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martedì 17 maggio 2016

Cinismo, resilienza e transizione

di Jacopo Simonetta

Il cinismo non è mai stato popolare.  Si può capire, ma un po’ di cinismo potrebbe invece essere uno strumento molto utile da tenere nella propria cassetta degli attrezzi per la transizione.

Cinismo Vintage

“Cinico”  oggi si usa per indicare qualcuno interessato esclusivamente al proprio tornaconto personale, del tutto privo di scrupoli morali e di qualsivoglia empatia per il prossimo.   Insomma, un sociopatico grave, o un astuto farabutto che dir si voglia.  

Interessante è il fatto che la seconda definizione (astuto farabutto) può essere usata sia in senso dispregiativo che come complimento, a seconda dell’ambiente di riferimento.   Cioè a seconda della percentuale di suoi simili fra coloro che ne parlano.

Tuttavia non era questo il significato originale del termine.   I cinici greci erano fior di filosofi che perseguivano la felicità tramite una strada particolarmente impervia, ma proprio per questo interessante per chi si pone il problema di essere felice in tempi difficili.

Punto primo: niente utopie, niente illusioni, niente “bicchieri mozzo pieni” quando hai sete.   Soprattutto imparare a guardare la realtà per come è e non per come ci piacerebbe che fosse.   Contare solo su sé stessi, non perché sociopatici, ma perché non puoi mai prevedere cosa davvero farà un’altra persona.   Del resto, è capitato a tutti di ricevere un aiuto da dove meno te lo aspettavi, mentre anche i più fidati amici e parenti qualche volta ti piantano in asso.   Magari senza neanche accorgersene.   E noi stessi, non facciamo esattamente così?

Questo non significa negare che esistano cose come l’altruismo e la fortuna, significa imparare a non farci troppo conto.   Del resto, i cinici non faceva affidamento neppure sugli Dei che, secondo loro, non potevano essere né influenzati, né previsti.   Dunque poco avevano a che fare con quella felicità che cercavano.

Altro punto fermo era infatti  che la felicità dipende sostanzialmente dal soddisfacimento dei propri desideri.   Quali che siano, altamente spirituali o puramente materiali non fa gran differenza; siamo felici nella misura in cui li realizziamo.

Ma se è così, quale mezzo migliore per raggiungere la felicità che far piazza pulita dei propri desideri?    Magari non riusciremo ad eliminarli tutti, ma è positivo che meno numerosi e più semplici sono i nostri desideri, più facilmente saranno soddisfatti.   Un concetto questo cardinale anche in numerose altre scuole filosofiche europee e non.   Ma oggi anche il modo di “portare l’attacco al cuore del sistema” che è basato sull'esatto contrario: l’infelicità costante di chi desidera sempre qualcosa di più di quello che ha.

Un terzo punto fondamentale del cinismo era il plateale disprezzo per tutte le convenzioni e convenienze sociali.   Spesso spinto fino all'aperta e ricercata provocazione, come il celebre Diogene di Sinope che, se ne aveva voglia, andava in giro nudo ed insultava la gente che gli rivolgeva la parola.   Così, tanto per insegnare loro che la buona educazione non è che un orpello inutile.   Penso che se Diogene fosse vissuto oggi sarebbe stato un grande troll su internet.

Cinismo e resilienza

Dunque il cinismo è una filosofia che fornisce una solida base d’appoggio per contenere le inevitabili ondate di depressione che prendono chi, volente o nolente, vive la decrescita.  Quella vera:  fatta non solo di orticelli e baratto, ma soprattutto di perdite e rinunce,  di sogni infranti ed illusioni perdute.

Tutte cose che possono anche portare una persona al suicidio, senza nemmeno una ragione dal momento che, perlopiù, in realtà non sono neanche mai esistite.   E se anche sono esistite, ma non vi sono più i presupposti perché possano esistere in futuro, a che vale soffrirne?   Il passato esiste solamente nelle conseguenze di ciò che è stato e restarci attaccati ha l’unico risultato di popolare il nostro presente di fantasmi.

Dunque lasciare cadere tutto ciò come un albero le foglie d’autunno è la migliore difesa che abbiamo contro la rabbia e la disperazione; così come contro le illusioni.   Cioè contro tutti i nostri peggiori consiglieri.

Ma, si badi bene, nell'ottica del cinismo non si tratta di una rinuncia sofferta come in tanta mistica cristiana, specialmente rinascimentale.   Niente di più lontano dalla filosofia cinica che il cilicio; oppure la rinuncia ed il sacrificio in attesa di un premio che seguirà.   I discepoli di Antistene non si aspettavano niente da questa vita ed ancor meno dalla prossima.   Anzi, probabilmente neanche credevano che una vita post-mortem esistesse.

Al contrario, il cinico cerca di vivere secondo natura, come gli animali cui basta avere la pancia piena ed un posto tranquillo dove riposare fra amici per essere felici.   Liberarsi dei desideri e delle illusioni serve al cinico per rimuovere altrettante cause di sofferenza e preoccupazione.   Insomma un atteggiamento semmai simile a quello degli eremiti della prima cristianità, al punto che alcuni studiosi come John Dominic Crossan hanno suggerito che lo stesso Cristo fosse in realtà un maestro cinico.   Un’ipotesi con ogni probabilità sbagliata, ma interessante in quanto dimostra la compatibilità di questa filosofia con le religioni monoteiste moderne.

Meno utile, a mio avviso, è il disprezzo per le convenzioni sociali, fino alla ricercata maleducazione.   Le forme sono infatti importanti per mitigare e contenere gli inevitabili attriti all’interno di un gruppo sociale qualunque.   E’ pur vero che sono largamente il risultato di processi inconsci di stratificazione culturale.  Vero anche che spesso sono stupide e noiose, ma è anche vero che rispettarle risparmia scontri diretti e magari violenti.   In pratica, evolutivamente, si tratta né più né meno che di un processo di ritualizzazione, fondamentale per ridurre i conflitti interni e, quindi, aumentare la capacità collettiva di resistere e reagire alle minacce esterne.

Esercizi di cinismo

Se qualcuno avesse trovato questo approccio interessante, cinicamente, gli consiglio di fare subito un esercizio: pensare a qualcosa che gli sta particolarmente a cuore sfrondandolo di  tutto ciò che normalmente usa per esorcizzare la paura ed il dolore.   La via del cinismo non è infatti facile.   E’ vero che se riuscissimo a rinunciare alla nostre illusioni smetteremmo di soffrire per le delusioni.   Ma questo risultato passa necessariamente attraverso la rinuncia alla consolazione che le illusioni ci possono temporaneamente dare.

Facciamo un esempio pratico.   Mario Rossi paga ogni mese un terzo delle sue magre entrate per la previdenza sociale.   Ogni volta che paga soffre, ma si consola pensando che fra 15 o 20 anni toccherà a lui essere pensionato e saranno altri a pagare per lui.   Ha ricevuto una busta arancione: non avrà molto, ma meglio di niente.  

Un cinico gli farebbe però osservare che nella busta non c’è scritto quanto potrà comprare con quella cifra fra 15 0 20 anni.  Ed anche che l’INPS continuerà ad esistere a condizione che il sistema politico, economico e finanziario attuale continui ad esistere e funzionare più o meno come ora. Davvero Mario può contare sul fatto che nel 2030 il sistema attuale sia ancora abbastanza funzionale da occuparsi di lui?  Non c’è bisogno di immaginare i 4 cavalieri dell’apocalisse, basta osservare in maniera disincantata le tendenze in atto e quello che sta succedendo in un numero rapidamente crescente di paesi.

Ma allora in cosa il cinismo può aiutare Mario?    A deprimerlo adesso invece che dopo?
A mio avviso lo può aiutare perché se riesce a farsi una ragione del fatto che oggi paga, ma che domani non avrà nulla, può prepararsi almeno psicologicamente, e magari anche materialmente, ad una vecchiaia breve e povera.   Ma non necessariamente tragica.

Ad esempio, Mario potrebbe rinunciare ad acquistare quella casetta che non avrebbe mai potuto finire di pagare e così, perlomeno, potrebbe non avere debiti.   Potrebbe anche imparare a vivere di poco e scoprire che non ha nessun vero bisogno del 90% delle cose che possiede, dunque perché piangerne l’eventuale perdita?

Per di più, imparando a vivere poveramente adesso che ha ancora dei margini di manovra, sarà esperto domani, quando quei margini non ci saranno più.   Anche il fatto di vivere presumibilmente meno dei suoi genitori potrebbe smettere di terrorizzarlo.    Un cinico non teme la vita che è oggettivamente pericolosa, figuriamoci se può temere la morte che rappresenta la fine di ogni pericolo e sofferenza!

