Visualizzazione post con etichetta Antonio Turiel. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antonio Turiel. Mostra tutti i post

lunedì 7 aprile 2014

Il dibattito inutile: la relativizzazione dei fatti.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da qualche tempo mi incontro con una critica ricorrente a questo blog. Ad alcune persone sembra cosa buona che faccia un'analisi tecnica (la parola che usano di solito è “scientifica”) di aspetti concreti della crisi energetica, particolarmente quelli associati alla produzione di materie prime, della redditività energetica ed economica che hanno, ecc. Tuttavia, a queste persone di solito dà fastidio quando tratto altri temi di indole più sociale, nonostante il fatto che io usi le stesse tecniche analitiche quando parlo di esclusione sociale che quando parlo di fornitura di idrocarburi. Credono che un blog tecnico (“scientifico”) non dovrebbe toccare temi che, concettualmente sono più di opinione che di fatto. A volte si dice persino che sono “troppo politici” (vero in particolare se parlo della Catalogna).

Al contrario, credo di essere abbastanza coerente con la mia linea editoriale (che interrompo soltanto quando pubblico articoli di altri, articoli coi quali non sono sicuramente sempre d'accordo, ma che diffondo qui nell'interesse di una pluralità che non sono solito trovare in altri posti). I temi che affronto li tratto (o cerco di trattarli nei limiti delle mie possibilità) da un punto di vista più tecnico ed obbiettivo possibile, inoltre i temi trattati sono pertinenti, persino fondamentali, nella discussione di questo blog. Tuttavia, capisco che mi vengano fatte queste critiche a partire da dove iniziamo, visto che oggigiorno i mezzi di comunicazione in generale, e la stampa scritta in particolare, hanno in assoluto un modo del tutto diverso di discutere queste questioni.

Oggigiorno, nei mezzi di comunicazione si è imposta una sorta di falsa equidistanza: di fronte ad ogni tema di dibattito nella società, che sia la legge sull'aborto o la produzione di idrocarburi, vengono raccolte le opinioni dei diversi settori e presentate tali e quali, lasciando che sia il lettore ad elaborare le proprie conclusioni. Si dice che un tale modo di presentare le discussioni sia imparziale, visto che non si prendono le parti di nessuno dei settori implicati. Tale strategia, che sicuramente potrebbe avere senso (anche se applicato ad alcune eccezioni che illustro più avanti) per la discussione di questioni di opinione, è completamente assurda e nociva quando si discutono questioni di fatto. E' che i fatti non ammettono discussione: possono essere più difficili o più facili da conoscere – ed è legittimo centrare lì il dibattito in alcuni casi – ma una volta conosciuti non sono opinabili. Peggio ancora, nell'interesse di una presunta rappresentatività equilibrata di tutte le opinioni, in realtà si dà un peso eccessivo alle opinioni più ripetute, le quali (grazie ai soldi) sono le più rappresentate. E' da anni che le grandi aziende hanno capito che questa approccio al giornalismo le favoriva, visto che creando fondazioni, centri sudi, ecc., oltre ai propri uffici stampa e mezzi politici affini, potevano far ascoltare l'opinione che favoriva i loro interessi al di sopra di qualsiasi altra, per questo attaccano con fierezza quando in un mezzo di comunicazione non c'è quella che chiamano una “rappresentazione proporzionata di tutte le opinioni” - cioè, che i loro slogan non vengono ripetuti varie volte dalle loro diverse antenne.

Questo tipo di giornalismo che si limita a raccogliere e trascrivere le opinioni, e che abbonda oggigiorno, è indiscutibilmente un segno di negligenza del giornalista rispetto al suo compito principale: informare. Informare non è fare una relazione delle opinioni come se si facesse un inventario; informare è cercare la verità e presentarla correttamente ai lettori. E quella che una volta chiamavano “giornalismo investigativo”; l'altro non è più di una mera cronaca o bollettino, quando non è direttamente uno spot. Ed è possibile che la decadenza dei mezzi di comunicazione tradizionali sia in parte dovuto a questa mancanza di impegno per la verità, a volte per l'influenza diretta dei grandi interessi economici, ma altre volte per la mancanza di ricerca della verità di cui parliamo, che è ciò fa sì che sempre più persone cerchino in rete mezzi alternativi sui quali trovare una vera elaborazione a partire dai fatti, un vero tentativo di giungere alla verità.

La prima cosa da comprendere è che non si può fare allo stesso modo una cronaca della società e la discussione di fatti misurabili e osservabili. Non c'è equidistanza possibile fra fatto ed opinione. E meno ancora se parliamo di fenomeni naturali: la Natura non tratta e se ne frega della nostra opinione. Tuttavia spesso trovi che questa visione di relatività dei fatti, questo mondo dove tutto è relativo impregna tutti i discorsi, al punto che c'è una mancanza totale ed assoluta di pratica nella discussione dei fatti. Molte volte mi sono trovato che, dopo aver fatto un'esposizione di fatti qualcuno mi dica: “Molte grazie per la sua opinione”. La presentazione dei fatti è talmente svilita che la gente non distingue il fatto dall'opinione, perché è abituata al fatto che parlando di un tema concreto i “fatti” dipendano completamente da chi li trasmette. In fondo è un problema di decadenza morale della nostra società: nei dibattiti pubblici si dovrebbe esigere che le parti agiscano con onestà, presentando i fatti in modo non parziale ed obbiettiva, al posto di presentare una visione particolare che favorisca una certa visione. Tuttavia, l'opinione pubblica trova del tutto accettabile che la presentazione dei fatti sia manipolata per favorire interessi privati e a questo punto il fatto è indistinguibile dall'opinione.

Questa manipolazione dei fatti si manifesta in molti modi. Quando un tema colpisce grandi interessi economici e frequente trovarsi di fronte a campagne di confusione deliberate nelle quali si fa una selezione interessata dei fatti – cherry picking – per far vedere le cose con una lente del tutto distorta. A mo' di esempio, è normale trovare fra i portavoce del fracking certi argomenti, come per esempio che la produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti si è moltiplicata per 18 negli ultimi 10 anni (senza dire che 10 anni fa era praticamente insignificante) e scrivere ciò abilmente in una frase in cui si dice che gli Stati Uniti sono già energeticamente indipendenti (cosa radicalmente falsa oggi e che non sarà vera nemmeno in futuro) e senza dirlo esplicitamente, dando da intendere che una cosa abbia portato l'altra. Quando si legge frequentemente ciò che dice questa gente si rileva la frode di mischiare mezze verità e bugie, perché le frasi sono sempre identiche (e il fatto è che l'inganno funziona soltanto con determinate frasi costruite specificamente per questo, che pertanto vanno ripetute in modo praticamente letterale), ma al lettore ignaro possono sembrare cose vere, e questo è proprio l'obbiettivo di tali disinformazioni. Siccome per giunta queste opinioni costruite con la presentazione parziale di fatti scelti è rappresentata in modo diffuso nei mezzi di comunicazione, si ottiene il risultato di offuscare il dibattito e che la verità non venga mai conosciuta.

La verità, quello che crediamo sia la verità oggettiva delle cose, non è, naturalmente, mai completamente oggettiva: le inclinazioni cognitive proprie della persona che la cerca e la trasmette, le sue preferenze, influiscono in ciò che questa considera “la verità”. Ma questa soggettività inevitabile nella presentazione dei fatti non può farci precipitare in uno scetticismo recalcitrante: io dico sempre che una certa dose di scetticismo è conveniente, ma un eccesso dello stesso è puro cinismo. Quello che si deve fare è semplicemente concentrarsi sui fatti. La presentazione degli stessi può essere volontariamente o involontariamente prevenuta, ma almeno si tratta di fatti. Ciò che deve fare il lettore critico è cercare altri fatti che corroborino o integrino nel suo caso la parte della verità che gli era stata presentata. Per questo è importante che il lettore sia parte attiva e critica di ciò che legge. Un'altra grande deficienza del nostro tempo è che i lettori e gli spettatori sono passivi e apatici e fondamentalmente si bevono più o meno acriticamente tutto ciò viene dato loro da bere, senza cercare di ragionare, senza confrontare con informazioni precedenti, senza cercare le incongruenze. Insomma, senza essere critici e responsabili, come dovrebbe essere un buon cittadino.

Il massimo dell'assurdo, i pochi giornalisti che comprendono che bisogna andare oltre ed informare veramente, coloro che realmente cercano la verità e la presentano basata sui fatti e non nelle dichiarazioni degli uni o degli altri, vengono solitamente definiti “attivisti”, come se la loro obbiettività si vedesse offuscata proprio dalla loro ricerca dei fatti e della verità. Questo tipo di giornalista di solito ha problemi coi mezzi di comunicazione per i quali lavora, a prescindere da quale sia il loro orientamento politico formale, visto che alla fine sono tutti in mano al grande capitale.

Una delle cose che accadono quando ci si concentra sui fatti, quando ci si concentra sulla verità, è che si viene accusati di mettersi in discussioni politiche anche se si sta parlando di scienza, che sia di risorse naturali o di clima. E c'è sempre chi ti rimprovera che questo è inadeguato ed improprio per uno che si definisce scienziato, visto che gli scienziati devono rimanere puri, imparziali. Questa critica in particolare è particolarmente assurda. Risulta che gli studi scientifici sull'ambiente e sulle risorse naturali, come in realtà quelli su qualsiasi altra materia, siano essenzialmente ed irrinunciabilmente politici. Poiché per definizione la politica è la discussione degli assunti che interessano i cittadini. Come ho detto molte volte, questo blog, tutto ciò di cui vi si discute, è politico, perché si tratta di cose che interessano i cittadini. Ciò che non è, e non deve essere, è l'essere partitico: non si può, da un punto di vista meramente tecnico, prendere partito per un'opzione o per l'altra, fra le altre cose perché le dinamiche di partito di solito portano presto o tardi a sacrificare certe idee in nome del pragmatismo.

