più benevolo che altre parti d'Europa; le estati non sono tanto calde e le precipitazioni sono ancora abbastanza stabili. La Svizzera è chiamata ad essere il granaio d'Europa, il Granaio della Grande Repubblica. Non avete scelta, signor segretario. Potete sottomettervi o essere invasi, ma il fatto è che il vostro futuro passa per forza attraverso la Repubblica.

Nessuno ebbe l'animo di contraddire le spacconate di quell'uomo. Nonostante mantenesse un buon livello tecnico e fosse ben arroccato, l'esercito svizzero non era all'altezza di quello della Repubblica. Sì, questa invasione non sarebbe stata una parata militare come quelle precedenti. L'esercito francese avrebbe annichilito quello svizzero, sì, ma subendo perdite significative. Tutti gli astanti lo sapevano e forse pensando a queste perdite inevitabili ed al costo enorme dell'invasione, pensò Gianni, ecco perché la Repubblica accettava di negoziare la resa al posto di schiacciare com'era sua abitudine.

- Sai una cosa Davide? - disse Gianni all'improvviso lasciando da parte il trattamento da generale – Dici di essere stato un mio studente, vero? Allora ti darò un'altra lezione oggi. Ti ricordi di quando qualche anno fa discutevamo di ritorno energetico, di EROEI?

Davide annuì lievemente. Non vedeva chiaramente dove voleva andare a parare Gianni.

- Non ti sei reso conto che la guerra non è altro che un sistema su grande scala per ottenere risorse? Risorse e, più in particolare, energia. La guerra è un sistema di generazione di energia in più. Di un'energia che non è rinnovabile, perché una volta che impoverisci un paese non puoi più continuare il suo sfruttamento. E, siccome succede con tutti i sistemi di generazione di energia non rinnovabile, il suo EROEI tende a diminuire col passare del tempo. Già lo sai, è quella che gli economisti chiamano “la legge dei ritorni decrescenti”.

Davide lo guardava attonito.

- Guarda – proseguì Gianni – a quello che è successo alla repubblica con le sue guerre di conquista. All'inizio ha invaso i paesi più deboli e con grandi riserve di magnesio, cosa che ha permesso alla Repubblica di espandersi con rapidità. Ma, una volta che i paesi più redditizi dal punto di vista energetico sono stati occupati e spogliati avete dovuto cercare altri paesi, meglio difesi, più complicati da invadere per la loro orografia ed altri fattori, e con minori depositi di magnesio perché avevano conservato un sistema industriale funzionale per più tempo. Il vostro rendimento energetico è crollato, l'EROEI è diminuito. Ed è successo nel momento peggiore, quando la “massa” della Repubblica era aumentata di molto ed era necessario mantenere un influsso maggiore di nutrienti. Così, vedi, Davide: nemmeno “con altri mezzi” - disse evocando la conversazione dell'ultima volta che si erano visti al CRET – si può sfuggire alle leggi della Termodinamica. La tua impresa sta soccombendo perché non hai capito le mie lezioni, perché nonostante il tuo talento sei stato un cattivo studente. Guardati e renditi conto del fatto che sei diventato un mostro cieco e brutale; era questo quello che volevi fare della tua vita quando sei scappato da Roma con me?

- E tu, esimio professore? - Davide rispose tagliente, al contrattacco; il discorso del professore lo aveva colpito, visto che non aveva mai considerato la termodinamica della guerra – cos'è che hai fatto tu? Ti sei chiuso nella tua torre d'avorio e giocare con le tue macchinette e coi tuoi progetti inutili mentre il mondo intorno a te si sfaldava. Non sei stato capace di vedere che il cerchio intorno a noi si stringeva e quando ti sei preparato per scappare hai pensato solo a te. In un certo senso, io non ho fatto altro che scappare da quando siamo scappati da Roma dodici anni fa. E tutto questo è stata colpa tua! - in lontananza si sentì un tuono nello stesso momento in cui Davide sottolineava l'ultima parola, quel “tua” pieno di rancore e rimprovero.