L’esercizio va ripetuto con argomenti via via più delicati, fino a quelli cui attribuiamo la nostra stessa identità.   Chi siamo?   Gente buona ed altruista?   Oppure siamo solo gente che si illude di poter far del bene agli altri senza rinunce per se o per i propri figli?   Stiamo pensando di condividere il nostro benessere o l’altrui miseria?   Quali e quante favole ci stiamo raccontando a proposito di decrescita, transizione, immigrazione, accoglienza, pace e guerra?

E’ importante pensarci perché molto spesso si fanno oggi cose che poi si rimpiangono, solo perché ci siamo ostinati a credere nelle nostre illusioni personali e collettive.


Cinismo versus buonismo e cattivismo

Il buonismo è una grave malattia sociale, che induce le persone a compiere scelte autolesioniste nella certezza che questo non avrà conseguenze negative per loro, per l’ambiente o per altro che si voglia. In pratica, un’idea di almeno parziale invulnerabilità.  Come se l’essere miti e condiscendenti ponesse automaticamente al riparo dalle aggressioni altrui o, più semplicemente, dalle conseguenze delle nostre scelte.

Le reazione ai disastri provocati dal buonismo è di solito il cattivismo, che non è che l’errore eguale e contrario.   Anche il cattivismo è infatti basato su di un’illusione di invulnerabilità.  Come se essere delle carogne rendesse più forti.   Oppure, come se aggredire ponesse automaticamente al riparo dalle aggressioni altrui o, anche in questo caso, dalle conseguenze delle nostre scelte.   Di solito, il contrario di una cattiva idea è un’altra cattiva idea e questo è un caso tipico.

Il cinismo, o meglio una certa dose di cinismo, può invece rappresentare un’alternativa costruttiva ad entrambe queste illusioni.   Per capirsi, un eccellente esempio di vero cinismo è quello di un medico del pronto soccorso che si vede recapitare 10 feriti e ne può curare solo uno per volta.   Se sa fare il suo lavoro, sceglierà chi operare per primo perché è grave, ma può farcela, lasciando indietro quelli meno gravi ed in ultimo quelli che sono comunque spacciati.

E forse è proprio questa l'ultima soglia che rifiutano di varcare anche la maggior parte di coloro che cercano di prepararsi ad un futuro "postpicco".   L'accettare che ci sono situazioni che possono essere modificate ed altre che no, per quanto doloroso questo possa essere.   In Inglese si usa il termine di "predicament" per dire "situazione ineluttabile".

Essere cinici aiuterebbe a distinguere quando si può fare qualcosa e quando no.   Chi possiamo aiutare e chi no (o quando possiamo essere aiutati e quando no).   Una capacità questa che nessun corso di transizione o di resilienza sviluppa, che io sappia, ma che è vitale.    Dedicarsi all'impossibile non solo toglie risorse al possibile, ma facilmente peggiora considerevolmente la situazione di alcuni, mitigando assai poco quella di altri.





sabato 27 febbraio 2016

La sinistra di fronte al collasso della civiltà

Nota: in questo elenco su come prepararsi ad un futuro postpetrolio mancano molte cose, in particolar modo l'implementazione di una rete di energie rinnovabili che faccia da cuscinetto nel passaggio da una società industrializzata in ogni suo aspetto ad una che, in un prevedibile futuro, potrebbe essere anche completamente deindustrializzata o ad una con una struttura industriale molto ridotta. E non si fa accenno al problema climatico e a quello dell'eccessiva popolazione, per esempio. Tuttavia l'elenco, pur parziale, potrebbe servire come base di discussione su quanto le amministrazioni pubbliche ed i governi potrebbero (e dovrebbero) fare per favorire la transizione. Spesso chiediamo cose ai governi/amministrazioni e lo facciamo con atteggiamenti rivendicativi, ma sono persuaso che nemmeno noi, "la gente", abbiamo le idee poi così chiare. Aggiungete i vostri punti/suggerimenti fra i commenti, magari questo potrebbe essere un primo tentativo di visualizzazione collettiva di quanto ci serve per il futuro. Buona lettura. Massimiliano.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Cari lettori,

per i lettori di questo blog che vivono in Galizia, da quelle parti sapranno già della recente pubblicazione del libro “A esquerda ante o colapso da civilización industrial – La sinistra di fronte al collasso della civiltà industriale”, un saggio di Manuel Casal Lodeiro, attivista e mebro attivo di un'associazione molto conosciuta in queste pagine, Véspera de nada. Inoltre, Manuel è anche il coordinatore della rivista post-collassista “per una nuova civiltà” 15/15\15.


"A esquerda ante o colapso da civilización industrial” è, in un certo senso, la continuazione della “Guida per la discesa energetica” che ha pubblicato Véspera de nada due anni fa, ma in questo caso il libro è concentrato direttamente sul terreno politico. Come sta reagendo la sinistra di fronte al collasso che sta cominciando? Come, e perché, dovrebbe reagire? Queste sono le domande alle quali cerca di rispondere l'autore, soffermandosi soprattutto sul panorama politico galiziano, ma guardando anche la Catalogna, i Paesi Baschi e il resto dello stato spagnolo o persino alla Grecia di Syriza. Il libro offre alcuni materiali aggiuntivi sotto forma di allegato che sono particolarmente interessanti. Uno di questi consiste in un gruppo di misure che qualsiasi governo dovrebbe affrontare per cominciare la “transizione” necessaria verso un mondo in declino energetico e che Pau Valverde Ferreiro, uno dei lettori-mecenati del libro, ha tradotto in castigliano per ampliarne la diffusione. Mentre attendiamo l'edizione spagnola di “La sinistra...” (che proprio adesso è in discussione, anche quella portoghese), d'accordo con Manuel abbiamo deciso di condividere l'allegato da questo blog. Allo stesso tempo, vi invitiamo a conoscere gli altri contenuti che l'autore sta pubblicando nel sito web esquerda.colapso.info.

Saluti.
AMT

giovedì 11 febbraio 2016

Il collasso finanziario come esempio di “Dirupo di Seneca”

Da “The Seneca Trap”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Il concetto di “Collasso di Seneca” è stato discusso su "Zero Hedge", dove  Tyler Durden ha riprodotto un articolo apparso in precedenza sul sito di Charles Hugh Smith.  Smith dice:

Propongo che la Recessione Globale del 2016 seguirà il Dirupo di Seneca come descritto da Ugo Bardi.  ... Penso che si possa sostenere che il sistema finanziario/economico globale è pronto per una bella corsa verso Dirupo di Seneca. 

Questo ha molto senso. Nella gerarchia dei sistemi complessi, il sistema finanziario è infatti uno dei più facilmente inclini al collasso. Molti sistemi biologici e sociali hanno sistemi interni per gestire le emergenze e contrastare le perturbazioni esterne che potrebbero mandare il sistema fuori equilibrio. Nei sistemi biologici abbiamo, per esempio, il sistema immunitario. Nei sistemi sociali abbiamo l'esercito, i pompieri ed altri. Ma il sistema finanziario non ne ha nessuno, perlomeno nessuno che sia integrato nel sistema. In realtà si potrebbe sostenere che il sistema finanziario mondiale sia costruito di proposito per essere instabile, anche se certe entità esterne – i governi – potrebbero cercare di stabilizzarlo.

Naturalmente, l'applicazione del fenomeno di Seneca al sistema finanziario è in qualche modo una cosa diversa dal modello che ho sviluppato. Si potrebbe sviluppare un modello migliore per il collasso finanziario, probabilmente, a partire dal modello di collasso delle reti complesse sviluppato da Bak et al. Ma, alla fine, si tratta dello stesso fenomeno: il collasso rapido dei sistemi complessi è una proprietà delle reti connesse, dove il crollo di uno o più collegamenti potrebbe generare una cascata di collegamenti spezzati che fanno crollare il sistema ad uno stato di complessità inferiore. Nel mio modello, ci sono solo tre nodi nella rete, ma questo è sufficiente a generare un rapido collasso.

Ma per cosa sono questi modelli? Il concetto di collasso di Seneca applicato al sistema finanziario non è proprio uno strumento per prevedere qualcosa. Sappiamo che dei collassi finanziari sono già avvenuti in passato e non saremo sorpresi se avverranno di nuovo in futuro. I modelli sono, piuttosto, un quadro di riferimento per capire le ragioni del collasso. Il messaggio principale, in questo caso, è che la maggior parte dei sistemi complessi è fragile e tende al collasso, a meno che non esista qualcosa che operi per stabilizzarli. Ed un problema dell'economia convenzionale è che, come osserva Smith:

Gli economisti convenzionali sono completamente ciechi rispetto alla fragilità del sistema. Non c'è alcuna formula econometrica del culto keynesiano che misuri la fragilità sistemica, quindi semplicemente è qualcosa che non esiste all'interno dell'economia convenzionale. 