Deve quindi la scienza cercare di dare risposta a questioni politiche? La risposta è sì è in realtà è sempre stato così. La scienza tenta di dare risposta a problemi che preoccupano l'uomo e che spesso condizionano l'organizzazione sociale, cioè gli aspetti politici.

Lo scienziato non è colui che prende le decisioni di come gestire questa conoscenza, ma è colui che deve decidere quello che c'è che può funzionare e quello che non può in base alle proprie conoscenze. Conoscenze incomplete e sempre provvisorie, naturalmente, ma che sono la sola cosa che abbiamo in ogni determinato momento e che costituiscono una guida migliore di interessi molto più falsi in base ai quali si prendono tanto spesso decisioni con conseguenze deplorevoli.

L'opinione pubblica è talmente poco educata al dibattito dei fatti, al dibattito scientifico, che ogni volta che si affronta da un punto di vista scientifico un determinato tema causa sorpresa ciò che viene considerata un'eccessiva rotondità. Succede che il dibattito di opinioni è sempre soggettivo e pertanto le regole di cortesia implicano che gli interlocutori devono essere disposti a concedere un certo beneficio del dubbio al punto di vista contrario: chi non fa così viene considerato un maleducato o un bruto. Tuttavia, nel dibattito dei fatti non ci sono né mezze misure o considerazioni: il dibattito scientifico in questo senso è implacabile visto che è interessato solo alla verità. Non molto tempo fa ho trovato, discutendo con una persona su Internet, che dopo essere andato a presentare fatto dopo fatto, articolo dopo articolo, nonostante essere sempre stato educato nel tono, l'altro mi ha risposto in modo un po' rude: “Hai tutte le risposte”. E' che in un dibattito di opinioni non è ammissibile essere convincenti. Tuttavia, parliamo di fatti. Come gli ho detto, la questione era semplice: leggi i miei fatti e confutameli con dei dati, se credi che non siano corretti. E' così che si discute di scienza. La scienza, diciamocelo ancora una volta, non è opinabile. Non possiamo sottoporre a votazione il risultato di due più due: dovrà fare sempre quattro, e farà sempre quattro, indipendentemente dalle nostre preferenze o opinioni al riguardo.

L'enorme confusione su cosa è un fatto e cosa è un'opinione, il colossale e cinico relativismo morale della nostra epoca , è quello che porta ad alcune aberrazioni logiche, come per esempio quelle che discutiamo in questo blog parlando di precauzione e garanzia. A mo' di aneddoto, ricordo di aver letto tempo fa un articolo sull'infausto e-CAT (che il tempo si incaricato di dimostrare che fosse una truffa). Chi lo scriveva presumeva che ciò che dicevano gli “inventori” fosse sicuro per un “Principio di innocenza scientifica”. Naturalmente nella scienza non esiste tale principio: i fatti si discutono per quelli che sono, implacabilmente; le critiche sono sempre affilate, precise, chirurgiche: si cerca verità, senza concessioni. Non esiste presunzione di innocenza, ci sono fatti da provare, mostrare, confutare. A volte trovo anche, nella discussione della “magufatadi turno, che c'è chi mi dice che “la critica deve sempre essere costruttiva” e di nuovo la affermazione è erronea. La critica alle persone deve essere sempre costruttiva, visto che una persona non la possiamo scartare ed iniziare con un'altra: bisogna tentare di migliorarla a partire da quello che c'è, pertanto la critica deve essere diretta a costruire, non a distruggere. Tuttavia, la critica alle ipotesi, alle idee, deve essere cruda, implacabile, logica, feroce. E se le ipotesi non sono controfirmate da dati, se la teoria risulta falsata, la si butta per intero e se ne cerca una nuova. E' così che progredisce la conoscenza.

La ragione di tale confusione, di mancanza di comprensione degli aspetti fondamentali della scienza e la loro elaborazione, provengono da una parte dall'eccesso di peso di alcuni settori specifici delle scienze umane (concretamente, il Diritto e le Scienze Economiche tradizionali) nella direzione della società, ma in maggior misura dal grande interesse del governo del nostro sistema economico nell'alimentare una confusione che serve meglio i loro interessi. Il primo passo per poter costruire una società più equilibrata e meno cinica è recuperare il rispetto per il dibattito scientifico ed applicare una imparzialità implacabile nella discussione dei fatti. E' necessario per comprendere appieno dove siamo e dove possiamo dirigerci ed è imprescindibile per recuperare la nostra dignità come esseri umani.

Saluti.
AMT

giovedì 3 aprile 2014

Tappare le crepe del muro della realtà col nastro adesivo

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

i segni evidenti del degrado sociale avanzano senza sosta. Nel caso della Spagna, lo scontento si è manifestato sabato scorso in una grande manifestazione a Madrid (foto iniziale di questo post), culmine delle cosiddette Marce della Dignità che durante le settimane precedenti sono avanzate da un punto geografico della Spagna, sotto l'indifferenza generale dei mezzi di comunicazione. La morte domenica del primo presidente del Governo spagnolo da quando è stata restaurata la democrazia, annunciata dal venerdì precedente (cioè da giorno prima della manifestazione) è servita a mettere la sordina mediatica a quella che probabilmente è stata una delle più grandi manifestazioni vissute a Madrid (e alla quale le fonti ufficiali hanno ridicolmente assegnato una partecipazione di sole 50.000 persone).

Non è una coincidenza. Nella misura in cui si incrina il muro di sicurezze sul quale è stato costruito lo Stato di Benessere e vengono compromesse le basi stesse del capitalismo come lo si è inteso durante gli ultimi secolo, i mezzi di comunicazione, sempre più ostaggi dei grandi gruppi economici che li possiedono, continuano ad abbandonare il proprio obbligo di informare e lo sostituiscono con la necessità di fare propaganda. Propaganda che cerca di addormentare le coscienze e di rassicurare. Ma le sicurezze di cui parliamo hanno una base fisica nella disponibilità di materie prime e di energia. Sono quattro anni che lo ripetiamo: questa crisi non finirà mai, finché i dettagli concreti del corso degli eventi non cambiano questo fatto semplice e poco discutibile quando si osserva con un po' di razionalità.

E tuttavia si discute, con sempre maggior veemenza e urlando sempre di più; la propaganda è focalizzata a tappare col nastro adesivo le crepe sempre più grandi nel muro della realtà. E anche se non potranno evitare il suo crollo finale, possono però contribuire, e tanto, a creare un'immagine completamente distorta di quello che sta succedendo, a introdurre abbastanza rumore nella comunicazione per fare in modo che una grande massa di persone accetti rassegnata e docilmente il cammino della Grande Esclusione.

Durante i prossimi anni saremo sopraffatti da notizie false di abbondanza energetica, alcune completamente nuove, alcune che stanno già comparendo e alcune altre che verranno riciclate dal passato recente. Ho creduto conveniente fare qui una piccola guida di alcune delle menzogne e scuse che verranno usate nei media per togliere importanza al problema energetico e che tenteranno di far credere che l'origine dei nostri problemi sono altri gruppi umani e non il nostro modello economico assurdamente insostenibile. Non posso prevedere tutte le cose che diranno, ma spero che questi appunti servano a qualcuno da guida, da faro nel mezzo della tormenta che si avvicina.

Il prezzo del petrolio: Voglio illustrare questa discussione con un piccolo aneddoto che mi riguarda. Poco tempo fa ho visto un una discussione di Burbuja.info dove prendono gioco di me per quella che chiamano la mia “fallita previsione sul prezzo del petrolio”. Ad iniziare la discussione è stato l'illustre Alb, che ha imperversato tanto qui col suo sogno (quello si che non si è materializzato) dell'introduzione esplosiva dell'auto elettrica e che ovviamente ha deciso di fare contro di me la sua crociata personale (come dimentica tutto le critiche che mi aveva fatto per che avevo detto nel 2010 che il 75% dei giacimenti di petrolio sarebbero decaduti a un tasso di quasi il 6% all'anno, quando nel 2013 la stessa IEA riconosce che decade già a questo tasso il 100% dei giacimenti attualmente sfruttati). Il fatto è che nella sua critica, Alb mette il link all'immagine di apertura del post (che non è mia, ma di Dave Cohen)


e dice: “Guardate quanto sono sbagliate le previsioni di Turiel, quando in realtà il prezzo si è comportato così”:



Lasciando perdere il fatto che né lui né quelli che commentano si sono scomodati a leggere il post in questione e vedere tutte riserve che li si esprimevano (per esempio, testualmente: “In realtà tutto questo [il post] è del tutto speculativo; ci sono molti fattori non lineari che favoriranno il fatto che i ritmi siano sempre più rapidi di quanto qui indicato e altri che che favoriranno il rallentamento del prezzo, ma come conseguenza di una grande devastazione dell'economia”), la cosa veramente curiosa è che nessuno si è disturbato nemmeno nel mettere i due grafici insieme per vedere fino a che punto il grafico di Dave Cohen (rozzo ed approssimativo, visto che il punto da mostrare era il comportamento generale qualitativo, non quello quantitativo) somigliava alla realtà:


La corrispondenza è fatta a mano libera, ma anche così è impressionante come la previsione di Dave Cohen abbia colto correttamente la tendenza e una parte significativa della volatilità (sicuramente meglio di quello che hanno fatto in quel periodo tanto lungo di tempo molti analisti professionisti che guadagnano stipendi a sei cifre). E se in qualcosa sbaglia la previsione di Dave Cohen, come anche sbagliava la mia (anche quella qualitativa, come saprà chi ha letto il post), è in cui i prezzi non scendono tanto fra i picchi consecutivi (e che il secondo picco non è tanto elevato) per le ragioni che indicavo nel paragrafo che ho evidenziato nel mio post, che in questo caso si chiama fracking, una tecnica per la quale gli Stati Uniti sono riusciti a produrre 2,5 milioni di barili al giorno di petrolio che in condizioni di libero mercato non sarebbero sfruttabili e se lo sono e grazie alla tecnica di esportare inflazione nel resto del mondo, cioè, deteriorando l'economia del resto del mondo (in prima istanza quella dei suoi fornitori, anche se questi addossano i loro dollari sopravvalutati ai loro stessi fornitori fino a far cadere il peso dell'inflazione implicita sugli ultimi anelli della catena, che di solito sono i paesi che forniscono le materie prime). Ma anche così questo “petrolio subprime” (un'espressione fortunata di Rafa Íñiguez) è costato caro alle grandi multinazionali del petrolio, che, come abbiamo già spiegato, stanno tagliando le spese a tappe forzate con conseguenze prevedibilmente disastrose sulla produzione di petrolio a breve termine. Come questo condizionerà il futuro prezzo del petrolio dipende da molti fattori (come, per esempio, se gli Stati vengono in soccorso dei giacimenti non redditizi, sottraendo per questi risorse che non arriveranno più al resto della società), ma ciò che è ovvio è che tanto se la volatilità è selvaggia, come se il prezzo si mantiene semplicemente alto, in ambo i casi sarà a costo di un impoverimento della società.

In realtà, la questione chiave non è il prezzo (rappresentazione del valore) ma la produzione di petrolio e più nello specifico l'energia netta che ci resta (il valore in sé, visto che è con l'energia che si effettua il lavoro utile) e per questa le previsioni non possono essere più tetre. Tuttavia, è più che prevedibile che durante i prossimi anni tutta la discussione si centrerà sul prezzo del petrolio, cercando ad ogni piè sospinto la scusa del giorno per giustificare le sue variazioni. Per un po' si è riusciti ad occultare il declino dell'energia netta (che in realtà è iniziato nel 2010) semplicemente aggiungendo più volume di petrolio senza nessun guadagno reale di energia, ma in poco tempo il volume di petrolio greggio diminuirà e non molto dopo anche il volume di tutti i liquidi mostrerà segni di decadenza. Sarà il tempo di guerre e rivolte e in quel momento le scuse di distrazione tenderanno ad essere altre. Tenendo conto di questo, stimo pertanto che le discussioni vuote sul prezzo del petrolio dureranno altri cinque anni da adesso, approssimativamente.

Di sicuro per ironia della sorte, nonostante la quantità di articoli dall'inizio di questo blog e dei discorsi registrati per anni in cui ho ripetuto che l'importante è la produzione e non il prezzo, ancora leggo che è una cosa nuova che dico adesso “perché mi sono sbagliato nelle mie previsioni sul prezzo”.


La scarsità è originata dalla guerra, quando questa finisce tutto si risolve: Prima o poi i conflitti che si stanno scatenando in tutto il globo finiranno per colpire un produttore importante di petrolio. In quel momento sarà evidente che c'è davvero un problema con la fornitura di petrolio, dato che mancherà realmente nell'opulento occidente indipendentemente dal prezzo che si è disposti a pagare. Siccome nessuno metterà le cifre in prospettiva, nessuno metterà nel conto che la diminuzione di produzione di 2 o 3 milioni di barili al giorno rappresenta soltanto il 2,2 o il 3,3% dei 90 milioni di barili al giorno che si consumano nel mondo e che una diminuzione così, anche se brusca, è relativamente piccola e se ci sono problemi per compensarla è perché il resto dei produttori realmente non possono mettere una sola goccia in più nel mercato, perché loro stessi si trovano in declino produttivo o prossimi ad esserlo. Tutto lo sforzo di analisi si centrerà nell'analisi della guerra, su come il paese in questione sia il quarto o il settimo maggior produttore del mondo, come se questo spiegasse il motivo per cui non si può superare il problema della fornitura; nessuno spiegherà nemmeno che quella piccola percentuale di volume di petrolio rappresenta un volume più grande e pertanto significativo dell'energia netta del petrolio che arriva alla società, perché tutto il maquillage contabile della falsa categoria "tutti i liquidi del petrolio" nasconde la realtà di ciò che vale e ciò che non vale. Con la mancanza repentine del greggio e lo sforzo della guerra, la popolazione dei paesi occidentali si vedrà obbligata a misure drastiche di riduzione del consumo, ma se per caso qualcuno osasse collegare la scarsità del prezioso liquido col picco del petrolio, qualche analista economico di guardia se ne uscirà a dire che tale affermazione è una barbarie, che la scarsità è causata “artificialmente” e che è “temporanea”, che finirà “quando finisce la guerra e torna l'investimento”, visto che il mondo nuota nel petrolio e nei suoi succedanei. Anche se al lettore attento non quadrerà poco un tale scenario di pretesa abbondanza coi problemi che starà causando la mancanza di produzione di un solo paese le cui esportazioni, inoltre, era da tempo che stavano diminuendo, alla maggioranza della popolazione tale spiegazione quadrerà.

Tuttavia, la piaga crudele della guerra non solo chiederà non solo il suo infelice ed evitabile pedaggio di vite umane, ma causerà che la produzione del paese colpito non torni mai ai livelli prebellici. Pensate per esempio al caso della Libia: vedendo che le sollevazioni popolari non riuscivano a rovesciare Gheddafi, i paesi occidentali hanno scatenato una guerra lampo che ha causato la caduta a picco della produzione nel 2011, ma come mostra questo grafico di Flussi di Energia durante il 2012 la produzione non ha ancora recuperato i livelli di prima della guerra:


Come vedete, la Libia non ha recuperato mai il livello di produzione di petrolio che aveva nel 1970, circa quando Muhammar Gheddafi è giunto al potere rovesciando il re Idris. Quando sembrava che la produzione tornava a risalire, la guerra col Chad prima e le rappresaglie per l'attentato di Lockerbie poi, con l'embargo che è seguito agli attacchi americani, hanno portato ad un nuovo contraccolpo con successiva stagnazione. E quando di nuovo la cosa sembrava che stesse per riprendere, sembra che sia arrivato il picco del petrolio della Libia (verso il 2008 circa). E poi la guerra. Se si guarda più in dettaglio quello che è successo negli ultimi anni si vede che la situazione in Libia è lungi dall'essere stabilizzata: 


Ci sono due ragioni per questo: una sopra ed una sotto il suolo. Sopra il suolo abbiamo un paese in una situazione convulsa, instabile, con frequenti proteste (come quelle che hanno chiuso il giacimento elefante in data recente) che finiscono per interrompere parzialmente il flusso di petrolio. Ma ci sono anche ragioni sotto il suolo: mantenere in buone condizioni di sfruttamento un giacimento vecchio non è facile, visto che si deve iniettare continuamente gas o acqua in pressione e se a causa di una guerra tale flusso si interrompe, ristabilirlo non è tanto semplice, visto che mancando la pressione supplementare la porosità della roccia può diminuire e andare lentamente verso il collasso per azione della pressione. Inoltre, esistono molte installazioni dal pozzo alla raffineria o al magazzino che richiedono una manutenzione continua e che si vedono seriamente colpite da un'interruzione dell'attività per settimane, per non dire mesi. Questo fenomeno è stato osservato in molti paesi in guerra (Iraq, Iran, Siria), con sollevazioni sociali (Venezuela) o che hanno subito un collasso sociale (Russia, dove il livello di produzione non è mai tornato ai livelli del 1980). E' per quello che qualsiasi paese che si veda coinvolto in un conflitto su grande scala difficilmente potrà recuperare il proprio livello di produzione di petrolio precedente. 

Possiamo fare pressione sui produttori di petrolio perché producano di più: La situazione attuale con la Russia mostra fino a che punto il mondo è cambiato senza che ce ne rendessimo conto. L'Europa minaccia di sanzionare la Russia per l'occupazione della Crimea, ma in pratica è un leone con gli artigli di velluto: il 26% del gas e il 40% del petrolio consumati in Europa vengono dalla Russia, così che in realtà è più la Russia quella che ci può danneggiare, piuttosto che il contrario. Gli americani, da parte loro, si sono imbarcati in una ruota di fantasie pericolose. Da un lato vogliono esportare in Europa le loro eccedenze di gas da fracking (senza tenere conto che la bolla ha i giorni contati e che sarà scoppiata per quando finissero di costruire le costosissime installazioni di liquefazione del gas per il trasporto nella altrettanto costosissime navi metaniere). Dall'altro stanno tentanto di convincere i sauditi di inondare il mondo di petrolio a basso prezzo e far così sprofondare l'economia russa; essenzialmente lo stesso trucco che usarono negli anni 80 e che ha tanto aiutato all'affondamento dell'Unione Sovietica. Tuttavia, a differenza di 30 anni fa, l'Arabia Saudita non ha più capacità inutilizzata, ha solo l'apparenza di averla e tanto meno gli Stati Uniti diventeranno il primo produttore di petrolio del mondo grazie al fracking. Cioè, la capacità reale di far pressione sulla Russia è nulla e in realtà è la Russia che ha il coltello dalla parte del manico, soprattutto se decidono di eliminare il dollaro dalle loro transazioni di petrolio, come si è già accordata con la Cina. La distanza tremenda fra il mondo in cui crede di vivere l'opinione pubblica occidentale e quello in cui vive realmente darà luogo, nei prossimi anni, a dichiarazioni assurde e situazioni ridicole che sarebbero divertenti se non fossero tanto gravi e tanto tristi. 

