lunedì 7 dicembre 2015

la capocchia climatica di Umberto Minopoli.



Leggete questa frase, da un post di Umberto Minopoli intitolato "Scienza ad Capocchiamhttps://lottimistablog.wordpress.com/2015/12/06/scienza-ad-capocchiam/

.... se in un secolo e mezzo ( 1850/1998) di piena industrializzazione e di CO2 umana immessa in atmosfera, la temperatura e’ aumentata di 0,8gradi come e’ possibile che in soli prossimi 80 anni ( previsioni dei religiosi del clima ) aumenti di 5 gradi. Cervellotico. Niente di scientifico. Sciamanismo. 

Per capire quanto questo paragrafo sia veramente "ad capocchiam", vediamo di applicare il ragionamento di Minopoli proprio a una capocchia; ovvero a un fiammifero.

Accendete un fiammifero, vedete che brucia, diciamo, in 10 secondi. E in questi dieci secondi si porta via forse un grammo di legno. Fate un po' il conto: per bruciare un chilo di legno, a un fiammifero per volta, ci vorrebbero ore. E per bruciare una casa, chissà quanto tempo.

Ora, immaginate che qualcuno vi dica che, sulla base del comportamento di una capocchia di fiammifero, una casa non può mai assolutamente bruciare. Come minimo, gli direste qualcosa tipo, "bene, allora vai a casa tua, accendi un fiammifero e comincia a dar fuoco al divano del salotto. Poi mi racconti cos'è successo."

Se volete essere precisi, potreste dire che la combustione è un processo "autocatalitico" e, per questa ragione, va sempre più veloce una volta che è cominciato. Ma non ce n'è bisogno: è solo una questione di buon senso; ci sono tantissime cose che sappiamo benissimo che cominciano piano e poi vanno sempre più veloci. E' per questo che se uno si butta dal sesto piano, il risultato finale si può descrivere con la parola "splat," anche se, nei primi metri, non sembrava che quel tale cadesse tanto rapidamente.

Anche per quanto riguarda il clima terrestre vale qualcosa del genere. La faccenda del riscaldamento generato dai gas serra è un tantino complicata per varie ragioni (come potete leggere, per esempio, qui) ma il risultato finale non è difficile a capire. Più CO2 c'è nell'atmosfera, più la temperatura sale. Oggi, stiamo emettendo enormemente più CO2 di quanto non facessimo ai primi anni del secolo scorso; quindi non c'è da stupirsi se l'atmosfera si sta scaldando sempre più rapidamente, ben di più di quanto non facesse cent'anni fa (e per favore non tirate fuori la storia della "pausa," che non è mai esistita).

Così, se continueremo ad emettere CO2 seguendo le tendenze di aumento che sono state la regola fino ad oggi, non è un'idea a capocchia che potremmo arrivare arrivare a degli aumenti di temperatura di 4-5 gradi centigradi. La cosa più preoccupante è che ci sono dei motivi per ritenere che il riscaldamento potrebbe essere molto più veloce di qualsiasi cosa si sia vista fino ad oggi. E questa è una cosa molto pericolosa, da non sottovalutare. Purtroppo, però, il cosiddetto "dibattito" sul cambiamento climatico sui giornali è spesso basato su ragionamenti veramente "a capocchia," come questo di Minopoli.

Tralascio di criticare il resto dell'articolo per carità di patria. Mi limito a notare che Minopoli è anche presidente dell'Associazione Nucleare Italiana, il che è preoccupante. C'è solo da sperare che un reattore nucleare non glie lo facciano mai vedere, se non da una notevole distanza. Minopoli mi fa venire in mente qualcosa che potrebbe essere successo al tempo di Chernobyl, magari con qualcuno dei tecnici del reattore che diceva, "Ma cos'è quest'idea a capocchia che il reattore può esplodere? Non vedete che finora non è successo niente?"


h/t Simone Bonacini

Nota aggiunta dopo la pubblicazione. Fa notare Sylvie Coyaud che

Mentre noi si cucinava, si ricordava che nel maggio 2014 il presidente Minopoli diceva:
Il rapporto delle Nazioni Unite punta sull’utilizzo del nucleare per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C fino al 2100, definendo il nucleare una delle tecnologie carbon free ‘chiave’”. Non solo. Dallo studio emerge l’importanza di attivare un processo di cooperazione internazionale per coinvolgere i paesi meno sviluppati nei processi di mitigazione delle emissioni di gas serra. L’Italia non deve avere un ruolo marginale nella definizione delle politiche energetiche mondiali.
Si cercava anche un compito affidabile a un volta-gabbana che ora esibisce tutto fiero le cinque caratteristiche del negazionismo climatico. Non s'è trovato niente, ma se c'è stato un po' di dibattito su tirar fuori in tempo il coulommiers dal frigo.