E' un problema? Forse non tanto, perlomeno a lungo termine. I sistemi fragili collassano e scompaiono, quelli resilienti tendono a sopravvivere e prendere il sopravvento. E' sempre stato così, si chiama selezione naturale. Alla fine, tramite tentativi ed errori, impareremo come gestire i sistemi complessi. Non sarà indolore ma, d'altra parte, nessuno ha mai detto che la vita fosse giusta. Solo movimentata.



sabato 19 settembre 2015

Controintutitivo: (Un po' di) volatilità dei mercati è buona, la stabilità non tanto

Da “Resource Insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Con le borse del mondo che precipitano e i prezzi dei beni in picchiata, sembra appropriato tornare al tema di cui ho parlato in precedenza, cioè del fatto che una certa quantità di volatilità finanziaria è cosa buona per gli esseri umani e per i sistemi che costruiscono e che i tentativi di soffocare la naturale e salutare volatilità di un sistema può portare alla fine ad una maggiore, e persino catastrofica, volatilità. Tutto questo va contro la propaganda con la quale veniamo intrattenuti quotidianamente. Per esempio, agli investitori viene detto che minore è la volatilità dei loro portafogli, minore è il rischio. Ma nel 2008 questo si è rivelato essere falso. Più di recente, man mano che la volatilità nell'ampiamente seguito S&P 500 si è assestata ai minimi storici, quest'anno, gli investitori hanno creduto che la magia della volatilità bassa fosse un fatto permanente. Le banche centrali, attraverso i loro interventi periodici quando i mercati hanno iniziato a crollare, avevano in qualche modo approntato una situazione senza possibilità di perdere per gli investitori. Sarebbe stato vento in poppa per... be', per sempre, se si ascolta Wall Street.

lunedì 7 settembre 2015

La gestione della cacca urbana

Dafromfilmerstofarmers”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)


Un impianto di trattamento fognario ad Amburgo, in Germania: la cacca non è mai stata così bella (foto: Mark Michaelis)

I saggi del dottor Merdaiolo ("pooper" in originale), numero 3:

Proprio la settimana scorsa la Città di Toronto è stata informata dal Ministro dell'Ambiente che ora deve avvertire la popolazione ogni qualvolta gli impianti di trattamento delle acque vengono bypassati e gli scarichi vengono mandati nel lago Ontario. Si dice che queste evenienze siano dovute alle forti piogge che chiedono il loro pedaggio sul “vecchio sistema fognario” di Toronto, una cosa che si dice che avvenga circa 3 volte al mese, per tutto l'anno. Secondo Mark Mattson, direttore della onlus Lake Ontario Waterkeeper, le strade e i porti di Toronto sono state inondate da più di un miliardo di litri di liquami nel luglio 2013, quando sono caduti più di 90 mm di pioggia sulla città in sole due ore. Ciò, tuttavia, non sembra essere un'avvenimento straordinario, visto che lo stato di New York quest'estate ha analogamente promulgato leggi che richiedono di avvertire la popolazione entro quattro ore degli scarichi inviati nei loro bacini. “Penso che ci sia una vera richiesta di questa informazione”, ha detto Mattson, un punto difficile da confutare visto che “diportisti, canoisti ed escursionisti su molti fiumi e sentieri” menzionati da Mattson probabilmente non vogliono imbattersi in un'invasione di roba marrone galleggiante nelle loro passeggiate del sabato pomeriggio.

sabato 12 luglio 2014

Il pensiero sistemico e il futuro delle città

Da “Post Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di David Orr


Foto: Stuck in Customs / Flickr. Licenza Creative Commons 2.0. “Viviamo tutti in un mondo interconnesso”, sostiene l'autore.

In breve

L'idea che niente esista isolatamente – ma solo come parte di un sistema – è stata a lungo parte del folklore, delle scritture religiose e del senso comune. Tuttavia, le dinamiche dei sistemi come scienza deve ancora trasformare il modo in cui portiamo avanti gli affari pubblici. Questo articolo dapprima esplora brevemente la questione del perché i progressi nella teoria dei sistemi non sono riusciti a trasformare la politica pubblica. La seconda parte descrive i modi in cui la nostra comprensione dei sistemi stia crescendo – non tanto dalla teorizzazione, ma dalle applicazioni pratiche in agricoltura, progettazione degli edifici e scienza medica. La terza parte si concentra su se e come questa conoscenza e la scienza dei sistemi possano essere diffuse per migliorare la gestione urbana di fronte alla rapida destabilizzazione climatica di modo che la sostenibilità diventi la norma, non una storia di successo occasionale.

Concetti chiave


  • La riduzione degli interi a parti è il cuore della visione del mondo scientifica che abbiamo ereditato da Galileo, Bacone, Descartes e dei loro moderni accoliti nelle scienze economiche, nell'efficienza e nella gestione. 
  • I decenni fra il 1950 e il 1980 sono stati l'era d'oro della teoria dei sistemi. Tuttavia, nonostante un gran parlare di sistemi, continuiamo ad amministrare, organizzare, analizzare, gestire e governare sistemi ecologici complessi come se fossero una raccolta di parti isolate e non un'unione indissolubile di energia, acqua, suoli, terra, foreste, biota ed aria. 
  • Gran parte di ciò che abbiamo imparato gestendo i sistemi reali è cominciato con l'agricoltura. Una delle lezioni più importanti è stata che la terra è un organismo in evoluzione di parti collegate: suoli, idrologia, biota, natura selvaggia, piante, animali e persone. 
  • La sfida è quella di far transitare la complessità urbana organizzata costruita su un modello industriale e progettata per automobili, espansione e crescita economica in luoghi coerenti, civili e duraturi. 
  • Una prospettiva sistemica per la gestione urbana è una lente attraverso la quale potremmo vedere più chiaramente nella nebbia del cambiamento e gestire potenzialmente meglio le complesse relazioni di causa-effetto fra i fenomeni sociali ed ecologici. L'applicazione dei sistemi offre almeno sei possibilità di migliorare la gestione urbana.  


Un sistema è un insieme di elementi interconnessi che è organizzato coerentemente in un modo che ottenga qualcosa... deve consistere in tre tipi di cose: elementi, interconnessioni e una funzione o scopo. 
—Donella Meadows, Pensare sistemico (1)

Un sistema è (a) un insieme di unità o elementi interconnessi di modo che i cambiamenti di alcuni elementi o delle loro relazioni produca cambiamenti nelle altre parti del sistema e (b) l'intero sistema esibisce delle proprietà e dei comportamenti che sono diversi da quelli delle parti. 
—Robert Jervis, Effetti dei Sistemi (2)

Una delle idee più importanti della scienza moderna è quella di un sistema. Ed è quasi impossibile da definire.
—Garrett Hardin, La Cibernetica della Competizione (3)

Storia della Teoria dei Sistemi

I decenni post bellici fra il 1950 e il 1980 sono stati l'era d'oro della teoria dei sistemi. Sulla base dei progressi nelle comunicazioni, nelle oprazioni di ricerca e nella cibernetica dalla Seconda Guerra Mondiale, Kenneth Boulding, James G. Miller, Ludwig von Bertalanffy, C. West Churchman, Herbert A. Simon, Erwin Laszlo, Jay Forester, Dennis e Donella Meadows, Peter Senge ed altri hanno scritto in modo persuasivo del potere dell'analisi dei sistemi (4, 5). Si diceva che i benefici erano molti. Il pensiero sistemico ci avrebbe permesso di percepire gli schemi che connettevano cose altrimenti sparpagliate e di rilevare la logica contro-intuitiva che soggiace ad una realtà spesso ingannevole, creando pertanto diagnosi, politiche e piani più coerenti. I benefici reali della teoria dei sistemi, tuttavia, sono rimasti in gran parte nel regno dei computer e della tecnologia di comunicazione. Altrove, il business as usual ha proceduto tranquillamente imperturbato. Nonostante la logica intrinseca del pensiero sistemico, governi, multinazionali, fondazioni, università ed organizzazioni no-profit funzionano ancora in gran parte suddividendo temi e problemi nelle loro parti separate ed affrontandole separatamente.