“Dalla porta dalla quale uscì la carità entrò la peste”, penso Gianni. Ma il rimprovero di Davide era giusto, dopo tutto. Sì, era stato preso dalle sue ricerche senza rendersi conto che faceva parte di una società che soffriva. Quando in Italia i giovani uscirono per le strade per protestare per la mancanza di lavoro, quando lo fecero gli anziani per lamentarsi della diminuzione delle pensioni e degli aiuti, quando ampi settori della società protestarono contro i tagli all'educazione, alla sanità, ai servizi sociali e la corruzione... Gianni continuò a lavorare, come se nulla fosse, nel suo laboratorio. Sì, lo aveva disturbato il fatto che gli avessero ridotto lo stipendio, ma la sola cosa che fece fu continuare a lavorare, continuare a ricercare e di tanto in tanto a firmare una petizione o una protesta, nient'altro. Aveva giustificato a sé stesso il suo atteggiamento dicendo che il meglio che potesse fare per la società era di continuare con la sua ricerca, ma la cosa certa è che questo lavoro non lo aveva portato a niente di pratico e tutto ciò che aveva fatto in Italia era andato perduto quando la barbarie contro la quale non aveva lottato si impadronì di tutto. In Francia aveva avuto una seconda opportunità, ma aveva ripetuto lo stesso errore. Davide aveva ragione: si chiudeva sempre nella sua torre d'avorio. E in Svizzera stava facendo, ancora una volta, la stessa cosa. Aveva sempre peccato di accademismo e gli era sempre mancata l'empatia, la preoccupazione sociale. “Se non ho amore non sono nulla”, ripeté, evocando i suoi anni della scuola.

Davide sorrideva, vedendo il vecchio professore tanto pensieroso, ma all'improvviso questi sbottò, in italiano:

- E Colette cose ne pensa di tutto questo?

Davide barcollò un poco, come se una tale domanda fosse un colpo inaspettato. Il problema di combattere con un vecchio amico è che ti conosce troppo bene e con poco può colpire dove fa più male.

- Colette... - vacilló nella risposta e per alcuni secondi Gianni vide il Davide timido ed insicuro col quale fuggì dall'Italia - … ovviamente vorrebbe che passassi più tempo con lei e coi bambini. Il più grande ha già dieci anni, sai? Lei dice che alla fine mi ammazzeranno, se continuo così. Che prendo troppo sul serio la Repubblica – e sorrise – e in tutto questo è lei la francese! - Davide si rese conto che stava abbassando la guardia – Ma io faccio tutto questo per lei e per i bambini. Non come te. Cos'hai tu? Se io muoio so che avrò lasciato qualcosa dopo di me, e tu? - e dopo una pausa – Vieni con me, Gianni, potresti vivere come noi, potresti essere il nonno dei figli che non hai mai avuto.

- No, Davide, no – disse Gianni scuotendo la testa – dove vai tu io non posso seguirti. Io non voglio seguirti. Preferisco morire lottando su queste montagne, difendendo quel poco che resta della decenza e della dignità in questo mondo, anche se so che cadrò in questo tentativo.

- Molto bene – disse Davide voltandosi – se è questo che desideri. Avete una settimana per cambiare idea, dopo di che verrò coi miei uomini e vi distruggeremo.

Il corteo francese si ritirò di buon passo, mentre gli svizzeri rimasero in silenzio, in piedi, guardandoli mentre se ne andavano. Dopo un po', Gianni chiese al Segretario di stato della Difesa, senza girarsi verso di lui:

- Perché ci danno una settimana se è già tutto deciso?

Il Segretario di Stato prese aria per qualche secondo e rispose:

- Perché non hanno truppe sufficienti e devono aspettare per riunirle. L'esercito della repubblica è sparpagliato per mezza Europa e questa nuova avventura militare richiederà loro uno sforzo importante. La Svizzera è un paese ben fortificato e ci battono solo se si riuniscono in un esercito di grande dimensione.

Durante quegli ultimi giorni in Svizzera si prepararono per una guerra che sapevano essere perduta in Partenza, mentre il distaccamento francese cresceva a vista d'occhio. Nonostante l'avversità e il disagio, la gente era più unita che mai. Avevano trasceso i progetti che aveva la Repubblica di schiavizzarli e trasformarli nei loro contadini e questo aveva infiammato il cuore del popolo svizzero, nato libero e disposto a morire libero.  I piani di attacco e contrattacco furono studiati e ristudiati e le difese si stabilirono in modo che si potesse ottenere il massimo profitto da esse. La Svizzera avrebbe potuto resistere alcune settimane all'assalto dell'Esercito francese, sperando in un miracolo. Dall'altra parte del paese, Gianni non aveva alcuna voglia di tutto questo, e si preparava con discrezione alla fuga. Ma dove poteva scappare? I paesi europei che non erano controllati dalla Repubblica erano tutte dittature. Quindi si trattava di scegliere un sentiero tortuoso per uscire dall'Europa, magari attraversando il Mediterraneo, per poi emigrare in America. Molto complicato, e molto caro, ma doveva provarci.