domenica 6 dicembre 2015

La Terra ha perduto un terzo del suolo coltivabile negli ultimi 40 anni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR 

Gli esperti indicano il danno causato da erosione ed inquinamento, sollevando grandi preoccupazioni riguardo al suolo degradato nel bel mezzo dell'aumento della domanda globale di cibo





L'erosione del suolo ha i suoi effetti sul terreno agricolo di Suffolk, nel Regno Unito. Foto: Alamy

Il mondo ha perso un terzo del suo terreno coltivabile a causa dell'erosione o dell'inquinamento negli ultimi 40 anni, con conseguenze potenzialmente disastrose man mano che la domanda globale di cibo sale alle stelle, hanno avvertito gli scienziati. Una nuova ricerca ha calcolato che quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto ad un tasso che supera il ritmo dei processi naturali di sostituire il suolo assottigliato. Il Grantham Centre for Sustainable Futures dell'Università di Sheffield, che ha intrapreso lo studio analizzando varie altre ricerche pubblicate nel corso dell'ultimo decennio, ha detto che la perdita è stata “catastrofica” e la tendenza è prossima ad essere irrecuperabile se non ci saranno grandi cambiamenti delle pratiche agricole.

sabato 5 dicembre 2015

Il Pensiero Odierno


Un post di Marco Sclarandis

riferito a questo: 

http://www.mission-innovation.net/
http://www.breakthroughenergycoalition.com/en/?WT.mc_id=11_29_2015_16_Announcement_BG-TW_&WT.tsrc=BGTW


Il pensiero odierno:

Io ormai spero solo che la gente creda al miracolo. Perchè se un miracolo si sta compiendo, ma la gente non ci crede, è come se non si compisse.

E credo che fisicamente il miracolo possa avvenire. Non credo che i miracoli siano delle violazioni ad hoc delle leggi fisiche, ma siano eventi rari ma reali e possibili che fanno gridare al miracolo solo a causa della nostra ignoranza del mondo fisico.

L’intreccio quantistico, l’effetto tunnel, sembrano magie, prodigi, miracoli, masono eventi reali e in un certo senso ordinari. Forse un Lucrezio, un Leonardo, un Archimede, dopo un iniziale sconcerto li avrebbero poi considerati per quello che sono, fisica, meravigliosa , ma fisica. Certo che organizzare tutto di modo che, per sventare una sciagura occorra proprio un miracolo mi pare il massimo della malvagia superstizione.

E’ ciò che stiamo facendo da decenni, non da stregoni apprendisti, ma da maghi di lungo e detestabile corso.

Credo che questo decalogo incompleto, deriso, frainteso e sciattamente divulgato da soloni, predicatori, e agitatori di popolo sia quanto di meglio per far apparire il miracolo su questa sventurata Terra.

Onore e merito a Serge Latouche:

Rivalutare. I valori sono diventati vuoti simulacri, sostituiti da megalomania individuale, egoismo e rifiuto della morale. Occorre rivendicare valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere, il locale.

Riconcettualizzare. La mancanza di valori dà luogo ad una visione diversa del mondo. Occorre ridefinire concetti come la ricchezza/povertà, la rarità/abbondanza distinguendo gli elementi reali da quelli di creazione artificiale.

Ristrutturare. Adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori.

Ridistribuire. La ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse ha un effetto positivo sulla riduzione del consumo, per due fattori: ridimensionamento del potere dei consumi del Nord e diminuzione dello stimolo al consumo vistoso.

Rilocalizzare. Segue il principio del “think global, act local” per il quale occ orre produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari ai bisogni delle popolazioni.

Ridurre. Ridurre non significa necessariamente tornare indietro. Significa limitare/eliminare il sovraconsumo ed abbattere gli sprechi. La riduzione noncoinvolge solo le risorse, ma anche aspetti sociali come il tempo dedicato al lavoro.

Riutilizzare/Riciclare. È necessario ridurre lo spreco, combattere l’ obsolescenza delle attrezzature e riciclare rifiuti non riutilizzabili.