 Agenzie, dipartimenti ed organizzazioni separate si specializzano in energia, terreno, cibo, aria, acqua, natura selvaggia, economia, finanza, regolamenti edilizi, politiche urbane, tecnologia, salute e trasporti – come se ognuno di questi temi non fosse collegato agli altri. Così, un'agenzia spinge forte per far crescere l'economia mentre un'altra è incaricata di ripulire il pasticcio risultante e così via, vale a dire che la mano sinistra e la mano destre raramente sanno – o si interessano a – ciò che sta facendo l'altra. I risultati sono spesso controproducenti, eccessivamente costosi, rischiosi, a volte disastrosi e quasi sempre ironici. La modellazione sistemica, per esempio, ci ha permesso di prevedere e capire la catastrofe incombente del cambiamento climatico rapido, mentre i fallimenti sistemici nel governo, nelle politiche e nell'economia hanno finora paralizzato la nostra capacità di fare qualcosa per questo. La teoria dei sistemi, in breve, deve ancora avere il suo momento copernicano e le ragioni sono ironicamente incorporate nella rivoluzione scientifica stessa.

Il ridurre interi a parti, vedi “riduzionismo”, è il cuore della visione del mondo scientifica che abbiamo ereditato da Galileo, Bacone, Descartes e dei loro moderni accoliti nelle scienze economiche, nell'efficienza e nella gestione. Per un periodo, il riduzionismo ha operato miracoli scientifici, tecnologici ed economici. Ma, quando abbiamo acquisito potere, ricchezza, velocità, convenienza, apparente controllo sulla natura e fiducia in noi stessi, abbiamo pagato un prezzo considerevole che Faust (quello di Marlowe, non quello di Goethe) avrebbe riconosciuto. Come Faust, abbiamo agito a breve termine, trascurando costi e rischi a lungo termine che potevano essere visti solo da una prospettiva sistemica. I risultati sono sconcertanti. A tempo di record, abbiamo stracciato interi ecosistemi, acidificato gli oceani, spazzato via specie intere, dilapidato il suolo fertile, abbattuto foreste e cambiato la chimica dell'atmosfera.

“Siamo”, nelle parole di Edward Hoagland, “ancora in parte scimpanzé con una doppia laurea in prove ed errori”. Nel mondo reale, le cose tornano a farsi sentire, ci sono punti di non ritorno, sorprese, proprietà emergenti, cambiamenti di passo, ritardi temporali e imprevedibili e catastrofici eventi di “cigno nero” con effetti globali che durano a lungo. Per prevedere ed evitare queste cose serve un atteggiamento mentale capace di vedere le connessioni, gli schemi e la struttura dei sistemi, così come una visuale ben oltre il bilancio trimestrale o le prossime elezioni. La saggezza comincia con la consapevolezza che viviamo in mezzo delle complessità che non possiamo mai comprendere pienamente, per non parlare di controllarle. Ma la prudenza non è stata parte dell'esuberanza a prova di pallottola scritta nella nostra idea di progresso, né nei documenti fondamentali dell'America.


Foto: lo staff di fotografi della Casa Bianca. Jimmy Carter, Gerald Ford e Richard Nixon alla Casa Bianca nel 1978. Gerald Ford ha giocato un ruolo importante nel far firmare la Legge Nazionale per l'Ambiente da Richard Nixon nel 1970. 

Concepita da uomini in gran parte influenzati dall'Illuminismo – ignoranti di ecologia e timorosi dell'eccessiva autorità – la Costituzione degli Stati Uniti, per esempio, non dà alcun “fondamento chiaro, non ambiguo e testuale per una legge di protezione federale dell'ambiente”, nelle parole dello studioso di diritto Richard Lazarus. Essa privilegia “la legislazione decentralizzata, frammentata e incrementale... che rende difficile affrontare problemi in modo complessivo e olistico”. Comitato delle giurisdizioni del Congresso basati sul fatto che la Costituzione frammenta la responsabilità e i risultati legislativi. La Costituzione dà troppo peso ai diritti privati al contrario dei beni pubblici. Non menzione né l'ambiente né la necessità di proteggere i suoli, l'aria, l'acqua, la natura selvaggia e il clima – e non offre quindi nessuna base inequivocabile per la protezione ambientale. La clausola del commercio – la fonte di grandi statuti ambientali – è una base legale ingombrante e scomoda per la protezione ambientale. Il risultato, osserva Lazarus, è che “le nostre istituzioni legislative sono particolarmente inadatte per il compito di considerare i problemi e di creare le soluzioni legali della dimensione spaziale e temporale necessaria per la legge ambientale. (9) In altre parole, il nostro modo di governare è spesso ecologicamente distruttivo.

La Legge di Politica Ambientale Nazionale (1970) puntava a rimediare a tali mancanze. Richiedeva a tutte le agenzie federali di “utilizzare un approccio sistematico ed interdisciplinare che assicurerà l'uso integrato delle scienze naturali e sociali e le arti di progettazione ambientale nella pianificazione e nel prendere decisioni”. La Legge richiedeva pianificazione sistemica, ma oltre ai requisiti per le valutazioni di impatto ambientale per i progetti finanziati a livello federale, non aveva potere. Con poche eccezioni, le cose sono andate avanti come prima. Il risultato è questo, nonostante il gran parlare di sistemi, continuiamo ad amministrare, organizzare, analizzare, gestire e governare sistemi ecologici complessi come se fossero una raccolta di parti isolate e non una unione indissolubile di energia, acqua, suoli, terra, foreste, biota ed aria. L'idea della sostenibilità sembrerebbe implicare che il rimedio sia un approccio sistemico alla gestione ambientale, ma la realtà è diversa. Gli sforzi in direzione della sostenibilità sono a loro volta negli argomenti specifici di energia, agricoltura, inquinamento dell'aria, inquinamento dell'acqua, silvicoltura, edilizia verde e così via, così che le parti non sostengono un intero più ampio. Tuttavia, la biosfera ed i suoi ecosistemi costituenti sono indifferenti alla mera convenienza umana e alle illusioni, spietata con la tracotanza e senza rimorsi nell'esigere ciò che le è dovuto. Coma qualcuno una volta ha detto, “Dio potrebbe perdonare i nostri peccati, ma la natura no”.

Come viene applicata oggi la teoria dei sistemi?

Gran parte di ciò che abbiamo imparato sulla gestione dei sistemi reali è cominciato con l'agricoltura, in particolare col lavoro dell'orticoltore Liberty Hyde Bailey, dell'agronomo Albert Howard in India, del forestale Aldo Leopold, degli agro-ecologi Miguel Altieri e Stephen Gliessman, del genetista delle piante Wes Jackson, dell'esperto di gestione Alan Savory e da agricoltori ecologicamente esperti come Joel Salatin. La lezione più importante che viene dal loro lavoro collettivo è che la terra è un organismo che si evolve composto della parti interconnesse di suoli, idrologia, biota, vita selvaggia, piante, animali e persone. Se la sostenibilità è l'obbiettivo, la terra non può essere gestita come una fabbrica né i profitti che genera essere misurati dai propri rendimenti a breve termine. Gestita come un organismo, la terra limita la dimensione e il tipo di pratiche di agricoltura e silvicoltura e alla fine delude tutte le aspettative che superano la sua capacità di carico. La buona gestione della terra richiede pazienza, una memoria affidabile a lungo termine, ampi margini altrimenti conosciuti come precauzione e, come ci ricorda Wendell Berry, amore.

E' vero che le redditività non può essere più alta del tasso al quale il Sole può essere trasformato in materiale vegetale e in carne animale senza diminuire la produttività futura. I termini rigorosi, una fattoria sostenibile è una tenuta in equilibrio da input naturali di luce solare, acqua, decomposizione di piante, letame animale ed una intelligenza osservatrice e competente sia dell'agricoltore sia della cultura rurale. Come i sistemi naturali che imita, una fattoria sostenibile è sempre una policoltura e dipende dalle sinergie fra le sue varie componenti, dai suoli ai microbi agli animali. L'agricoltura industriale, al contrario, è sussidiata da combustibili fossili, fertilità importata, gestione chimica degli infestanti e capitale preso in prestito. E' una parte dell'economia estrattiva che sfrutta suoli, minerali, geni e gente indifferentemente. Ed è sempre una monocoltura mirata a fare profitto sul breve termine. La differenza fra l'agricoltura industriale e quella ecologica le pone ai margini estremi di un continuum che definisce la resilienza.

L'edilizia ecologica è un'altra fonte di istruzione pratica sui sistemi. Fino all'avvento del movimento dell'edilizia verde, il processo avveniva in serie: gli architetti facevano il progetto di base e passavano i progetti agli ingegneri per scaldarlo, raffreddarlo, illuminarlo e sigillarlo. Questi, a loro volta, li passavano ai paesaggisti per far sì che sembrassero appartenere al luogo in cui la casualità dei prezzi dell'edilizia e spesso la cattiva pianificazione li avevano fatti cadere. Gli incentivi – finanziari, legali e di reputazione – richiedevano che la struttura fosse sovra-riscaldata, sovra-raffreddata e costruita in modo eccessivo – quindi eccessivamente costosa. Gran parte del profitto veniva fatto sull'eccessiva ridondanza, un po' come fare sedie con 8 gambe quando il carpentiere viene pagato per ogni gamba in più.


