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domenica 12 dicembre 2010

Il vertice di Cancun: in una buona causa non ci sono mai sconfitte


Se il Mahatma Gandhi fosse ancora con noi, sono sicuro che sarebbe fra i primi a combattere per l'umanità contro il cambiamento climatico. Molta della sua opera, in effetti, si legge ancora oggi come un invito alla sobrietà e a rispettare sia gli esseri umani sia tutto quanto fa parte della natura. In questo caso, mi pare che le sue parole "In una buona causa non ci sono mai sconfitte" si applicano al vertice di Cancun, recentemente concluso. I risultati non sono stati eccezionali, ma comunque sono qualcosa e in una buona causa non bisogna mai arrendersi. Qui di seguito, una riflessione di Luca Mercalli sull'argomento.



Ma i grandi vertici non servono



LUCA MERCALLI

Alla fine Cancún ha portato a casa un accordo definito «equilibrato». Tutti concordi sul fatto che contro il riscaldamento globale si debba agire, che si debbano stanziare fondi per i Paesi in via di sviluppo per la diffusione di energie rinnovabili e per la salvaguardia delle foreste. Ma la domanda è: i tempi della diplomazia sono compatibili con quelli della termodinamica?

Il sistema climatico, soggetto a implacabili leggi fisiche, è del tutto indifferente alle nostre difficoltà politiche ed economiche, e i segnali che giungono dall’ambiente sono giustamente inquietanti. La banchisa polare artica si sta riducendo al di là dei modelli più pessimisti elaborati negli scorsi anni e si ritiene che il ghiaccio marino estivo sarà pressoché scomparso verso il 2030. La concentrazione di CO2 in atmosfera è oggi di 390 parti per milione.
Mentre il valore ritenuto sicuro per evitare cambiamenti climatici inediti per la specie umana è di 350 parti per milione.

In questo contesto, anche con accordi più severi, si rischia comunque un aumento termico dell’ordine di tre gradi entro fine secolo, il che non sarà una passeggiata per la civiltà. Quindi, che fare?

Cancún e Copenhagen mostrano che l’epoca delle grandi conferenze mediatizzate e onnicomprensive è al tramonto. Troppa attesa concentrata in negoziati ora febbrili, ora stancamente trascinati, spesso bloccati su questioni formali. Meglio dunque un flusso continuo di intese multilaterali che risolvano via via le varie questioni che sorgono tra singoli Paesi o blocchi economici. Ma il vero obiettivo è la diffusione di una consapevolezza globale che porti a una corale condivisione dal basso dell’urgenza di agire, della necessità di mettere al servizio di questa enorme sfida tutti i saperi, tutte le risorse e tutta la creatività in grado di spingere la politica internazionale a fare molto di più di quanto oggi si possa immaginare.

Tocca ribaltare l’attuale criterio di delega assoluta alla politica per la soluzione dei problemi mentre nel frattempo si aspetta inerti.
Almeno nel mondo industrializzato ognuno ha la possibilità di assumersi fin da subito le proprie responsabilità: consumi sobri, efficienza energetica, pannelli solari, trasporti morigerati, riduzione dei rifiuti. Sono scelte che non hanno bisogno di aspettare né Cancún né Durban. E i migliori cervelli del mondo è ora che riflettano sull’evoluzione del modello economico e demografico imperante: la crescita infinita dei consumi e della popolazione non è infatti compatibile con la finitezza delle risorse terrestri e la stabilità del clima.

Invece che di crescita, vogliamo cominciare a parlare dell’economia in «stato stazionario»?
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