venerdì 27 febbraio 2015

La lezione del 1847 che ha previsto il cambiamento climatico antropogenico

DaThe Guardian”. Traduzione di MR (h/t Bill Everett)

Un discorso quasi dimenticato fatto da un membro del Congresso statunitense avvertiva del riscaldamento globale e della cattiva gestione delle risorse naturali


George Perkins Marsh, 1801-1882, un diplomatico americano, è considerato da alcuni il primo ambientalista americano. Foto: Biblioteca del Congresso 

Quando pensiamo alla nascita del movimento di conservazione nel 19° secolo, i nomi che di solito saltano in mente sono del calibro di  John Muir e Henry David Thoreau, uomini che hanno scritto della necessità di proteggere le aree di natura selvaggia in un'era in cui il concetto di “destino manifesto” della specie umana era di gran moda. Ma un americano di gran lunga meno ricordato – un contemporaneo di Muir e Thoreau – può affermare di essere la persona che ha pubblicizzato per prima l'idea ormai ampiamente accettata che gli esseri umani possano influenzare negativamente l'ambiente che li sostiene. George Perkins Marsh (1801-1882) ha certamente avuto una carriera variegata. Ecco come l'Università Clark del Massachusetts, che ha nominato un istituto in sua memoria, lo descrive:



Nei suoi 80 anni, Marsh ha avuto molte carriere come avvocato (anche se, nelle sue stesse parole, “un praticante indifferente”), editore di quotidiani, allevatore di pecore, proprietario di un mulino, docente, politico e diplomatico. Ha anche provato varie imprese, ma ha fallito miserabilmente in tutte – cave di marmo, investimenti in ferrovie e produzione di lana. Ha studiato linguistica, conosceva 20 lingue, ha scritto un libro definitivo sulle origini della lingua inglese ed era conosciuto come il principale studioso scandinavo in Nord America. Ha inventato strumenti e progettato edifici, compreso il monumento a Washington. Come deputato a Washington (1843-49), Marsh ha aiutato a fondare e guidare lo Smithsonian Institute. E' stato console in Turchia per gli Stati Uniti per cinque anni in cui ha aiutato i rivoluzionari rifugiati e sostenuto la libertà religiosa. Ha passato gli ultimi 21 anni della sua vita (1861-82) come console statunitense del nuovo Regno d'Italia. 

In altre parole, si è tenuto occupato. Ma direi che il suo momento decisivo è arrivato il 30 settembre 1847 quando, come deputato per il Partito Whig (un precursore del Partito Repubblicano), ha tenuto una lezione alla Società Agricola della Contea di Rutland, in Vermont. (Il discorso è stato pubblicato un anno dopo). Quel discorso si è dimostrato essere la scintilla intellettuale che lo ha portato ad andare avanti e a pubblicare nel 1864 il suo lavoro più famoso, Uomo e Natura: geografia fisica come è stata modificata dall'azione umana. Dopo più di 160 anni vale davvero la pena di rileggere il suo discorso in quanto oggi sembra notevolmente profetico. Dopo tutto, ha dato la sua lezione un decennio o più prima che John Tyndall cominciasse ad esplorare la tesi secondo cui piccoli cambiamenti nella composizione dell'atmosfera potrebbero causare variazioni climatiche. Ed è stato mezzo secolo pieno prima che Svante Arrhenius proponesse che il biossido di carbonio emesso dalla “enorme combustione di carbone da parte dei nostri stabilimenti industriali” potevano riscaldare il mondo (una cosa che pensava fosse benefica). Sì, nel suo discorso Marsh parla di “uomo civilizzato” e “barbari” - e il linguaggio è rigido in alcuni punti – ma diamogli un po' di tregua: dopotutto era il 1847. E' circa a metà strada che giunge alla parte che ci interessa gran parte di noi oggi:

L'uomo non può comandare a proprio piacere la pioggia e il sole splendente, il vento, il gelo e la neve, eppure è sicuro che il clima stesso sia stato gradualmente cambiato e migliorato o deteriorato in molti casi dall'azione umana. La bonifica delle paludi e l'abbattimento delle foreste condiziona percettibilmente l'evaporazione dalla terra e naturalmente la quantità media di umidità sospesa nell'aria. Le stesse cause modificano la condizione elettrica dell'atmosfera e il potere della superficie di riflettere, assorbire e irradiare i raggi del sole, di conseguenza influenzare la distribuzione di luce e calore e la forza e la direzione dei venti. Anche entro limiti stretti, i camini domestici e le strutture artificiali creano e diffondono un maggior calore, in misura tale da condizionare la vegetazione. La temperatura media di Londra è di un grado o due più alta di quella della campagna intorno, e Pallas credeva che il clima anche di un paese così poco popolato come la Russia fosse sensibilmente modificato da cause analoghe.