Diverse illusioni nel mondo degli idrocarburi: Mentre la guerra va mostrando i suoi artigli neri in un confine o nell'altro del pianeta, i portavoce dell'abbondanza in Occidente annunceranno che stanno sul punto di arrivare in nostro aiuto nuove fonti di idrocarburi. Dieci anni fa erano i biocombustibili che dovevano salvarci e si è già visto che non sarà così; 5 anni fa la panacea erano i petroli super pesanti e come bandiera su scala mondiale avevamo le sabbie bituminose del Canada (seguite da vicino dai petroli della Cintura dell'Orinoco in Venezuela), ma si è visto che anche queste hanno troppi limiti per cambiare sostanzialmente la situazione. Ora si spinge il fracking come metodo fantastico per estrarre gas in tutto il mondo e petrolio leggero in alcune zone, ma è sempre più evidente che è una risorsa dal rendimento molto basso e che in realtà non è altro che una bolla finanziaria sul punto di scoppiare. E così, siccome il gas da fracking è sempre stato una rovina e si prepara già per una rapida discesa, il petrolio da fracking, sebbene per poco giungeva ad essere redditizio, sta già cominciando ad avere il respiro affannoso.  


Immagine dell'articolo “Texas RRC Crude and Condensate Data, Is Eagle Ford Peaking?" http://peakoilbarrel.com/texas-rrc-monthly-update/ 

Da qui a due o tre anni comincerà ad essere evidente che il fracking non cambierà il mondo né, tanto meno, sosterrà la fantasia secondo la quale gli Stati Uniti saranno indipendenti energeticamente; e entro 5 anni il fracking sarà praticamente dimenticato (anche se quando si tira fuori il tema l'esperto di turno di energia dirà che è stato abbandonato “per un eccesso di regole da parte degli Stati”, dando da intendere che i governi abbiano ceduto all'isteria ecologista disinformata). E cosa viene dopo il fracking? Torneranno i miti ricorrenti degli ultimi 10-20 anni: il petrolio dell'Artico, le formazioni pre-sale del Brasile e della costa africana occidentale, gli idrati di metano, comprese le risorse dell'Antartide, se audaci... Si faranno nuove e costose campagne per cercare di dimostrare la capacità commerciale di tutte queste risorse, i quotidiani si faranno eco del fatto che sono già qui, che quasi le possiamo toccare con la punta delle dita, ma non arriveranno mai ed essere sfruttate su scala significativa, visto che se tutte quelle che abbiamo gia enumerato sono di cattiva redditività, queste altra sono direttamente rovinose già nella fase di investimento precedente. Tuttavia, le fanfare della stampa faranno credere a più di uno che “il problema del petrolio” (del quale si sarà sempre più consapevoli) è sul punto di essere risolto.

Il carbone: C'è chi linka i miei articoli annunciando una rinascita del settore del carbone in Spagna, forse senza vedere che in realtà tutta la nostra società è minacciata dalla scarsità energetica e che forse, perché siano energeticamente redditizie, queste miniere di carbone in Spagna, si finisce per sfruttarle con schiavi umani, di fatto o di diritto. La cosa certa è che l'energia del futuro è l'energia del passato: in tutto il mondo il consumo di carbone sale, sale più in fretta da quando il consumo di petrolio è stagnante e molto presto il carbone supererà il petrolio come prima fonte di energia primaria su scala mondiale (se non l'ha già superato). Il problema col carbone è che ci si attende che anch'esso giunga al suo picco entro pochi anni; per esempio, secondo la previsione del Energy Watch Group si pensa che il suo massimo (in energia prodotta) sarà verso il 2020:


Bisogna evidenziare che, a causa delle caratteristiche geologiche del carbone (può essere estratto praticamente a mano se così è richiesto, al contrario di petrolio e gas), è possibile che si possa ritardare leggermente il suo picco ed allungare il plateau produttivo (in linea con ciò che mostra già il grafico sopra). Il che non rappresenta necessariamente delle buone notizie dal punto di vista del carico umano che dovrà sopportare questa società basata sull'estrazione dell'ultimo carbone, redditizio solo in condizioni penose di estrazione. In ogni caso, e anche nelle migliori condizioni di sfruttamento, il carbone non ci permetterà di tornare ai ritmi crescenti del passato; è solo una pausa, un “vecchio amico fedele” che ci può aiutare per un po' se siamo capaci di sfruttarlo (anche se dato il suo impatto ambientale bisognerebbe chiedersi se vogliamo realmente il suo aiuto). Per quando la scarsità di petrolio sarà evidente, i mezzi di comunicazione ci racconteranno che degli scienziati locali hanno scoperto un metodo nuovo ed ultra efficiente per trasformare il carbone in “petrolio” (diranno così), “con un miglior numero di ottani” (in riferimento alla benzina che ne deriva) e che le riserve locali (per esempio, nel caso della Spagna) permetteranno di assicurare la fornitura del paese per almeno 200 anni. In realtà la scoperta sarà una piccola miglioria del processo centenario di Fischer-Tropsch, conosciuto ed usato da molto tempo, e l'esagerazione provvederà, come sempre, a confondere riserve (ciò che si può estrarre dal suolo) con la produzione (a che velocità si estrae). Nella pratica la società spagnola ed altre in situazioni simili dovrà imparare a fare con meno idrocarburi liquidi, che verranno riservati per i servizi cruciali, mentre il carbone da bruciare nelle caldaie per il riscaldamento sarà un lusso non alla portata di tutti.

C'è scarsità perché la si vuole, abbiamo energia rinnovabile da dare e regalare: Questo tema è stato trattato per esteso su questo blog. L'energia rinnovabile è senza dubbio quella che ci resterà nel futuro a lungo termine, ma non può compensare nemmeno lontanamente il tremendo buco che si sta lasciando dietro di sé il petrolio e che si lasceranno dopo qualche anno in più gas e carbone. Le rinnovabili hanno molti limiti, tanto quelli associati con le necessità di capitale, di materie prime, di ubicazioni per i pannelli fotovoltaici e per gli aerogeneratori ed hanno anche limiti al proprio potenziale massimo (tanto l'eolico quanto il fotovoltaico – di quest'ultimo non ho ancora scritto il saggio corrispondente, per questo non c'è link). Dall'altro lato l'EROEI del fotovoltaico è basso e in generale si pone il dubbio sul fatto che l'EROEI sarebbe troppo basso senza i combustibili fossili. Sì, insomma, gli attuali sistemi di generazione rinnovabili non sono che mere estensioni dei combustibili fossili. Inoltre, vedendo come evolve il consumo di energia elettrica e comprendendo perché succede questo, si capisce che l'attuale modello di installazione di centrali rinnovabili non risolverà la crisi energetica (in parte perché ci si sta ponendo il problema sbagliato).

Nonostante quanto enumerato qui sopra, anche per troppo tempo si insisterà da parte di certi settori che questo modello di investimento in energia rinnovabile è la strada giusta, la giusta direzione. Si creeranno fazioni nel dibattito pubblico diffuso e stimolato dai mezzi di comunicazione: da un lato i difensori dei nuovi giacimenti fantasiosi menzionati sopra o di qualche altra tecno-fantasia collegata all'energia nucleare (che sia la più che improbabile fusione o i reattori di IV generazione, coi quali sono già 70 anni che si fanno esperimenti); dall'altro, i difensori di questo modello di generazione rinnovabile. L'opinione pubblica sarà convinta che convinta che queste siano tutte alternative disponibili ed assisterà al dibattito sperando che alla fine qualcuno vinca, che si trovi una soluzione ai nostri gravi problemi. Naturalmente questo non succederà mai e ci ritroveremo sempre più sprofondati economicamente, ma distratti dal credere che la nostra salvezza si radichi in questo falso ed immobile dibattito.

La chiave è la sovrappopolazione: Questo tema esce fuori alcune volte nel blog e non ha un approccio facile. Ovviamente siamo molti sul pianeta e, come alcune volte si è detto, il numero di ettari coltivabili per abitante è di solo 0,16, cioè 1.600 metri quadrati, un quadrato di 40 x

40 metri. E' nel limite della capacità di carico di un essere umano e questo con una fornitura di combustibili fossili enorme. E' pertanto ovvio che se non si prendono misure correttive verranno prese automaticamente quelle esercitate dalla Natura in questo tipo di situazioni: fame, epidemie, guerra e morte.

Un problema tanto critico e tanto delicato, che richiederebbe una gestione integrata (in modo da sfruttare le risorse non rinnovabili rimanenti per adattarci dolcemente alla capacità di sostenere la popolazione del pianeta nei prossimi decenni) non sarà affrontato affatto in questo modo e così i mezzi di comunicazione tenderanno a fare un discorso sempre più semplicistico, sempre più xenofobo e dai tratti rozzi. In un determinato momento la base sociale comunemente accettata probabilmente sarà che il nostro è nostro e che bisogna cacciare quelli di fuori che vengono ad approfittarsi di quello che è nostro (ignorando chi siamo e da dove veniamo). Visto che è un discorso semplicistico e volgare, ma facilmente popolare e per populisti, e vedendo come si sta evolvendo l'Europa in questo senso, le mie speranze che si imponga un minimo di razionalità, se sono basse rispetto al resto delle problematiche, rispetto a questa sono nulle.

