mercoledì 13 marzo 2013

Davvero viviamo in tempi oscuri

Come parte di una piccola serie dedicata al ruolo del carbone nella storia d'Italia, ecco un post pubblicato nel 2007 sul sito di ASPO-Italia. Un post più recente sullo stesso argomento, lo trovate a questo link su "Effetto Cassandra"



Davvero viviamo in tempi oscuri
Molti anni fa, negli anni trenta, Bertolt Brecht scrisse un poema intitolato "A quelli che verranno" che cominciava con le parole "Davvero viviamo in tempi oscuri".

Per noi, quelli che sono venuti parecchi decenni dopo, i tempi oscuri di Brecht ci appaiono lontani in un certo senso, e in un certo senso fin troppo vicini. Torture, guerra, morte, devastazione, follia; è la sensazione di qualcosa che ci sta divorando dall'interno, come gli alieni dei film di fantascienza; oppure di qualcosa ce ci invade inesorabilmente come la nebbia del nulla del film "La storia infinita". Viviamo anche noi in tempi oscuri, forse addirittura più oscuri di quelli di Bertolt Brecht.

Il legame fra i nostri tempi e quelli degli anni trenta potrebbe essere assai più concreto di quanto non appaia dai vari sintomi esteriori. E' un legame che coinvolge le basi stesse della nostra civiltà, allora come oggi dipendente da oscure sostanze estratte dal cuore della terra. Il petrolio ai nostri tempi, il carbone ai tempi di Brecht.

Non molto tempo fa, ho scoperto quanto simile fosse la storia del carbone a quella del petrolio studiando l'andamento della produzione del carbone inglese. Quello che avevo scoperto leggendo le statistiche della "coal authority" erano i veri motivi della seconda guerra mondiale, cosa che ho descritto in un articolo sulla ASPO newsletter. Tutto mi è ritornato in mente con una piccola epifania di comprensione in questi giorni leggendo un vecchio libro trovato fra le carte di una zia, l "Almanacco della Donna Italiana" del 1941. E' una specie di messaggio in bottiglia arrivato da quei tempi ormai lontani che, tuttavia, sono uno specchio perfetto dei nostri.

Da questo almanacco, sembra che la vita di 66 anni fa non fosse molto diversa da quella di oggi. Ci sono articoli su cosa fare quando ci sono i muratori in casa, come allevare i figli; si parla di arte, di letteratura e di moda. Eppure, nel 1941, la guerra era diventata qualcosa che non si poteva più ignorare. Era una cosa che cominciava a mordere nella vita di tutti i giorni, specialmente dopo la dichiarazone di guerra all'Inghilterra e il disastro che era stato l'attacco alla Grecia nell'Ottobre 1940. Troviamo a pagina 203, dopo un articolo sulla pittura contemporanea e prima di uno sulla vendita a rate e su "come essere belle", un articolo intitolato "Anno XVIII." Qui, Ridolfo Mazzucconi, prolifico autore di testi patriottici del ventennio, spiega alle donne italiane le ragioni e l'andamento della guerra.

A distanza di quasi settanta anni dall'inizio della guerra, ci rimane ancora oggi misterioso come avvenne che l'11 Giugno 1940 l'Italia si risolse a dichiarare guerra a una nazione tradizionalmente alleata, l'Inghilterra, che in quel momento non minacciava minimamente l'Italia. In qualche modo, la cosa doveva avere una sua logica al di là della follia momentanea di un dittatore. Quello che leggiamo spesso nei libri di storia è che gli Italiani erano ancora offesi con gli alleati per come erano state spartite le spoglie della prima guerra mondiale nel 1919 a Versailles. Spiegazione che va indietro a vent'anni prima ed è un po' curiosa e inverosimile. Si può veramente fare una guerra per un litigio di vent'anni prima? Ancora più curioso è che Mazzucconi non nomina niente del genere; anzi menziona la "bella fratellanza" dell'Italia con l'Inghilterra degli anni 15-18.

Questo della "bella fratellanza" non è un concetto sbagliato. Inghilterra e Italia erano state veramente "sorelle" da quando l'Inghilterra aveva aiutato l'unificazione italiana al tempo di Garibaldi. Un po' era stato perché agli inglesi faceva comodo un contrappeso mediterraneo all'impero austro-ungarico, ma anche per una genuina simpatia per gli italiani e la rivoluzione italiana di quel tempo.