Foto: Stuck in Customs / Flickr. Cultivar di ‘Nastro Scarlatto' in Tasmania. Il termine “cultivar” è stato coniato la prima volta da Liberty Hyde Bailey, ed è definito come una pianta le cui origini o la cui selezione sono il frutto principalmente dell'attività umana. 

I primi progettisti ecologici come Sim van der Ryn, Bob Berkebile, Bill McDonough, Pliny Fisk e il Consiglio per l'Edilizia Verde degli Stati Uniti sono stati pionieri di un approccio diverso per progettare che ha ottimizzato l'intero edificio come un sistema, non come i suoi componenti separati. Un involucro dell'edificio più stretto e meglio isolato, per esempio, significava ridurre di dimensione i sistemi di aerazione, riscaldamento e di condizionamento d'aria e la riduzione dei costi di esercizio a lungo termine migliorando il comfort per gli esseri umani. Analogamente, l'illuminazione creativa della luce naturale ha migliorato l'estetica e la produttività degli occupanti, riducendo le bollette per l'illuminazione e, ancora una volta, i costi a lungo termine. Ma il beneficio più grande del “progettazione biofila” è stato il fatto umano stesso che siamo più felici, sani e più produttivi in luoghi accuratamente calibrati per i nostri cinque sensi. (10) Ci sono altre aree di applicazione della conoscenza sistemica, ma in confronto all'architettura, nessuna è così facile da afferrare o così persuasivamente istruttiva sui modi in cui possiamo migliorare la gestione di altri sistemi. Tuttavia, queste offrono intuizioni diverse.

Le fattorie ed i sistemi naturali operano ad una velocità d'orologio minore rispetto agli edifici. L'agricoltura richiede la pazienza appropriata per la stagione agricola e per i cicli che governano fertilità e fecondità. Possiamo manipolare alcune delle variabili inerenti all'agricoltura, ma gli schemi più ampi di suoli, idrologia, biota, natura selvaggia, meteo e così via hanno stagioni e cicli rispetto ai quali siamo stranieri e intrusi. Nella misura in cui possiamo gestire in assoluto, la prudenza ci imporrebbe di lasciare ampi margini per adattare la nostra ignoranza ed altre mancanze. Gli edifici, o ciò che goffamente chiamiamo “l'ambiente costruito”, dall'altra parte, sono creazioni umane. I progettisti sono protettivi dei propri misteri e dei funzionamenti interni in modi in cui non possiamo essere nei confronti dei sistemi naturali delle fattorie. Anche così, i costruttori vengono spesso sorpresi dal comportamento imprevisto dei sistemi meccanici, degli errori di progettazione e del comportamento umano in ciò che dovevano essere strutture ben progettate.

C'è una terza fonte di conoscenza dei sistemi disponibile nello studio del corpo. Walter Cannon in La Saggezza del Corpo (1932), per esempio, ha introdotto la nozione di “omeostasi” come modo di spiegare come “il materiale straordinariamente instabile” dei nostri corpi in “libero scambio col mondo esterno” persista miracolosamente per molti decenni. (11) Il professore di Yale e Fisico Sherwin Nuland, in un libro dallo stesso titolo, ha descritto in seguito (1977) il processo con queste parole: “Sempre in allarme per i pericoli onnipresenti all'esterno o all'interno, mandando incessantemente segnali mutualmente riconoscibili per tutta la sua immensità di tessuti, fluidi e cellule, il corpo animale è un dinamismo di consistenza responsabile. Con incalcolabili trilioni di agenzie di correttivi alimentati da energia, le alterazioni inappropriate vengono bilanciate e i cambiamenti sono o sistemati o messi nel modo giusto – tutto nell'interesse di quella stabilità equilibratrice che è la condizione necessaria dell'ordine e dell'armonia dei sitemi viventi complessi... La sua capacità di comunicare all'interno di sé stesso e con l'ambiente esterno è la base della sostenibilità di un animale di fronte alle molte forze incessanti che non smettono mai di minacciare la sua esistenza”. (12)

L'idea del corpo come sistema complesso potrebbe avere portato ad una visione sistemica della medicina e della cura, colmando il divario fra medicina occidentale ed orientale. Ma la pratica della medicina occidentale in quel momento era scrupolosamente riduzionistica ed immune all'insegnamento proveniente da altre culture. (13, 14) Immersi nella maniera occidentale della scienza, i fisici tendono ancora a diagnosticare le malattie senza cause profonde, a guarire malattie isolatamente come se il corpo fosse una macchina rotta e a prescrivere come se gli effetti dei medicinali non di propagassero in tutto il corpo. Il risultato è che le soluzioni spesso diventano la fonte di nuovi problemi e l'inizio di circoli viziosi. La stessa cosa, tuttavia, potrebbe essere detta di gran parte, se non di tutti, i campi di affari, economia, politica pubblica e tecnologia. Se applicato a fattorie, edifici o a corpi, il pensiero sistemico non è facile, ma l'essenza è l'interezza – vale a dire l'integrazione armoniosa delle varie componenti. E' evidente in diversi indicatori della salute: ecologico, sociale e umano. Così, cosa ci può insegnare il pensiero sistemico su come gestire meglio le aree urbane?

Città e pensiero sistemico

Per affrontare la domanda “che tipo di problema costituisce una città”, Jane Jacobs una volta ha scritto:

“Si dà il caso che le città siano dei problemi della complessità organizzata … presentando 'situazioni nelle quali una mezza dozzina o persino diverse dozzine di quantitativi variano tutti simultaneamente e in modi sottilmente interconnessi'. Le città, di nuovo come le scienze della vita, non mostrano un problema nella complessità organizzata, che se fosse capito spiegherebbe tutto. Possono essere analizzate in molti problemi o segmenti tali che, come nel caso delle scienze della vita, sono anche collegati fra di loro. Le variabili sono tante, ma non sono alla rinfusa. Sono 'interrelate in un intero organico”. (15)


Foto: cjuneau di Ottawa, CANADA / CC BY 2.0. Ciò che appare essere un campo di grano nel centro di Ottawa in realtà è un tetto verde in cima al Museo di Guerra Canadese.

La sfida, quindi, è quella di far transitare la complessità urbana costruita su un modello industriale e progettata per automobili, espansione e crescita economica verso luoghi coerenti, civili e duraturi. I governi urbani sono stati posti sotto stress in un mondo con più persone, più “cose” ed aspettative più alte – il tutto che si muove a velocità sempre maggiore. Nelle parole di Peter Senge, “la specie umana ha la capacità di creare di gran lunga più informazioni di quante chiunque ne possa assorbire, di favorire un'interdipendenza di gran lunga maggiore di quella che chiunque possa gestire e di accelerare il cambiamento in modo di gran lunga più veloce della capacità di chiunque di tenere il passo”. (16) Ai gestori dei sistemi urbani è richiesta la capacità di passare “dal vedere parti al vedere gli interi, dal vedere le persone come indifesi e reattivi al vederle come partecipanti attivi nel plasmare la loro realtà, dal reagire al presente al creare il futuro”. Tutto questo è più facile a dirsi che a farsi. Non giungerà come una sorpresa ai funzionari cittadini che le aree urbane, come ha scritto Donella Meadows, sono “sistemi di retroazione auto-organizzati, non lineari e sono intrinsecamente imprevedibili [quindi]... non possiamo mai capire pienamente il nostro mondo, non nel modo in cui la nostra scienza riduzionista ci ha portati ad aspettarci”. (1)

La gestione resiliente richiede la calibrazione di due tipi di sistemi non lineari: sociale ed economico, per esempio leggi, regolamenti, tassazione, politiche, elezioni e mercati coi sistemi ecologici, per esempio biologia, idrologia, geologia, natura selvaggia, climatologia ed uso della terra. Questi sistemi funzionano su scale temporali diverse e su processi diversi come parte di un intero che chiamiamo biosfera. Ma non sono uguali. Gli espedienti umani – economie, tecnologie, politiche e comportamento sociale – alla fine si devono adeguare alle realtà biofisiche o affrontare la disintegrazione. Le prospettive sistemiche e gli strumenti di gestione possono aiutarci ad affrontare meglio le complessità dei sistemi non lineari interattivi. Abbiamo progettato i sistemi dai quali siamo governati e riforniti e possiamo riprogettarli. Ma solo, nella parole della Meadows, se le persone che li gestiscono “fanno molta attenzione, partecipano a tutto spiano a rispondono alle retroazioni”. 