Era la notte del quarto giorno dall'ultimatum, tre giorni prima che si compiesse la minaccia di Davide. La Svizzera fu colpita da una pioggia ed un vento fortissimi, un uragano, come non si era mai visto prima nel paese. Nelle zone basse del paese ci furono inondazioni ed alcuni edifici crollarono. Si vedeva che il clima, in guerra con l'Umanità già da anni, non avrebbe concesso tregua agli uomini, benché fossero impegnati nelle loro proprie guerre. Una delle città Svizzere più danneggiate fu Ginevra, il primo obiettivo militare dell'invasore, per la sua ubicazione al di fuori delle catene montuose. Ma secondo i rapporti che stavano arrivando dagli osservatori in avanscoperta, si venne a sapere che al di fuori della Svizzera le cose furono molto peggiori. La pianura centrale francese era stata spazzata da un vero e proprio uragano di dimensioni gigantesche. E, per la sorpresa e la gioia degli svizzeri, l'esercito della Grande Repubblica era stato messo allo sbando dagli elementi. La maggior parte dei veicoli corazzati erano volati in aria come se si trattasse di giocattoli abbandonanti da un bambino, la maggior parte delle attrezzature erano andate perdute e fra le truppe c'erano state numerose perdite. Per alcuni giorni il Governo Svizzero dubitò se attaccare i francesi approfittando della loro debolezza per dare al loro esercito il colpo di grazia, ma a ragione decisero che la Svizzera non avrebbe cambiato il suo status di nazione non aggressiva. Quattro giorni dopo dell'ecatombe climatica, una seconda tormenta, di minore intensità della prima ma ancora abbastanza violenta, fino di disfare i resti dell'Esercito della Repubblica.

A Zurigo, gianni non credeva alle notizie che arrivavano dell'incredibile disfatta francese. Si erano preparati a lottare contro gli uomini, ma non si resero conto che dovevano fronteggiare un nemico più grande, contro il quale non servono né pallottole né minacce. Dopo di ciò, gli eventi precipitarono. La Francia ritirò di gran fretta le truppe dai paesi occupati per ricostituire il suo grande Esercito, ma scarseggiavano le risorse e molte infrastrutture cruciali erano state seriamente danneggiate dalla tempesta di San Alfonso, come la chiamarono. Per poter recuperare operatività militare, il Presidente della repubblica ordinò requisizioni forzate di numerose risorse nei territori occupati e nella stessa Francia, senza rendersi conto che la gente soffriva nel riprendersi dalla Tempesta stessa, che aveva causato stragi in campagna e nelle città. L'insensibilità del Governo della Repubblica di fronte alle difficoltà dei suoi cittadini e dei popoli sottomessi, scatenò un'ondata di rivolte in tutto il continente occupato, rivolte che si trasformarono in vere e proprie rivoluzioni. Il primo dei territori che recuperò la propria indipendenza fu il nord della Germania, che si auto-costituì come Repubblica di Prussia (senza tentare di riunificarsi con la Baviera e gli altri lander del sud). Il castello di carte della Repubblica crollò rapidamente, dando vita ad una pletora di nuovi paesi, visto che ogni paese occupato si frammentava come minimo in quattro nuove nazioni, di dimensione inferiore, più ragionevoli per la nuova era di risorse scarse. La stessa Francia, soccombendo alla proprie rivolte interne, si divise in sei nazioni.

Una mattina tiepida d'autunno, Gianni seppe che un tribunale popolare di Parigi aveva giudicato e condannato a morte il Governo della Repubblica. Fra i condannati c'era il Ministro dell'Energia e della Guerra, il Generale Davide Rosi. I condannati erano stati giustiziati alla ghigliottina, seguendo la tradizione nazionale, quattro giorni prima.

Per la prima volta nella sua vita, Gianni non si lamentò di aver portato con sé Davide. Perché quel giovane ambizioso gli aveva evitato di commettere tutti quegli errori. Davide era stato il riflesso oscuro di Gianni, ciò che sarebbe potuto diventare. Davide aveva occupato il posto che in altro modo avrebbe assunto Gianni. E Gianni fece ciò che non aveva fatto in tanti anni: abbozzò una semplice preghiera per il riposo dell'anima del suo ex studente. Dopo di che, contattò Colette con una lettera. Fortunatamente, non avevano cambiato indirizzo. Temeva che Colette gli desse la colpa della perdita del marito, ma la vedova si dimostrò amichevole, vicina come era sempre stata e persino riconoscente che l'avesse contattata nonostante le avversità. Vista che la scomparsa dello Stato francese e il naufragio degli impianti di Tesla aveva lasciato la famiglia senza risorse economiche, Gianni si impegnò a versare metà del suo stipendio da Professore Titolare dell'Università Tecnica di Zurigo a Colette.

L'Europa era rimasta senza risorse. La follia della Repubblica era stata l'ultimo lampo, la luce di una fiammata folgorante ed effimera. Tutto ciò che avrebbero potuto fare gli uomini da lì in avanti sarebbe stato fatto a mani nude, o quasi. Gianni di dedicarsi corpo ed anima a migliorare, in modo pratico, le condizioni di vita della gente, cominciando da quelle dei suoi compatrioti svizzeri di oggi. “Se non ho amore, non sono nulla”.

Antonio Turiel

Luglio 2013