I rapporti stretti e amichevoli fra Inghilterra e Italia risalivano a ben prima. Risalivano all'inizio del secolo diciannovesimo, a quando l'Inghilterra aveva reso possibile la rivoluzione industriale italiana con le sue forniture di carbone. Erano state le carboniere inglesi a trasformare l'Italia da un insieme di staterelli agricoli a una nazione industriale. In un certo senso, nell'800 l'Italia era stata una colonia inglese, ma anche molto più di una colonia. Per gli Inglesi facoltosi, il viaggio in Italia da farsi in gioventù era diventato parte integrante della loro cultura; un viaggio alle origini della civiltà occidentale, della quale l'Italia manteneva ancora le vestigia. Lo si faceva ancora nel '900 e ci ricordiamo del bel libro di Forster "Camera con Vista" che descrive la vita degli Inglesi a Firenze nei primi anni del secolo. Qualche traccia di quelle abitudini rimane ancora ai nostri giorni.

Ma negli anni trenta del ventesimo secolo, le cose erano cambiate. Qualcosa si era rotto nel rapporto fra Italia e Inghilterra, fino ad allora idillico. Nel 1935, l'Italia invadeva l'Etiopia, sconvolgendo tutti gli equilibri locali e mondiali. Quale ventata di follia ha portato l'Italia a cercarsi un impero in un paese poverissimo che non aveva niente di utile per gli Italiani? Perché andarsi a mettere in diretto contrasto con l'Inghilterra, che era alleata dell'Etiopia? Comunque fosse, era il primo passo della strada che quattro anni dopo avrebbe portato a una follia ben peggiore: la dichiarazione di guerra all'inghilterra.

Forse era soltanto follia, o forse c'era un metodo in quella follia. E un certo metodo, c'era. Lo si trova descritto in poche righe del testo di Mazzucconi. Ecco l'epifania di cui parlavo (p. 205 dell' "Almanacco"):

(L'inghilterra ordinò) con provvedimento repentino la sospensione dell'inoltro di carbone tedesco a noi diretto via Rotterdam. In compenso, si offrì di sostituire la Germania nelle forniture di carbone: ma il servizio era subordinato a condizioni tali che accettarli sarebbe stato aggiogarsi al carro dell'interesse politico britannico e pregiudicare nel modo più grave la nostra preparazione bellica. Il governo fascista rispose con la dovuta bruscheria; e il carbone tedesco che non poteva più venire per mare trovò più comoda e breve la strada del Brennero.

Questa faccenda del carbone fu una salutare crisi chiarificatrice dell'orizzonte politico. Il 9 e il 10 Marzo
(1940), Ribbetrop era a Roma e la visita diede luogo a un affermazione netta e precisa. L'asse era intatto, l'alleanza fra Italia e Germania continuava. Qualche giorno dopo, il 18, Mussolini e Hitler si incontravano per la prima volta al Brennero e allora anche i ciechi furono obbligati a vedere e i corti di mente a capire.

Queste poche righe descrivono tutto il dramma dell'entrata in guerra dell'Italia contro l'Inghilterra. Teniamo conto che l'Italia dell'epoca, come quella di oggi, non aveva carbone e che, a quel tempo, il carbone era altrettanto, e forse più, vitale di quanto lo è oggi il petrolio. Senza carbone, gli Italiani non potevano sopravvivere e lo dovevano avere o dall'Inghilterra o dalla Germania; gli unici due produttori in grado di fornirglielo. E con l'Inghilterra e la Germania in guerra fra loro, l'Italia doveva fare una scelta.

Ma questi pochi giorni del 1940, dove si decise la sorte dell'Italia, furono solo il punto culminante di una storia del carbone che era cominciata molto prima. Abbiamo detto che l'industria italiana era stata creata dal carbone inglese. Che cosa era successo che aveva rotto il legame fra Italia e Inghilterra? Che cosa aveva reso l'offerta inglese di carbone nel 1940 "inaccettabile"?

A quell'epoca, si poteva pensare che fosse la perfidia degli albionici la ragione per la quale non ci volevano fornire il carbone e, invero, Mazzucconi è autore di un testo del 1935 intitolato "La Perfida Albione". Oggi, invece, abbiamo uno strumento intellettuale che ci permette di riconoscere che cosa era successo. Un concetto semplice: il picco del carbone. La produzione inglese aveva "piccato", ovvero raggiunto il suo limite produttivo, nei primi anni 20.