I problemi col cambiamento climatico: Un altro fronte di negazione e di confusione è quello collegato al cambiamento climatico. Un anno fa ho pubblicato qui un articolo intitolato “Un anno senza estate”, del quale si sono presi gioco più volte in diversi forum di Internet con la curiosa argomentazione di “Vedi? Questo tipo si è sbagliato. Certo che c'è stata l'estate”. Chi dice questo dimostra, ancora una volta, che l'unica cosa che ha letto dell'articolo è il titolo. Per nostra disgrazia, il problema che si descriveva in quel post (la destabilizzazione della Corrente a Getto polare, che è sempre meno zonale e più meridionale) persiste, con conseguenza incerte per il nostro futuro.



Gli episodi di ondate successive di fronti di forti piogge nell'Atlantico settentrionale, lo stazionamento delle Vortice Polare nella zona orientale degli Stati Uniti e le siccità nella zona occidentale sono fortemente collegate col problema del Jet Stream e anche stando così le cose si persiste nel tentativo di disdegnare i problemi come cose che rientrano in una più o meno pretesa “normalità”. In questo senso, è impressionante vedere con frequenza nei mezzi di comunicazione come persone con conoscenze di meteorologia tendano a sminuire le tendenze attuali e per esempio spieghino che nel 1962 la temperatura minima di giugno nella Cuenca è stata inferiore a quella osservata nel 2013 o che nel 1958 ci sono state grandi mareggiate a Santander e tuttavia non sono capaci di capire che non si erano mai visti fenomeni di tale ampiezza in tutti questi luoghi contemporaneamente (è ciò che in statistica si chiama statistica comparativa marginale, di fronte alla statistica comparativa congiunta). Quando si insiste ripetutamente che per decifrare tendenze statisticamente significative è necessario vedere l'evoluzione dell'andamento climatico durante i decenni, il che è sicuro quando si parla di quelle marginali, si disdegna anche il fatto che un andamento congiunto di molti punti allo stesso tempo abbia molto più significato statistico di una serie lunga di un solo punto (a ragione di una proprietà fondamentale in Fisica Statistica: l'Ergodicità). Ciononostante si tenta di tranquillizzare la popolazione anche in presenza di fenomeni significativamente anomali e la cosa sicura è che ci si riesce. Poco tempo fa a Gijón mi hanno raccontato di come una signora che tornava a casa, nel bel mezzo di una terribile mareggiata che inondava la sua via, ha incontrato una persona che ha assistito ad un mio discorso. Lei gli ha detto che non aveva mai visto nulla di simile in vita sua. Quando lui ha commentato che probabilmente era una conseguenza del cambiamento climatico, le gli ha risposto: “Be', questo non lo vedrò mai”. E in un certo senso è vero, perché ce l'ha davanti ma non lo vede.

Alla fine, sembra un po strana l'insistenza ad usare modelli del passato per cercare di descrivere il comportamento del clima nel presente e nel futuro se si comprende che in realtà il clima sta cambiando. Fondamentalmente, potremmo dire che una parte dei meteorologi in modo implicito non crede alla validità del cambiamento climatico, visto che insistono nel credere che il futuro sia una replica del passato. Il problema più serio a breve termine con la destabilizzazione climatica è il suo effetto sulla produzione di alimenti e le possibili guerre che si possano scatenare a causa sua (le Guerre della Fame). Nonostante questo, tutti questi aspetti verranno coperti con illusioni tecnologiche di rimedi tecnici per combattere una forza che supera, in ordini di grandezza, la capacità industriale dell'Uomo e con appelli al consumo responsabile e al risparmio che in realtà occultano la necessità di consumare meno per la minore disponibilità, che a poco a poco arriverà in tutto. Quello che potrebbe finire per succedere col Cambiamento Climatico è impossibile da sapere con certezza in questo momento, anche se gli scenari di futuro, se non si facesse assolutamente niente, possono essere simili ad un racconto dell'orrore.

*********************************************

La finisco qui col mio catalogo , non esaustivo, di scuse per il prossimo decennio. Alla fine, tutte le scuse hanno uno stesso punto in comune: l'opposizione ferrea al cambiamento del sistema economico con uno veramente sostenibile e la necessità di mantenere a oltranza il BAU, costi quel che costi, ingannando la gente con qualsiasi mezzo per riuscirci. Mettere in discussione le basi del nostro sistema economico è un'eresia e per questo verrà distorta la realtà quel tanto che sia necessario per mantenere l'illusione il più a lungo possibile, anche se se fosse un solo secondo in più e anche se ci lasci peggio preparati per quello che succede alla caduta del capitalismo.

Nonostante tutto quello che abbiamo detto, ultimamente si vedono alcune crepe nella compiacenza ufficiale. Da poco la Banca d'Inghilterra ha pubblicato un articolo di ricerca sorprendente che fa cadere le idee convenzionali sulla creazione di denaro, con gravi conseguenze sul significato del nostro sistema monetario. Uno studio scientifico finanziato dalla NASA da un lato e un rapporto dell'ONU, dall'altro, danno l'allarme su un collasso più che probabile della società. Anche da parte dell'economia più tradizionale, qualche giorno fa è stato pubblicato su "La Carta del la Bolsa" un articolo nel quale un economista abbastanza convenzionale conveniva, su basi completamente razionali, che la scarsità di risorse è un problema grave  che cambierà il nostro mondo. Tutto questo sarà sufficiente? Siamo in tempo per fermare la barbarie?


Saluti.
AMT

martedì 7 febbraio 2012

Come non uscire da questa crisi

Guest post di Antonio Turiel, Traduzione di Massimiliano Rupalti



Immagine dal blog di Stephen Rees, http://http://stephenrees.wordpress.com


Come non uscire da questa crisi

di Antonio Turiel

Cari lettori,

alcuni giorni fa ho avuto l'onore di partecipare ad un evento organizzato dal Comune di Figueres. Si trattava di una tavola rotonda sul cambiamento climatico ed il protocollo che devono avere i comuni per affrontarlo. Mi ha invitato l'assessore all'Ambiente locale, il quale, di sicuro, non è per niente in linea con il post che ho dedicato al tetto fotovoltaico installato in una piazza centrale della nostra città (mi ha spiegato i suoi motivi ed anche se non li condivido pienamente, almeno ora posso capire le ragioni che sono state addotte per giustificarlo). Nonostante questa, diciamo, lettera di accompagnamento non molto apprezzata, l'assessore, che mi aveva già sentito parlare in un altra occasione, ha voluto che fossi presente in questa occasione – imparzialità che gli fa onore.

Senza entrare nei dettagli, la tavola rotonda stava procedendo verso percorsi sempre più cupi: prima un imprenditore del settore delle energie rinnovabili “di prossimità”, realista e ponderato, ha descritto i vantaggi e gli inconvenienti (e gli innumerevoli ostacoli) della sua attività; poi è toccato a me fare una rapida panoramica della crisi energetica globale, delle sue connessioni con la crisi economica e su come la via d'uscita che tenteremo di percorrere assurdamente ci porterà ad aggravare il problema del cambiamento climatico (tema che al quale ci siamo già approcciati in un post) senza cambiare significativamente il corso generale degli eventi, se non di peggiorarlo. Per ultimo ha parlato il Direttore del Consiglio consultivo per lo sviluppo sostenibile (CADS) della Generalitat de Catalunya, che avevo conosciuto l'ultimo giorno che sono stato a Radio Catalunya (ma questa è un'altra storia), che mi ha sorpreso facendo un discorso abbastanza nero e deprimente sul futuro che ci aspetta. Con una leggera venatura di speranza nel finale, ma essa stessa con tono dimesso.

Dopo l'evento stavamo con diversi partecipanti, alcuni di loro con responsabilità politiche, bevendo qualcosa (in modo molto frugale, l'austerità sta permeando l'amministrazione) ed ho osservato qualcosa che noto da qualche tempo: un certo fatalismo alla
Mad Max (come amano dire alcuni lettori per descrivere visioni apocalittiche). Così, qualcuno diceva che l'essere umano è condannato all'estinzione, mentre qualcun altro sosteneva la rivoluzione sanguinosa era il capitolo successivo della nostra storia. E lo dicevano così, tranquillamente, come se la cosa non gli appartenesse, come se non fossero loro ed i loro famigliari ad essere passati per le armi. Il più moderato diceva che apprendiamo solo a forza di schiaffoni e che ci sarà una reazione solo quando ci beccheremo il primo forte (il che, disgraziatamente, è abbastanza sicuro: quello sì, bisogna vedere se poi riusciamo a rimetterci in piedi).

Ciò che preoccupa di questa dose di sur-realismo, che a poco a poco si sta insinuando nella nostra classe politica (coloro che hanno un contatto più ravvicinato con chi è amministrato, temo), è che tanto fatidico è per il nostro futuro l'eccesso di trionfalismo e la fiducia (il “non far nulla” col quale si sono superate le crisi in Spagna) quanto lo è il disfattismo assoluto e l'inazione. E sta lì il cuore della questione che vorrei discutere oggi, cioè vedere quali misure ed atteggiamenti non ci permettono di uscire dalla crisi e che, anzi, la peggiorano.