Una prospettiva sistemica alla gestione urbana è una lente attraverso la quale possiamo vedere più chiaramente nella nebbia del cambiamento e gestire potenzialmente meglio le complesse relazioni di causa-effetto fra i fenomeni sociali ed ecologici. Ciò aiuterebbe a compensare la nostra cronica incapacità di prevedere le conseguenze del nostro comportamento. La conoscenza della struttura del sistema e delle regole operative potrebbe aiutare a migliorare la resilienza in un modo che si scalda rapidamente disseminato di eventi di “cigno nero” e forse a prevedere conseguenze contro-intuitive che arriverebbero altrimenti come sorprese. L'applicazione dell'analisi sistemica non è una panacea, ma offre almeno sei possibilità di migliorare la gestione urbana. 

Per prima cosa, per affrontare un'opprimente cacofonia di dati grezzi, l'analisi sistemica può aiutare i governi ad organizzare le informazioni per distinguere i segnali ecologici dal rumore. Una città è una schiera complessa e confusa di input ed output: combustibili, cibo, materiali, acqua e così via entrano e biossido di carbonio, acque reflue, calore residuo, inquinanti, rifiuti e tutta una serie di altre cose escono. Se una città fosse posta sotto una cupola di vetro immaginaria con gli input e gli output che entrano ed escono in tubazioni chiaramente segnate, capiremmo questi flussi entropici e le loro interazioni in modo più diretto. E' possibile, tuttavia, capire meglio la città attraverso dei modelli che mostrano le transazioni ecologiche in modo tanto diligente quanto un contabile traccia i flussi di denaro. I modelli della città come sistema di input ed output ecologici sono uno strumento utile per mettere dati apparentemente sparpagliati e confusi nel loro contesto ecologico più ampio per migliorare le decisioni prese attraverso i settori, i dipartimenti e le agenzie. 

Secondo, i dati necessari per capire i flussi di risorse e il contesto ecologico allargato di una città possono essere diffusi per educare la cittadinanza a capire le relazioni fra il proprio comportamento e le proprie prospettivie ambientali ed ecologiche. L'uso di internet e la diffusione di schermi per il pubblico (lavagne) piazzate in edifici, chioschi cittadini, impianti sportivi, biblioteche, hotel e scuole per tracciare e mostrare i dati su flussi di risorse, emissioni di carbonio, investimento, modelli di uso del suolo, proprietà e atteggiamenti pubblici – e le loro interazioni – può essere uno strumento potente per educare i cittadini su retroazioni, contatti e ritardi fra azioni e risultati e per aumentare la comprensione dei problemi complessi. (17) Il risultato potrebbe essere un'educazione ampiamente accessibile e conveniente sulle dinamiche fondamentali delle interazioni biofisiche, sociali ed economiche. 

L'analisi sistemica può aiutare, per terza cosa, a migliorare la pianificazione e la previsione. I capi eletti in molte città post industriali come Detroit hanno dato per scontato che i bei tempi sarebbero durati per sempre e sono stati colti alla sprovvista quando sono finiti. L'uso di modelli che chiariscono gli assunti, identificano gli anelli di retroazione e monitorizzano il comportamento del sistema e le condizioni ecologiche, possono aiutare chi prende le decisioni ad prevedere meglio il cambiamento e a pianificare, tassare, fare il bilancio e fare politiche più intelligenti. Guardando avanti, le città in un mondo in rapido riscaldamento devono prepararsi a grandi tempeste, siccità più prolungate, interruzioni delle forniture e alla turbolenza economica. Queste, a loro volta, dovrebbero influenzare le decisioni su divisione in zone, uso della terra, locazione e tipologia di infrastruttura, codici di costruzione, fornitura di cibo, sviluppo economico, tassazione e preparazione alle emergenze. 

Quarto, gli strumenti dell'analisi sistemica possono aiutare a migliorare la qualità delle decisioni urbane. Per avere una patente di guida, per esempio, si deve fare un corso e passare un esame. Ma per i funzionari incaricati di gestire gli affari pubblici non è virtualmente richiesta alcuna prova di nessuna comprensione di base di come funziona il mondo come sistema fisico e delle dinamiche che governano le interazioni dei sistemi sociale e naturale. Saremmo giustificatamente intolleranti di fronte a funzionari che non fossero in grado di leggere o di contare, ma l'analfabetismo ecologico – un problema ugualmente grave – non causa nessuno sgomento di nessun genere. Come parte del loro orientamento di routine per il governo della città, ai funzionari – eletti e nominati – dovrebbe essere richiesto di superare un'esame di base in ecologia e dinamica dei sistemi. Se mai questo si dovesse realizzare, gli obbiettivi sarebbero (1) aumentare l'efficacia delle decisioni aumentando la consapevolezza di come funzionano le aree urbane come sistemi sociali ed economici che interagiscono con sistemi naturali e (2) di dotare i capi di strumenti di analisi e previsione migliori coi quali gestire gli affari pubblici. 

Quinto, l'analisi sistemica può aumentare il comportamento organizzativo. La capacità di rispondere alle retroazioni viene inibita da molti fattori. Può venire bloccata quando la paura, il pensiero di gruppo e la compiacenza paralizzano la presa di decisioni. Piuttosto che sopprimere il dissenso, l'analisi sistemica può aiutare a chiarire le differenze di opinione non prese in considerazione incorporate nei paradigmi competitivi e nei modelli mentali. David Cooperrider e Peter Senge hanno sviluppato delle tecniche per facilitare il pensiero sistemico a costruire una comunità organizzativa intorno a visioni comuni. Il loro obbiettivo è quello di permettere ai membri delle organizzazioni di vedere sé stessi come attori di un'impresa che prendono decisioni che comportano retroazioni, cambiamenti di passo, proprietà emergenti, riserve e flussi che aumentino la consapevolezza dell'agenzia nel causare una conseguenza piuttosto che un'altra. 

Infine, il pensiero sistemico può portare ad un maggiore realismo e a politiche pubbliche di precauzione per la semplice ragione che gran parte dei sistemi sono non lineari e pertanto intrinsecamente imprevedibili. Da una prospettiva sistemica, dovremmo progettare le politiche di tutti i tipi con ampi margini, previsioni coperte e ridondanza. Ogni soluzione specifica dovrebbe risolvere più di un problema senza causarne di nuovi. L'obbiettivo, in breve, è quello di costruire istituzioni ed organizzazioni più intelligenti e più adattabili, che siano in grado di imparare e prevedere, agenzie intelligenti e “resistenti all'errore”, nell'intersezione dell'azione umana e delle realtà biofisiche. Da una prospettiva sistemica, non esistono cose come gli “effetti collaterali”, solo le conseguenze logiche derivate da regole e comportamento del sistema. Cambiamento climatico, buchi nell'ozono, ammassi tumorali e vortici di rifiuti delle dimensioni del Texas che galleggiano nel mezzo dell'Oceano pacifico non sono effetti collaterali della crescita economica, la le conseguenze prevedibili di un sistema progettato per crescere a tutti i costi. Analogamente, da una prospettiva sistemica, esistono pochi incidenti – solo la mancanza di previsione istituzionalizzata è un errore nel modo in cui è organizzato un sistema specifico. Il punto, nelle parole di Senge, è che “tutti condividiamo la responsabilità dei problemi generati da un sistema”. 

Uno sguardo al futuro

L'obbiettivo dell'analisi sistemica e dell'apprendimento organizzativo non è solo di trovare un modo più intelligente perché le città ed altre organizzazioni facciano quello che hanno sempre fatto. Si tratta piuttosto di uno strumento per aiutare a riesaminare gli scopi e le prestazioni relative a circostanze complesse e in rapido cambiamento. Come ogni strumento, la sua efficacia dipende dall'abilità e dalla saggezza di chi lo usa. L'analisi sistemica non è magica, non può dirci cosa modellare o cosa vale la pena di fare e cosa non fare. Può aiutare a vendere più acqua zuccherata con caffeina nel mondo causando obesità, diabete e carie ai denti, oppure può aiutarci a capire perché queslla sia una brutta cosa da fare. Non renderà lo stupido e l'insensibile saggio e premuroso. Non ci dirà niente che si trovi al di fuori dei nostri paradigmi, delle nostre visioni del mondo e delle luci del nostro fuoco da campo personale. Si tratta, dopotutto, solo di uno strumento e non farà niente di più di quello che gli verrà chiesto e niente di più di quanto possa fare mai una qualsiasi tecnica culturalmente vincolata o temporalmente limitata. 