Parte della terminologia che usa è chiaramente un po' arcaica per il nostro orecchio di oggi ma, in senso lato, la sua impressione in seguito si è rivelata corretta. Lo si può vedere alle prese con concetti che ora conosciamo come effetto isola di calore urbana ed effetto serra. Ma nel discorso ha anche fatto appello per un approccio più ragionato al consumo di risorse naturali, nonostante l'abbondanza quasi senza limite offerta dalle vaste estensioni del Nord America. Come osserva la biografia dell'Università di Clark, Marsh non era un sentimentale dell'ambiente. Piuttosto credeva che tutto il consumo dovesse essere ragionato e considerato, con l'impatto sulle future generazioni sempre in mente: stava sollevando il tema di ciò che ora chiamiamo “sviluppo sostenibile”. In particolare, sosteneva che il suo pubblico avesse dovuto rivalutare il valore degli alberi:

Il valore crescente della legna e del combustibile dovrebbero insegnarci che gli alberi non sono più quello che erano ai tempi dei nostri padri, un ingombro. Nel Vermont abbiamo già indubitabilmente una parte di terra disboscata maggiore di quella richiesta, con le colture adeguate, per il sostegno di una popolazione molto maggiore di quella che abbiamo ora ed ogni acro in più diminuisce i nostri mezzi per una zootecnia accurata, estendendo in modo sproporzionato la propria area, e depriva le generazioni successive di ciò che sarebbe un grande valore per loro, anche se relativamente inutile per noi. 

Le funzioni della foresta, oltre a fornire legna e combustibile, sono molto variegate. I poteri di gestione degli alberi li rende altamente utili nel ripristinare l'equilibrio distribuito del fluido elettrico, sono di grande valore nel dare riparo e protezione vegetali più teneri contro gli effetti distruttivi di siccità e venti essiccanti, del deposito annuale del fogliame degli alberi decidui e della decomposizione dei loro tronchi in decadimento, da un accumulo di terriccio vegetale, che dà la più grande fertilità a suoli spesso originariamente sterili sui quali crescono ed arricchiscono le terre più basse attraverso il dilavamento da parte delle piogge e dalla fusione delle nevi. 

Gli inconvenienti derivanti da una mancanza di lungimiranza dell'economia della foresta sono già gravemente percepiti in molte parti del New England e anche in alcune delle città più vecchie in Vermont. Pendii scoscesi e sporgenze rocciose sono adatte alla crescita permanente di legno, ma quando nella foga per il miglioramento vengono improvvidamente denudate dalla loro protezione, l'azione del sole, del vento e della pioggia presto li depriva del loro sottile rivestimento di terriccio vegetale e questo, quando si esaurisce, non può essere ripristinato da un'agricoltura ordinaria. Rimangono pertanto sterili e delle brutture antiestetiche, che non producono né grano né erba e non rendono alcuna coltura ma un raccolto di erbe nocive, che con i loro semi sparpagliati infestano le terre arabili più ricche più in basso. 

Ma ciò non è in nessun modo il solo male che risulta dalla distruzione senza giudizio dei boschi. Le foreste fungono da riserva e da equalizzatori di umidità. Nelle stagioni umide, le foglie decomposte e il suolo spugnoso dei boschi trattengono una grande percentuale delle precipitazioni piovose e ridanno indietro l'umidità in tempo di siccità, per evaporazione o attraverso sorgenti. Così controllano il flusso improvviso d'acqua dalla superficie nei torrenti e nelle terre basse e impedisce alle siccità estive di seccare i pascoli e di asciugare i ruscelletti che li innaffiano.  