Mettiamo in chiaro una cosa ovvia per il lettore assiduo di questo blog. Come abbiamo ripetuto,
questa crisi economica non finirà mai, perlomeno non all'interno del nostro paradigma economico. L'ovvio corollario e che quindi dobbiamo cambiare il nostro sistema economico e perciò anche quello finanziario. Che non ci sia soluzione entro questo paradigma, vale la pena insistere su questo, non vuol dire che non ci sia soluzione abbandonando il paradigma, ed abbiamo già parlato qui di alcuni modi ragionevoli per affrontare questa uscita per la tangente. Ma una tale pretesa viene considerata tanto pazzesca e massimalista da non risultare accettabile. Pertanto si parla e si parla di riformare il sistema politico quando quello che fallisce e manda tutto in cancrena è quello economico. Ciò porta una serie di attitudini dissonanti caratteristiche dei nostri rappresentanti e dei loro cittadini, che in realtà tendono a peggiorare la situazione per il fatto di non capire cosa stia succedendo. Cioè:


  • Inazione nell'attesa del Deus ex Machina: Questa è la pratica più consueta in Spagna negli ultimi decenni. Consiste nell'aspettare che i paesi ricchi d'Europa (Germania, Francia, Inghilterra e i paesi nordici) escano dalla crisi e, con l'afflusso di turisti ed investimenti, ci tolgano dal marasma. Di sicuro questa è stata la scommessa inconfessabile anche del governo precedente, durante i primi anni di questa crisi. Ma a questo livello, con un 22,3% di disoccupazione, con la disoccupazione giovanile al 40% ed essendo più del 50% degli impiegati “mileuristas” (milleuristi, che guadagnano 1.000 euro al mese, ndT), nessun governo si può permettere il lusso di incrociare le braccia e sedersi di fronte alla propria porta ed aspettare. E' che i paesi ricchi non riescono a riprendere il volo e tutto sembra suggerire che torneranno in recessione (nella nuova recessione).
  • Legiferare molto, soprattutto in campo fiscale: Questa è la corrente che ha dominato l'ultima fase del governo precedente e che domina la prima parte del governo attuale. Siccome non si può non fare niente, facciamo molto, e siccome non sappiamo cosa fare, andiamo ad agire sui meccanismi più diretti e che conosciamo meglio. Se c'è contrazione dell'economia, andiamo a stimolare l'investimento diminuendo l'esazione agli imprenditori con diminuzione delle tasse o riducendo i loro costi, soprattutto rendendo più facile il licenziamento e le misure per ridurre gli stipendi – con relativa distruzione del contratto collettivo – nel contesto della cosiddetta riforma del lavoro (che in realtà è una revoca della legislazione del lavoro vigente). Siccome dall'altra parte c'è uno squilibrio fiscale importante (frutto della rapida e non prevista riduzione delle entrate per la caduta stessa dell'attività economica), vengono aumentate le tasse alle classi medie e basse, che sia per via diretta o indiretta. Il problema di tale modo di agire è che inibisce il consumo, in parte per la perdita di reddito della massa di consumatori e in parte per la sensazione crescente di insicurezza e tendenza a risparmiare “per tempi peggiori”, il che ha un impatto negativo sulle imprese che si alimentano del mercato interno. Per un po' si è parzialmente compensato questo effetto negativo grazie alle imprese che si alimentano del mercato estero, delle esportazioni, ma adesso che anche la Cina ed il Brasile mostrano un rallentamento economico (quando non vera e propria recessione) la caduta degli introiti delle imprese è evidente e pertanto la crisi si aggrava; meno imprese, meno introiti per lo Stato, maggiori problemi per far quadrare i conti – maggior deficit – ecc, in una spirale di autodistruzione.
  • Disfattismo ed abbandono: Alcuni nostri rappresentanti, che cominciano ad interiorizzare che da questa crisi non si esce senza saperne il perché, stanno cominciando ad abbassare le difese ed a lasciarsi andare, ma non confidando nel fatto che la cosa si autoregoli, ma desiderando che non si danneggi molto di più. In alto ogni giorno ricevono più biasimo e disprezzo da parte dei cittadini, sempre più sopraffatti da una crisi che minaccia di far precipitare quasi il 50% degli europei un tempo ricchi, nella povertà e nell'esclusione (cosa che è stata anche discussa con una certa profondità in questo blog). Tutto ciò rende i nostri politici un po' cinici e scettici, oltre che leggermente amareggiati, poiché in molti casi si mettono con l'intento di cambiare le cose ed invece le cose cambiano loro. Questo abbandono è un atteggiamento umano ma infantile ed è inaccettabile in chi deve fare da riferimento e guida ai propri cittadini in questi tempi difficili.
  • Tentare di risolvere la crisi con misure di risparmio energetico: Altri identificano giustamente che c'è un problema di energia, ma saltano la connessione energia-economía (come se fossero due aspetti differenziati ed indipendenti) e credono che ciò che si deve fare è spingere sul risparmio e l'efficienza energetica, oltre alla ricerca sull'energia rinnovabile. Non tengono conto che tutto ciò che uno risparmia lo consumerà un altro, perché il sistema economico cerca di massimizzare l'output (la produzione, di quello che sia, beni o servizi) e che pertanto il nostro sistema economico è programmato per lo spreco, non potendo funzionare efficientemente in altro modo. L'efficienza energetica, un altro dei luoghi comuni della proposta di azione politica, non è sempre ottenibile: a volte guardiamo solo ad una parte del ciclo di vita di un prodotto – per esempio l'uso di lampadine efficienti – senza tenere conto che la spesa energetica totale – per esempio maggior costo energetico di fabbricazione nell'utilizzare materiali rari, difficili da processare, importati da molto lontano ed il cui riciclaggio è costoso. Anche nei casi in cui si ottenga una maggior efficienza, in un'economia di libero mercato tale guadagno di efficienza implica un maggiore costo energetico e non minore (è detto il paradosso di Jevons, che Quim ha discusso in dettaglio in un post). In alcuni casi, quando ho segnalato questo problema con l'efficienza, i gestori giustamente hanno sottolineato la necessità di regolare il consumo di risorse, ma senza rendersi conto che l'attuazione di una restrizione legislativa tale è incompatibile con un sistema di libero mercato e che può dar luogo a molti problemi indesiderabili. Per ultimo, riguardo all'incentivazione della ricerca sulle energie rinnovabili, non è meno curiosa tale affermazione, come se non avessimo già investito e ricercato per decenni in tali fonti, come se siccome adesso ne abbiamo bisogno otterremo quello che vogliamo (e questo senza parlare dei limiti di massimo potenziale e di altro tipo che hanno). Ma ciò che mi allarma di più è che la gente che mi sente parlare di crisi energetica ed è consapevole, tende ad incidere sul risparmio energetico e non si rende conto che il suo problema non è energetico, in primo luogo, ma economico. Che differenza fa risparmiare energia (che alla fine consumerà qualcun altro) se il suo problema è che non ha capitale per pagarsi i suoi progetti, per il mantenimento dell'infrastruttura, per preservare l'impiego, per dar da mangiare alla gente... La crisi energetica è solo il sintomo, il problema è più grave e profondo e non è altro che l'insostenibilità di tale sistema economico e produttivo (e quindi finanziario) e per come è impostato. Tentare di agire sulla crisi energetica, il sintomo, è come pretendere di curare un cancro con l'aspirina solo perché al paziente fa male la testa.
  • Eccesso di garantismo: L'altro giorno, giustamente, quando ho cominciato a parlare più seriamente di questi temi ed i miei interlocutori erano disposti ad andare un po' più in là, è sorta una questione che credo a lungo termine sarà una questione chiave: la necessità, in certi momenti, di saltare come un torero la legislazione vigente. Non sto parlando, naturalmente, di trasgredire la legislazione penale né nessun'altra che influisca sulla salute ed il benessere delle persone, ma meramente di quelle amministrative, emerse da un ambiente di ampie risorse dove l'attività è più controllata e regolata e la parsimonia è la norma, il che può essere letale quando il tuo obbiettivo è assicurare cibo alla gente. Non ho potuto sviluppare il mio argomento perché i miei interlocutori si sono allarmati alla mia affermazione iniziale, posto che l'Amministrazione non deve violentare le norme (nonostante che lo faccia molto di frequente ed in materie penalmente più gravi). Tuttavia, penso a cose molto più semplici e banali. Per esempio, è certo che la normativa del Comune X non permette di avere un orto in un terreno abbandonato se non si soddisfano le procedure Y e Z. Bene, si tratta semplicemente di “chiudere un occhio” su questa normativa o anche di revocarla, se così risolviamo un problema più grande, anche se la città diventa un po' meno chic (per esempio nella mia città è proibito stendere il bucato se questo si vede dalla strada e quindi chi ha solo un balcone deve comprarsi un'asciugatrice se vuole evitare di pagare multe in continuazione). Insomma, che risulta conveniente avere un po' di margine per potersi adattare ad una situazione che ancora oggi suona come inimmaginabile e da pazzi, ma che fra non molto sarà il nostro pane quotidiano (che ci daranno ogni giorno).
  • Volontariato male inteso: L'altro giorno la nuova sindaca di Madrid ha fatto un appello perché i cittadini si facessero carico dei servizi in modo volontario (sembra incredibile, ma la notizia è vera). Il che è anche buono, perché uno degli elementi chiave della transizione è il sostegno della comunità. Ciò che dimostra che la signora sindaca non ha capito la sostanza della situazione è la sua affermazione: “mi piacerebbe che per questi spazi pubblici, centri culturali e polisportivi che abbiamo costruito e per i quali non possiamo fare fronte a tutte le le necessità che hanno a causa della crisi, i cittadini di Madrid si coinvolgessero per renderli redditizi". Il grassetto sta nella notizia originale ed è molto opportuno, perché lì sta la chiave dell'errore della signora sindaca, o del subconscio che l'ha tradita facendole dire quello che avrebbe dovuto tacere, ed è che la sua motivazione è la redditività, non il servizio. E 'chiaro che la strada da seguire è quella del coinvolgimento dei cittadini, di fronte a istituzioni che falliscono, anche se per cose più importanti che mantenere un centro polisportivo (il cui mantenimento, come accade sempre in Spagna, non viene considerato come spesa corrente del contraente). Succede che se gli amministrati assumono il ruolo degli amministratori, perché vogliono un'amministrazione? La socializzazione della gestione comporta la perdita di senso del Comune. Anche se molti Comuni potrebbero fallire e siano quindi questi municipi ufficiosi e volontari che esercitano il potere locale reale. In ogni caso questo tipo di “soluzione” non solo non risolve il problema, ma ne crea uno nuovo: quello dell'eliminazione dell'amministrazione locale in via di fatto (il che ricorda la terza frase del “collasso).
Insomma, una collezione curiosa di cattive pratiche per gestire una situazione inedita, quando più che mai c'è la necessità di chiarezza di idee e fermezza d'azione. Ma per la quale, probabilmente, il popolo stesso deve avere le idee chiare e la prima cose è, insisto, capire ciò che sta accadendo (ecco un testo semplice per coloro che ancora non lo capiscono) e di fronte a questo agire da adulti, non da bambini. Ora, tornate a leggere le proposte che abbiamo fatto a suo tempo e fermatevi a pensare se in realtà non sono molto più pratiche di ciò che si sta facendo.