Dobbiamo fornire noi la compassione e il buon giudizio e interessarsi a sufficienza da voler sapere le conseguenze delle nostre azioni. Inoltre, non c'è niente di nuovo nel pensiero sistemico al di là del più alto livello di precisione e del potere analitico intrinseco della sofisticata modellazione computerizzata. Le prime società hanno creato modi complessi per prevedere e limitare certi comportamenti che potevano danneggiare le loro prospettive collettive. (18) Gli Amish ottengono molti degli stessi risultati mantenendo una cultura coerente e sobria (se non restrittiva). Alla fine, l'analisi sistemica applicata a livello di organizzazioni, città e governo regionale ci dà tempo finché il governi nazionali si si mettono al passo. Ad ogni livello, tuttavia, si tratta solo di uno strumento per chiarire le conseguenze delle nostre azioni, identificare le nostre opzioni e estendere un po' la nostra capacità di previsione. E non si tratta di piccoli vantaggi. 

Riferimenti

1. Meadows, Donella  Thinking in Systems 11 (Chelsea Green, White River Junction, VT, 2008).
2. Jervis, R. Effetti dei Sistemi 5 (Princeton University Press, Princeton, 1997).
3. Hardin, G. La Cibernetica della Competizione. Prospettive di biologia e medicina 7, 77 (autunno 1963).
4. Schultz, A. Raccolta di articoli privata per un corso all'Università della California, anni 70 e 80.
5. Buckley, W. Ricerca sui Sistemi Moderni per Scienziati Comportamentali (Aldine, Chicago, 1968).
6. Hoagland, E. Coas penserebbe Esopo di quello che facciamo al Pianeta. New York Times (24 marzo 2013).
7. Lazarus, RJ. Fare le Legi Ambientali 30, 33 (University of Chicago Press, Chicago, 2004).
8. Lazarus, RJ. Problemi super maligni e cambiamento climatico: limitare il presente per liberare il futuro. Cornell Law Review 94:1153, 1153-1234 (2009).
9. Lazarus, RJ. Problemi super maligni e cambiamento climatico: limitare il presente per liberare il futuro. Cornell Law Review 94:1153, 1153-1234 (2009).
10. Kellert, S. Progettazione biofila (John Wiley, New York, 2008).
11. Cannon, WB. La Saggezza del Corpo (Norton, New York, 1932, 1963).
12. Nuland, S. La Saggezza del Corpo 355-356 (Knopf, New York, 1977).
13. Kaptchuk, T. La ragnatela che non ha tessitore (Contemporary Books, New York, 2000).
14. Normile, D. La nuova faccia della medicina tradizionale cinese. Science 299, 188-190 (gennaio 2003).
15. Jacobs, J. La morte e la vita delle grandi città americane 433 (Vintage, New York, 1961).
16. Senge, P. La quinta disciplina 69 (Doubleday, New York, 1990, 2006).
17. vedi articolo di J. Petersen in questo numero.
18. Lansing, S e Clark, W. Preti e programmatori: tecnologie di potere in un panorama progettato (Princeton University Press, Princeton, 2007).

giovedì 19 giugno 2014

Dodici regole per sopravvivere

Di Jacopo Simonetta

Quando si pianifica un viaggio in una regione sconosciuta, ci prepariamo con mappe, portolani e guide, chiediamo informazioni a chi ci è già stato.   Ma noi stiamo partendo per un’epoca storica sconosciuta e nessuno ci può dare informazioni perché nessuno ci è già stato.   Sacerdoti, maghi e professori possono al massimo delineare degli scenari generali più o meno realistici, ma cosa accadrà ad ognuno di noi rimarrà un mistero finché non sarà accaduto.  
Così, non potendo chiedere consiglio agli uomini del futuro, siamo costretti a chiederne a quelli che nel passato hanno affrontato con successo periodi particolarmente difficili.   Cosa ci possono insegnare di utile?

Secondo me, la cosa principale che possiamo imparare da loro è che le capacità manuali, le conoscenze, le dotazioni tecniche e le riserve economiche sono importanti, ma solo se supportate da un adeguato modo di pensare e di sentire; direi un modo resiliente di porsi nei confronti dell’ambiente e degli altri umani.   Direi anzi che la capacità psicologica e spirituale di affrontare le difficoltà è la primissima cosa da porre nel nostro bagaglio dato che servirà sempre e comunque, mentre non possiamo sapere quali capacità pratiche, quali attrezzature, quali scorte ci potranno davvero servire.   Ad esempio, le armi possono costituire una protezione, ma anche attirare terribili minacce.   L’oro può essere un ottima riserva, ma può essere requisito o messo fuori legge; i campi possono nutrire, ma i contadini possono essere scacciati o schiavizzati e così via.    Invece, la capacità di vivere esperienze traumatizzanti senza perdere la voglia di vivere e la forza di reagire efficacemente saranno utili in qualsiasi situazione.

Quindi, abbiamo bisogno di un atteggiamento mentale tagliato su misura per i tempi difficili, ma quali sono gli ingredienti di un tale atteggiamento?   Senza alcuna pretesa di completezza, ne elenco qui una dozzina.   Ovviamente, come tutte le virtù, anche queste richiedono soprattutto misura, perché se si eccede, le virtù diventano vizi.   La parsimonia diventa tirchieria, la prudenza viltà, il coraggio ferocia, ecc.  E la misura è da sempre la suprema e più difficile delle virtù.

Dunque, in ordine sparso, dodici regole per la sopravvivenza:

1 – Parsimonia.   Tutti i poveri della storia hanno sviluppato una sapiente parsimonia, ma in alcuni popoli questa abitudine accomuna anche la maggior parte delle persone agiate e perfino molte fra quelle ricche.   Probabilmente perché coscienti del fatto che, in qualunque momento e con poco o punto preavviso, condizioni favorevoli possono diventare decisamente ostili.   E quando questo succede, la sopravvivenza dipende in gran parte dalla rapidità con cui ci si riesce ad adattare cambiando stile di vita, lavoro, oppure fuggendo altrove; ma anche dall’aver accumulato delle riserve che aiutino a superare i momenti peggiori.

2 – Pazienza.   Quando le cattive notizie, o più semplicemente le seccature, sono la regola; oppure quando gli ostacoli da superare per ottenere cose semplici sono assurdamente alti, solo un lungo addestramento alla pazienza può evitare gesti che facilmente provocano situazioni ancor peggiori di quelle contro le quali si lotta.

3 – Memoria.   La memoria è lo spazio protetto entro il quale si conserva il proprio tesoro, la propria identità personale e collettiva.   I soldi, le proprietà, la libertà e la vita possono essere perdute, ma finché rimane la memoria una comunità continua a vivere.   Memoria è anche ricordare chi ti ha fatto del male e chi del bene; ed attendere pazientemente l’occasione per poter ripagare entrambi.

4 – Solidarietà.   Strettamente correlato alla memoria è il sentimento di identità che accomuna tutti i membri della famiglia e della comunità.   Fra i singoli individui è normale che vi siano delle antipatie od anche delle inimicizie, ma di fronte ad un pericolo esterno far fronte comune è vitale per la sopravvivenza di tutti.   Così come, anche in tempi tranquilli, il mutuo sostegno fra persone socialmente diverse è fondamentale per consolidare la solidarietà ed il senso di identità.   La generosità verso gli altri del gruppo non contrasta, ma anzi è sinergica con la parsimonia nei confronti propri, a condizione che la generosità sia accortamente reciproca come sempre avviene nei gruppi coesi.   Ma soprattutto solidarietà significa che nessuno della comunità sarà abbandonato nel bisogno; il che implica anche l’obbligo per ognuno di sostenere gli altri.

5 – Responsabilità.   Dopo 50 anni di sistematica deresponsabilizzazione del cittadino troviamo che è difficile far funzionare qualcosa.   Strano!    Un’occhiata anche superficiale alle culture che hanno saputo sopravvivere nelle difficoltà rivela un atteggiamento del tutto opposto, spesso spinto fino ai limiti della tollerabilità.   Che ognuno si faccia carico delle proprie responsabilità è però un ingrediente indispensabile affinché le persone possano fidarsi le une delle altre ed una società qualsiasi possa funzionare.

6 - Discrezione.   La mimesi è una strategia di sopravvivenza molto diffusa ed efficace.   Proprio per questo quando un governo ha interesse a discriminare o perseguitare qualcuno comincia con il costringerlo ad essere facilmente riconoscibile.   Per chi si pone in un’ottica di resilienza, questo significa prima di tutto cercare di non dare nell’occhio alle autorità.   Ad oggi questa è una regola di igiene fondamentale in molti paesi del mondo e non è detto che in futuro non lo diventi anche qui.   Abbiamo già visto come il livello di controllo dello stato sui cittadini si stia facendo di giorno in giorno più capillare.   Per il momento con effetti complessivamente positivi in quanto ha permesso di smascherare un buon numero di delinquenti, ma cambiando le cose, in futuro, gli stessi strumenti potrebbero essere utilizzati per scopi diversi.