Il picco ci è più noto per il petrolio, dopo che Marion King Hubbert negli anni 50 aveva previsto quello del petrolio negli Stati Uniti. Ma la teoria di Hubbert vale altrettanto bene per il carbone, come pure per tutte le risorse minerali. Il picco è il risultato della conbinazione di fattori economici e geologici; via via che si estrae una risorsa questa diventa più cara da estrarre. A lungo termine, il sistema economico del paese estrattore non riesce più a continuare a espandere l'estrazione, che comincia a declinare, Ecco qui il picco del carbone inglese (da ASPO).Il massimo produttivo del carbone inglese fu nel 1913, a quel tempo in Italia se ne importarono quasi 10 milioni di tonnellate. Dopo quella data, le importazioni di carbone inglese scesero intorno intorno alle sei milioni di tonnellate negli anni venti, per poi precipitare negli anni trenta. Allo stesso tempo, le importazioni italiane di carbone dalla Germania aumentavano (da Walter H. Voskuil Economic Geography, Vol. 18, No. 3. (Jul., 1942), pp. 247-258.).

A parte la "appropriata bruscheria" del governo fascista che Mazzucconi ci descrive, gli eventi del 1940 non fecero che sancire la situazione di fatto. L'Inghilterra semplicemente non poteva rifornire l'Italia di carbone; né allo stesso prezzo né alle stesse condizioni della Germania che non aveva ancora raggiunto il suo picco di produzione. La scelta di Mussolini fu basata molto di più sul carbone che sull'ideologia. In un certo senso era una scelta logica, anche se di una logica perversa.

Ma, al tempo di Ridolfo Mazzucconi il concetto di picco di produzione non esisteva. La caduta delle importazioni in Italia fu attribuita alla perfidia inglese, proprio come, più tardi, la grande crisi del petrolio degli anni settanta fu attribuita alla perfidia degli sceicchi. Per Mazzucconi la guerra era il risultato di una "lotta rivoluzionaria" dei popoli dell'Asse contro "il basso istinto di conservazione" delle grandi potenze, la Francia e l'Inghilterra. Sempre secondo Mazzucconi, lo scopo della guerra è, alla fin dei conti far si che "il color verdolino chiaro col quale vengono segnati per convenzione cartografica i territori italiani" prenda il posto di "molto viola francese e di troppo arancione britannico"-

Oggi, ci è facile prendere in giro Mazzucconi, la sua perfida albione e il suo verdolino italiano che rimpiazzava il viola francese e l'arancione britannico. Lui, come tutti a quell'epoca vedeva il futuro oscuramente, come in uno specchio. Il suo futuro per noi è passato e la gioia insensata con cui Mazzucconi ci racconta di come le città inglesi erano "successivamente e razionalmente" sottoposte ad "azioni distruttive di apocalittica intensità" ci appare per quello che era; totale follia. Si immaginava Mazzucconi o qualcuno in Italia che quelle azioni distruttive di apocalittica intensità sarebbero ritornate al mittente e con gli interessi? Eppure, il nostro futuro ci è altrettanto ignoto di quello che per Mazzucconi era il futuro nel 1940. Non solo altrettanto ignoto, ma altrettanto e, forse più, inquietante; specialmente riguardo alle "azioni distruttive di apocalittica intensità"

"Davvero, viviamo in tempi oscuri" diceva Bertolt Brecht. Oggi, l'oscuro potere del carbone di allora è stato rimpiazzato dall'oscuro potere del petrolio. Brecht, il futuro l'aveva visto bene; come sarà il nostro?

Veramente io vivo in tempi oscuri!
La parola sincera è follia. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
non ha ancora saputo
l’atroce notizia.

Che tempi sono questi, quando
un discorso sugli alberi è quasi un delitto,
perché evita di parlare delle troppe stragi?
E l’uomo che attraversa tranquillo la strada
potrà mai essere raggiunto dagli amici
che vivono nel pericolo?

È vero: io mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è solo un caso. Niente
di quello che faccio mi autorizza a sfamarmi.
Mi risparmiano per caso. (Basta che il vento giri
e sono perduto.)

“Mangia e bevi” mi dicono “e sii contento di esistere”.
Ma come posso mangiare e bere, quando
quel che mangio lo strappo a chi ha fame
e il mio bicchiere d’acqua manca a chi ha più sete di me?
Eppure mangio e bevo




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(da A quelli che verranno di Bertolt Brecht, 1938)