Saluti,
AMT


Traduzione da "The Oil Crash" a cura di Massimiliano Rupalti

martedì 24 gennaio 2012

A che punto siamo con la crisi

Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash". 
Traduzione di Massimiliano Rupalti






Immagine da scitizen.com




20 Dicembre 2011
di Antonio Turiel


Cari lettori,

Ancora una volta facciamo l'inventario dei fatti rilevanti associati alla crisi energetica, ed al processo di degenerazione economica e sociale ad esso associato, accaduti durante l'anno che sta per finire. Mettendo insieme tutti i fatti si ottiene una prospettiva più chiara di come stanno rapidamente accelerando i problemi e meno rapidamente la presa di coscienza rispetto alle cause ultime dei problemi stessi. Dato che la lista è lunga, passo a riassumerla senza ulteriori indugi:

  • La primavera araba. Le tensioni nel prezzo degli alimenti, già sufficientemente evidenti durante la seconda metà del 2010, si sono acutizzate enormemente all'inizio dell'anno. Una politica malintesa di liberalizzazione dei prezzi ha portato al fatto che in molti paesi del nord Africa e del Medio Oriente il prezzo di molti alimenti di base (olio, farina, zucchero) crescesse di prezzo anche fino al 50%, praticamente dalla sera alla mattina. Ciò, in paesi in cui l'alimentazione rappresenta il 70% del reddito, era semplicemente insostenibile. Il primo paese dove si è verificata un'esplosione sociale è stata la Tunisia, seguita dall'Egitto, dalla Libia, Yemen, Barhein, Siria... In ogni paese la rivolta ha assunto caratteristiche diverse: così, in Tunisia la rivolta è stata principalmente popolare, mentre in Egitto l'esercito ha avuto un ruolo importante nel processo di transizione. In Libia si è scatenata la guerra civile e in Yemen la repressione è durata mesi, ma alla fine il presidente è caduto. Il Barhein è stato occupato dell'Arabia Saudita (e continua ad esserlo, anche se nessuno ne parla) e in Siria la repressione, sempre più violenta, non accenna a fermarsi. La sincronia delle rivolte e la caduta dei regimi autoritari che perduravano da vari decenni, tutti allo stesso tempo, indicano che le cause probabilmente comuni sono più esterne che interne, cosa che rafforza l'idea che il costo della vita insostenibile ha portato molti alla disperazione e alla rivoluzione: sono le rivolte della fame, delle quali abbiamo già parlato. Alcuni paesi hanno riconosciuto il potenziale pericolo ed hanno messo in atto programmi per l'assistenza alla propria popolazione più svantaggiata, come nel caso del Marocco e dell'Arabia Saudita. Nel caso di quest'ultimo paese, i piani di assistenza sociale posti in atto per neutralizzare il malcontento comportano costi finanziari tali che l'Arabia Saudita, principale esportatore mondiale, non può più permettersi che il prezzo di un barile di petrolio scenda al di sotto dei 95$. Questo secondo un' analisi di Paul Horsnell, capo ricercatore sulle materie prime della Barclays Capital. Ma, per contro, sappiamo che il prezzo di un barile di petrolio non dovrebbe superare gli85-90$ per evitare di cadere in una nuova recessione. Quindi non avremo una situazione agevole da ora in avanti e giustamente, ora che l'Europa si ritira dall'Iraq, suonano tamburi di guerra intorno all'Iran. Intanto, i prezzi dei generi alimentari rimangono alti ed i problemi di fornitura non sono stati affatto risolti.

  • La diminuzione di 1Mb/d (milione di barili/g)delle riserve.
    Come mette in evidenza l'ultimo Oil Market Report della Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) da più di un anno e mezzo il mondo sta consumando approssimativamente un milione di barili giornalieri (1 Mb/d) di petrolio in più di quelli che produce (vedere a pag. 55). Ciò è possibile perché si stanno riducendo le riserve industriali (quelle che le imprese conservano per garantirsi le normali operazioni) e quest'estate si è utilizzata anche una piccola parte delle riserve strategiche (quelle che sono conservate dalle nazioni per far fronte a possibili interruzioni nelle forniture). Il problema è precedente alle rivolte in Nord Africa e nel Medio Oriente ed è stato aggravato dalle stesse, specialmente la guerra civile in Libia, che ha comportato la perdita temporanea di 1,5 Mb/d che la Libia esportava (e dei quali per il momento se ne sono recuperati solo 0,6 Mb/d). A parte le violente interruzioni conseguenza delle rivolte, è ovvio che c'è un problema strutturale con la produzione e la fornitura di petrolio, nonostante la presunta capacità di riserva dell'OPEC (i barili che potrebbe produrre in un breve lasso di tempo ma che tengono di riserva per controllare i prezzi): esattamente quando è cominciata la guerra in Libia, era evidente l'incapacità dell'OPEC, in particolare dell'Arabia Saudita, di compensare questo deficit. L'Arabia Saudita ha tentato di camuffare la sua impotenza con dichiarazioni pompose, ma la cosa certa è che i movimenti in quel paese (ne abbiamo discusso nel post "La minaccia saudita") mostrano che stiamo già entrando nel cambio di era.

  • Il disastro di Fukushima.
    Come sapete già, l'11 di Marzo del 2011 un forte terremoto e un successivo tsunami hanno distrutto una buona parte della costa orientale del Giappone. Le vittime dirette di entrambi i disastri sono quasi 16.000, e la distruzione di numerose fabbriche sicuramente sta causando una certa scarsità di elementi di alta tecnologia su scala mondiale. Tuttavia, la maggior parte della gente ricorda principalmente il disastro della centrale nucleare di Fukushima-2 che, come conseguenza del terremoto, lo tsunami e la perdita di raffreddamento hanno portato alla fusione dei nuclei dei tre reattori che erano attivi al momento del sisma. Questo incidente nucleare giunge mentre si cominciavano a spegnere gli echi dell'ultimo incidente di gravità analoga, quello di Cernobyl in Ucrania di 25 anni prima, ed ha riaperto il dibattito sull'opportunità di continuare con l'energia nucleare. La Germania ha deciso di decommissionare immediatamente una parte delle proprie centrali nucleari più vecchie, mentre in altri paesi si annunciano moratorie. Tutto questo porta la IEA a dire, nel suo World Energy Outlook del 2011(di cui abbiamo dato un'eco qui), che non ci sono grandi piani di espansione per l'energia nucleare nel mondo, più che altro c'è una certa tendenza alla contrazione in Europa Occidentale (senza tener conto del picco di produzione dell'uranio, del quale la IEA sembra essere ancora meno consapevole che di quello del petrolio). Tutto questo aumenterà la pressione sulle altre materie prime energetiche, specialmente in Giappone.

  • Rapporto HSBC.
    Il 22 Marzo del 2011 la banca di investimenti HSBC (la decima al mondo per dimensione) fece uscire il suo rapporto "Energía nel 2050: le restrizioni di accesso al combustibile pregiudicheranno le notre proiezioni di crescita?" (in inglese). Il rapporto è abbastanza Business As Usual (BAU), ma conclude che c'è una tendenza reale all'aumento dei prezzi del petrolio e che ciò presuppone un rischio per la stabilità economica mondiale.
 




 


  • Joan Puigcercós. 
    Poco prima di lasciare la presidenza della Sinistra Repubblicana di Catalogna, Joan Piugcercòs è stato intervistato, nel marzo di quest'anno, in un programma di grande audience (in Catalogna) della rete catalana TV3. In questo programma (quí il link al vídeo) parla col presentatore di Peak Oil e delle sue gravi conseguenze per l'economia (fino al minuto 33). Un piccolo passo in più verso il riconoscimento del problema per la Spagna.

  • François Fillon. 
    Il primo ministro francese ha riconosciuto, il 5 aprile scorso davanti all'Assemblea Nazionale francese, che “la produzione di petrolio può solo diminuire”, come riferisce Crisis Energética (blog di Aspo-Spain). Niente pare essere dato per scontato a queste latitudini, nonostante nel paese d'oltralpe ci sia un certo dibattito (peraltro abbastanza ben smorzato).
    .