7 – Adattabilità.   Noi siamo abituati a pensare che il domani sarà simile all’oggi; una fitta rete di consuetudini e di regole ci proteggono dagli imprevisti.   Troveremmo insopportabile sapere che in qualunque momento la nostra vita può cambiare drasticamente, ma questa è già la realtà per molte persone e lo diventerà per molte di più.   Si pone quindi la necessità di perdere ogni rigidità ed imparare a vivere sapendo che non possiamo avere certezze circa dove saremo e cosa faremo domani.   Le certezze minime indispensabili dovremo cercarle esclusivamente dentro di noi e nei nostri sodali.

8 – Gratitudine.   Noi siamo abituati a dare per scontato che ci sarà del cibo in tavola, dell’acqua dal rubinetto, dell’elettricità nella presa, degli abiti nell’armadio ecc.; siamo anzi abituati a pensare che questi siano dei diritti inalienabili e che perciò qualcuno ce li deve garantire.   Ma cosa, in realtà, ce li ha garantiti finora?   Semplicemente un sistema di mercato che, pezzo per pezzo, si sta disintegrando.   Alcuni, anzi, sono felici di questo giudicando il mercato colpevole di infiniti misfatti il che è sicuramente vero, come è anche vero che per decenni ha garantito molti dei nostri pretesi diritti.   Man mano che l’economia attuale andrà sfaldandosi, ci renderemo conto che niente o quasi può essere dato per scontato e, men che meno, preteso.   Dovrà invece essere procurato in modi probabilmente faticosi ed ingegnosi.   Per questo provare gratitudine per tutto ciò che di buono o di utile ci capita era un atteggiamento basilare delle culture antiche.   E con un buon motivo: il sentimento di gratitudine permette di apprezzare e di godere profondamente di cose come mangiare, bere, svegliarsi la mattina nel proprio letto.

9 – Cinismo.    Nella nostra cultura è considerato un grave difetto e non di rado viene usato come insulto.   Eppure cinismo vuol dire semplicemente guardare in faccia i fatti per come appaiono (non necessariamente come sono) senza cercare di abbellire o sminuire quelli che non ci piacciono.   Significa, anche, aspettarsi che le cose è più facile che vadano male,piuttosto che bene per noi.   Se non si esagera, si tratta di un atteggiamento di grande aiuto per non farsi cogliere del tutto impreparati ad eventi nocivi.

10 – Autoironia.   La capacità di ridere dei propri difetti e delle proprie calamità aiuta a ridimensionare e tollerare sia gli uni che le altre.   Inoltre, quasi ogni tragedia contiene aspetti ridicoli o lascia lo spazio per uno scherzo, una battuta, un momento di rilassamento che è necessario saper cogliere e gustare.   Ridere di sé stessi e delle proprie fissazioni è un eccellente (anche se parziale) antidoto alla paranoia.

11 – Mobilità.   Il radicamento sul territorio, così forte nelle culture contadine, può rivelarsi una trappola mortale in caso di grave crisi.   La capacità di abbandonare tempestivamente una zona per andare a cercare miglior fortuna altrove è una delle caratteristiche che da secoli contribuiscono alla resilienza di parecchi popoli.

12 – Coraggio.   Questa è una delle virtù fondamentali presso tutti i popoli che intendano sopravvivere.   Coraggio vuol dire innanzitutto essere disponibili a rischiare la propria incolumità, la propria vita ed i beni per proteggere altri membri del gruppo.   E’ questa una pulsione atavica sempre presente, ma che certe culture hanno coltivato e promosso, mentre altre la hanno repressa ed inibita.   Può sembrare in contrasto con la prudenza, ma non lo è.    Un conto è, infatti, essere disponibile a sacrificarsi quando necessario, altro conto è creare rischi supplementari con inutili smargiassate.


Ho più volte fatto riferimento alla comunità come unità di base della sopravvivenza, ma quali sono i limiti che definiscono la propria comunità?   In passato l’appartenenza era definita dalla tradizione.   Oggi non credo che avrebbe molto senso cercare di recuperare identità morte e sepolte, credo piuttosto che sarà l’effetto combinato delle scelte individuali e degli eventi che costruiranno ex-novo o quasi le comunità del futuro le quali, se saranno sufficientemente resilienti, diventeranno tradizionali nel giro di poche generazioni.   Del resto, oggi i sociologi parlano molto di “neo-tribalismo” e può darsi che si tratti proprio della fase preliminare di questo processo.
Ma, ammesso che queste caratteristiche siano strumenti utili alla resilienza, come acquisirle?

Tradizionalmente, gli atteggiamenti mentali radicati fra la propria gente si assimilavano inconsciamente durante l’infanzia, per la forza della tradizione e per la quotidiana lotta contro le difficoltà.   Ed è proprio la sostanziale mancanza di difficoltà reali per un periodo di oltre 50 anni che ci ha resi così vulnerabili.   E’ impressionante come situazioni del tutto normali come la presenza di un insetto od uno scroscio di pioggia siano oggi sufficienti a spaventare molte persone.   Anche il solo pensiero di un’ipotetica difficoltà può essere sufficiente a creare angoscia.   Lo sa bene chi si occupa di divulgazione in campo ambientale che, normalmente, si trova davanti un rifiuto ad ascoltare perché per molti è insopportabile anche solo parlare del fatto che il nostro modo di vivere potrebbe essere agli sgoccioli, oppure che il tenore di vita desiderato potrebbe non essere mai raggiunto.

Come abbiamo perso la capacità di provvedere ai nostri bisogni materiali, abbiamo perso anche la capacità psicologica di fronteggiare le difficoltà   Una menomazione ancor più grave perché come recuperarla?

Solo l’esercizio quotidiano può sviluppare le capacità fisiche e cognitive; analogamente, solo l’esercizio  quotidiano che possiamo fare fronteggiando difficoltà reali ci può permettere di sviluppare le nostre capacità latenti nei campi sopra citati.   Possiamo quindi cercare delle difficoltà opportunamente scelte e dosate, come ad esempio esporsi alle intemperie, alla fame od a rischi di vario genere, e potrebbe essere utile.   Ma soprattutto saranno gli eventi stessi della storia che ci offriranno le condizioni migliori per allenarci e che ci sottoporranno agli esami di maturità.   Non dobbiamo temere di mancare di occasioni in tal senso.

Come dice Carolyn Baker: “Il collasso della civiltà industriale ci costringerà a fare o non fare molte cose, ma sopra di tutto, ci costringerà a dirci la verità – la verità sul nostro ambiente, le nostre risorse, il nostro uso ed abuso del denaro, la nostra disconnessione con la comunità terrestre – e soprattutto, ci costringerà a dirci la verità su noi stessi” (Collapsing consciously North Atlantic Books 2013).  

Questo, se scrutiamo in fondo a noi stessi, è forse la cosa che spaventa di più molti di noi.

mercoledì 18 gennaio 2012

Scienza e resilienza







Tutte le mattine do un'occhiata sul web a quello che c'è di nuovo, e quasi tutte le mattine mi arriva addosso una nuova rivoluzione scientifica da capire e da valutare. Troppo per una testa sola, ma anche affascinante. Tutto quello che leggevo di fantascienza negli anni '60 e '70 si sta avverando, e anche cose che la fantascienza non si immaginava nemmeno.

L'ultima fiammata di innovazione che mi ha steso stamattina, la trovate qui:

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120108143559.htm

Leggetelo se avete cinque minuti. Questi sono capaci di usare una "macchina del tempo molecolare" per ricostruire i meccanismi molecolari delle proteine ancestrali e valutare come funzionano. E' veramente una cosa da fantascienza che è rilevante non solo per la biologia molecolare, ma per tantissime altre cose. Conclude il "senior author" Joe Thornton con un'osservazione che mi sembra fondamentale per quelli di noi che si dilettano a studiare i sistemi complessi:

"Non è quello che uno si aspetterebbe, ma è semplice: la complessità è aumentata perché si sono perse - e non guadagnate - delle funzionalità delle proteine. Proprio come nella società la complessità aumenta quando i singoli individui e le istituzioni si dimenticano di come essere dei generalisti e finiscono per dipendere da degli specialisti che hanno delle competenze sempre più ristrette"

Bene, questo non vi fa ricordare una cosa che ha detto Luca Mercalli a "Che tempo che fa"? "Resilienza!" Questa è la cosa che stiamo perdendo con l'aumento della complessità della nostra società. Resilienza è la cosa più importante che dobbiamo ritrovare.




(ringrazio Jules Burn di "The Oil Drum" per la segnalazione)