D'altra parte, dove una percentuale troppo grande della superficie viene denudata dal bosco, l'azione del sole estivo e del vento brucia le colline che non sono più ombreggiate o riparate dagli alberi, le fonti e i ruscelletti che trovano alimento nel suolo assorbente della foresta scompaiono e il contadino è obbligato a cedere i suoi campi per il bestiame che non può più trovare cibo nei pascoli e a volte anche a spostarli per miglia per l'acqua.  

Ancora una volta, le piogge primaverili ed autunnali e le nevi invernali che fondono, non più intercettate ed assorbite dalle foglie o dal suolo aperto dei boschi ma che cadono ovunque su una superficie relativamente dura e liscia, scorrono rapidamente sul terreno liscio, dilavando il terriccio vegetale mentre cercano i loro sbocchi naturali, riempiono ogni forra con un torrente e trasformano ogni fiume in un oceano. La repentinità e la violenza dei nostri ruscelli aumenta in proporzione man mano che il suolo viene eliminato; i ponti vengono spazzati via, i terreni spazzati dai loro raccolti e recinzioni e coperti con sabbia sterile o abrasi dalla furia della corrente e c'è motivo di temere che le valli di molti dei nostri torrenti verranno presto trasformate da prati ridenti a grandi distese di ciottoli, ghiaia e sassi, deserti in estate e mari in autunno e primavera. I cambiamenti, che queste cause hanno diretto sulla geografia fisica del Vermont, in una sola generazione, sono troppo evidenti per aver eluso l'attenzione di chiunque osservi e di qualsiasi uomo di mezza età che rivisiti il proprio luogo di nascita dopo qualche anno di assenza, guarda un altro panorama rispetto a quello che è stato teatro delle fatiche e dei piaceri della sua giovinezza. I segni del miglioramento artificiale sono mescolati coi segni di rifiuti improvvidi e le isole nude e sterili, i letti secchi dei torrenti più piccoli, i fossati scavati dai torrenti primaverili e il bordo diminuito dell'intervallo che costeggia il letto allargato dei fiumi , sembrano tristi sostituti degli ameni boschetti, ruscelli ed ampi prati della sua antica proprietà paterna.   

Se l'attuale valore della legna e della terra non giustificherà la ri-piantagione artificiale delle terre imprudentemente disboscate, almeno si dovrebbe permettere alla natura di rivestirle con una crescita spontanea del bosco e nella nostra agricoltura futura dovrebbe essere fatta una selezione più attenta della terra per il miglioramento permanente. Da lungo tempo è una pratica in molte parti d'Europa, così come nei nostri insediamenti più vecchi, quella di tagliare foreste riservate alla legna e al combustibile ad intervalli stabiliti. E' tempo che questa pratica venga introdotta anche fra noi. 

Dopo il primo abbattimento della foresta originaria passa infatti molto tempo prima che il loro posto venga alimentato, perché le radici degli alberi vecchi e completamente cresciuti raramente rigettano germogli, ma quando la seconda crescita viene stabilita, potrebbe essere tagliata con grande vantaggio, a periodi di circa 25 anni e rende un materiale, per tutti gli aspetti tranne le dimensione, molto superiore al legno dell'albero primigenio. In molti paesi europei, l'economia della foresta è regolata per legge, ma qui, dove l'opinione pubblica determina, o piuttosto in pratica costituisce legge, possiamo solo fare appello ad un illuminato interesse personale per introdurre le riforme, controllare gli abusi e preservarci da un aumento dei mali che ho menzionato.

Una nota finale: sono passati 150 anni da quando Marsh è stato designato da Abraham Lincoln quale primo ambasciatore statunitense in Italia. (Marsh è stato sepolto a Roma). Solo tre anni più tardi, Licoln ha approvato la legislazione che avrebbe portato alla creazione del Parco Naturale di Yosemite in California. Ciò ha costituito un precedente in tutto il mondo per i governi statali e federali per l'acquisto o la messa in sicurezza delle aree selvagge di modo che potessero essere protette perennemente dallo sviluppo o dallo sfruttamento. E' una speculazione, naturalmente, ma mi sono sempre chiesto se Marsh e Lincoln avessero mai discusso tali materie, che fosse di persona o per corrispondenza. Esiste forse uno storico volonteroso la fuori che sa la risposta?