  • Jeremy Grantham.
    Il cofondatore di GMO, uno dei fondi d'investimento più grandi del mondo, ed autentico “squalo” di Wall Street, si è fatto un bel bagno di realtà quest'anno. Nella sua lettera trimestrale agli investitori del mese di Aprile li ha introdotti al concetto di “Peak Everything” o la Grande Scarsità, come ha commentato Juan Carlos Barba da questo stesso blog. Nella lettera di Luglio ha abbondato ancora di più riguardo ai concetti di limiti della crescita e sulla necessità di cambiare filosofia di investimento (anche questo è stato commentato, più brevemente, su questo blog). La lettera trimestrale che avrebbe dovuto uscire ad Ottobre è stata posticipata ed è appena uscita: la newsletter più breve mai scritta (da lui, è sottinteso). Nota: il link sarà in funzione fino alla pubblicazione seguente, dopo di che dovrete registrarvi al sito del GMO (è gratuito) per poter continuare ad accedervi.

  • Congresso di Barbastro.
    Nel Maggio di quest'anno si è celebrato il Primo Congresso Internazionale "Picco del petrolio: realtà o finzione?" a Barbastro. Non è la prima conferenza tematica di livello internazionale sul tema in Spagna (c'è stato anche il convegno ASPO del 2008 a Barcellona), ma era un buon momento per tastare il polso della consapevolezza nazionale sul problema...che è poca. Il congresso ha tenuto un livello molto buono, con presentazioni molto interessanti. Potete trovare una descrizione dettagliata dello stesso nel post "Barbastro nello specchietto retrovisore" ed anche in un artícolo di Crisis Energética.

  • Los indignados (gli indignati). 

    Con sorpresa di tutti, una manifestazione di protesta convocata da un incombente movimento cittadino, il 15M (che prende il nome dalla data di convocazione della prima manifestazione il 15 Maggio 2011) riesce ad aggregare qualcosa di diffuso ed esteso, la sensazione di rabbia nella società contro il progressivo processo di esclusione sociale al quale ci vediamo sottomessi (primi segni della temuta Grande Esclusione, probabilmente). La convocazione è un successo e nelle principali capitali spagnole scendono varie migliaia di persone che protestano contro i tagli e la regressione nel benessere sociale, contro l'usura delle ipoteche e le magre prospettive di lavoro. Alla Porta del Sole di Madrid, alcuni dei manifestanti, probabilmente ubriachi dell'emozione di verificare la buona risposta della città alla convocazione e con la voglia di andare oltre, di fare qualcosa di più, decidono di non muoversi dal posto e campeggiare lì, nel luogo più emblematico della Spagna, il punto da cui partono tutte le strade spagnole, il Chilometro Zero. Le autorità li tollerano un paio di giorni, ma il lunedì notte la polizia municipale di Madrid sgombera in malo modo le poche decine di persone accampate. Tempismo sbagliato: la stessa notte una moltitudine di 10.000 persone si ammassa nella piazza ed in altre città si verificano reazioni simili. Il movimento diventa conosciuto come quello degli indignati (prendendo probabilmente spunto dal piccolo libro di Stéphane Hessel). L'occupazione delle piazze ha avuto una recrudescenza quando a Barcellona la polizía tentò di sgomberare la Piazza di Catalogna con grande forza, e, a partire da quel momento, il movimento ha languito per poi isolarsi nelle assemblee di quartiere (nelle quali temo partecipi meno gente, quella più impegnata). Ma sono ancora lì come una catasta di legna in attesa di una nuova scintilla. E' quello che temono i politici tradizionali e che potrebbe essere la nostra ultima speranza.
 


  • Rivolte a Londra. 
    All'inizio di Agosto alcune proteste inizialmente pacifiche per la morte, a causa di colpi d'arma da fuoco (provenienti dalla polizia), di un piccolo criminale sono degenerati, dopo alcuni scontri iniziali con la polizia, nelle agitazioni più importanti, a Londra e nelle altre grandi città inglesi, degli ultimi decenni. Le agitazioni hanno potuto essere soffocate solo grazie ad un gran dispiego di forze di polizia per le strade, dopo una grande distruzione di proprietà e saccheggi generalizzati e si sono concluse con più di 3.000 arresti. Sulle cause di tale esplosione su scala tanto grande, gli esperti indicano la disillusione per le scarse prospettive di futuro in un paese dove le grandi regalie del petrolio stanno cessando ma hanno permesso di dare sussidi a tre generazioni di disoccupati sotto lo stesso tetto. Il maggior timore è che di fronte ad una nuova onda recessiva queste rivolte si ripropongano, aggravate.
  

  • Peter Voser. 
     L'amministratore delegato della Shell, Peter Voser, in un'intervista al Financial Times il 21 di settembre, ha ammesso che i pozzi di petrolio attualmente in produzione declinano ad un ritmo medio del 5% annuo e che nei prossimi dieci anni servirebbe mettere in produzione (non semplicemente trovare le riserve) l'equivalente di 4 Arabie Saudite, circa 36 Mb/d, semplicemente per mantenerci al livello di produzione attuale (che, come sappiamo, ci porta ad una crisi senza fine). Un'impresa tale è semplicemente impossibile. Ovviamente si metteranno in produzione nuovi pozzi ma non potranno compensare completamente questo declino, quindi è chiaro che, se è vero quello che dice il Sig. Voser, durante i prossimi anni vedremo cambiamenti radicali nelle nostre vite.

  • Occupy Wall Street. 
    Da certi movimenti iniziali di malcontento in Febbraio a Madison contro le politiche radicali del governatore del Wisconsin, il movimento di protesta di strada negli Stati Uniti è andato via via prendendo impulso e in settembre il movimento assume una dimensione completamente diversa con il marchio “Occupa Wall Street”. La classe media si sente sempre più indifesa, spossessata ed in pericolo e comincia a mostrare una certa reazione. Come in Spagna, il movimento è minoritario ma si percepisce che l'appoggio popolare è abbastanza ampio. Con maggiore o minore eco, le proteste si riproducono in tutto il mondo occidentale, dal Giappone alla Russia, recentemente Francia, Italia, Grecia ovviamente, ecc, e forse di minore entità, al momento, in Germania.

  • Colpi di Stato in Grecia ed Italia. 
    Durante tutto l'anno i problemi finanziari dei paesi periferici dell'Europa non hanno fatto che aggravarsi: l'anno scorso è stato necessario “salvare” la Grecia e l'Irlanda; quest'anno Portogallo e Italia e la Spagna è sull'orlo di esserlo (quello del “salvataggio”, lo abbiamo già spiegato, è mero sarcasmo). Con una grande contestazione di piazza, manifestazioni e disordini continui quasi ogni giorno per protestare contro le misure di austerità e tagli che sono aumentati, il primo ministro greco Yorgos Papandreu, il 30 ottobre, ha annunciato che avrebbe convocato un referendum per dare al popolo greco l'opportunità di esprimere se è d'accordo con il pacchetto di misure di austerità che il loro Governo vorrebbe applicare. I mercati reagiscono molto male a tale annuncio e in meno di una settimana Papandreu ha lasciato la guida del Governo greco e dall'Europa – è tutto dire – veniva imposto un governo di coalizione fra i due grandi partiti (di segno opposto) e condotto da Lucas Papademos, ex-Goldman Sachs e col profilo del tecnocrate. Non passa nemmeno una settimana che il gran prestigiatore, il maestro dell'elusione, il primo ministro italiano Silvio Berlusconi viene spinto a dimettersi, dal momento che l'Italia ha avuto bisogno dell'aiuto deciso dell'Unione Europea. Il nuovo primo ministro, Mario Monti, dal profilo accademico e tecnocratico, è un altro ex-Goldman Sachs. Il messaggio non può essere più chiaro: la democrazia è alla portata solo (almeno nominalmente) di coloro che se la possono pagare. Come se ci fosse qualche dubbio.

  • WEO (World Energy Outlook) 2011. 
    Abbiamo già commentato qui il difficile puzzle rappresentato dall'ultimo rapporto annuale della IEA. In mezzo ad avvertimenti minacciosi sul fatto che non ci basti il tempo per far fronte al pericolo dei cambiamenti climatici, il WEO del 2011 ci mostra uno scenario di stagnazione della produzione di petrolio convenzionale con tendenza al ribasso e combinato con cinque casi di studio, cinque “sottoscenari nello scenario”, quattro dei quali con possibilità inquietanti per il futuro. E soprattutto gli investimenti necessari da effettuare nei prossimi anni nel settore energetico sono, a dire della stessa IEA, grandiosi: 38 miliardi di dollari in 25 anni.
  • Scarsità mondiale di diesel. 
    Mentre sto scrivendo, il mondo si trova sotto l'effetto di una intensa crisi di scarsità, già reale, di diesel. C'è probabilmente scarsità di prodotti da raffinazione dovuta al fatto che una parte dei petroli non convenzionali, coi quali si supplisce alla caduta della produzione del petrolio convenzionale, non sono adatti per produrre il diesel in modo competitivo. E' solo questione di tempo e questa crisi, che condiziona tutti i paesi fuorché l'Europa ed il Nord America, finirà per arrivare anche lì. Dato che una parte considerevole del parco dei veicoli privati e tutto il trasporto ed i macchinari sono diesel, la sua mancanza potrebbe provocare problemi a cascata di una certa importanza.

  • Rapida degenerazione della condizione finanziaria europea.
    Tutti questi eventi avvengono sotto il segno di un degrado accelerato delle condizioni di finanziamento del debito pubblico nell'Unione Europea, di fronte alle quali i leader politici sono incapaci di trovare una soluzione e prendono solo misure destinate a ridurre il debito. La domanda che aleggia ora è quando cadrà la Spagna ed avrà bisogno di essere salvata.


Saluti,
AMT