Riconoscere la necessità del cambiamento, questa l’aggiungo io, ma questo dovrebbe essere il primo comandamento.




Marco Sclarandis



venerdì 4 dicembre 2015

Figuraccia climatica: La Società Italiana di Fisica dichiara che la scienza del clima non è scienza

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Allora, signor Darwin, qual è l'equazione dell'evoluzione?


Coi negoziati sul clima in pieno svolgimento a Parigi, 14 società scientifiche italiane si sono unite per pubblicare un documento in cui esprimono il loro sostegno ai negoziati della COP 21 e per la necessità di agire contro il cambiamento climatico antropogenico. Tuttavia, una società scientifica era evidentemente assente: la Società Italiana di Fisica (SIF).

Poco dopo, la presidentessa della SIF, professoressa Luisa Cifarelli, ha diffuso una dichiarazione su questo problema sotto forma di uncommento nel blog della Società Italiana di Chimica (SCI). Questo commento non è stato confermato ufficialmente, ma nemmeno smentito, quindi sembra essere reale. Lasciate che riporti qui la sua affermazione iniziale.

La SIF è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico.  

La professoressa Cifarelli prosegue poi affermando che la SIF si rifiuta di firmare un documento in cui alcune affermazioni sono date come certezze e non come possibilità e che la scienza non può essere basata sul consenso e sul “mescolare scienza e politica”. La professoressa conclude che è importante che la Terra venga protetta dall'inquinamento, che che lo studio del clima debba essere “basato sulla fisica”.

Quindi eccoci qua. Ciò che sta dicendo la professoressa Cifarelli è che la scienza è scienza solo se è basata su equazioni. Pertanto, visto che una “equazione del clima” non pare che esista, la scienza del clima non è una scienza. In una sola frase, la professoressa Cifarelli ha rimosso dalla categoria delle scienza legittime tutto quello che va dalle scienze della Terra (qual è l'equazione di dinosauri?) allo studio dei sistemi complessi (qual è l'equazione della Pila di sabbia di Bak?).

Questa è una bella figuraccia per tutta la comunità della Fisica italiana. Anche se diversi fisici italiani hanno fortemente criticato il comportamento della SIF in questa occasione, rimane un duro colpo al prestigio alla comunità della ricerca italiana. Ancora di più se si considera colpi precedenti come l'iniziale sostegno dato al "E-cat" da parte del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna.

Ma è peggio di così. In un momento in cui abbiamo tutti disperatamente bisogno di sostenere il lavoro degli scienziati del clima per promuovere un cambiamento indispensabile delle nostre politiche, sembra che alcuni scienziati tendano a aggrapparsi a paradigmi obsoleti, per esempio riguardo all'influenza umana sul clima. E' vero che i paradigmi obsoleti tendono ad essere rimossi dalla scienza per mezzo del progresso della conoscenza, ma ci vuole un po' di tempo, come mostra molto bene questa storia.
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Nota: dopo avere scritto questo testo, ho notato un commento firmato Luisa Cifarelli sul blog della SCI. Il commento dice: “Eppure Lei sa bene che la Groenlandia era verde in tempi non sospetti”. Non posso essere certo che questa frase sia stata scritta dalla presidentessa della Società Italiana di Fisica ma, se fosse così, è un'altra notevole figuraccia. 

giovedì 3 dicembre 2015

Evitare la catastrofe climatica: non è così facile come si pensa

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Lo scorso mese, Kevin Anderson ha pubblicato un articolo molto interessante su “Nature Geosciences” (12 ottobre 2015) L'articolo sembra essere a pagamento, ma la maggior parte del testo è riportata nel blog di Anderson. Comunque, ve lo riassuma, perché va al cuore del problema: la transizione NON sarà facile come dice molta gente. Installare doppi vetri ed usare auto ibride non sarà abbastanza, proprio per niente, perlomeno finché vogliamo conservare il business as usual in termini di crescita economica.

Per prima cosa, Anderson si pronuncia sui progetti attuali (il grassetto è mio):
Se dovessimo credere a questi titoli ottimisti – ed ampiamente incontestati – ridurre le emissioni in linea con una possibilità da buona a ragionevole di raggiungere l'obbiettivo dei 2°C  richiede un'evoluzione accelerata di allontanamento dai combustibili fossili; non necessita, tuttavia, di una transizione rivoluzionaria nel modo in cui usiamo e produciamo energia. Tali conclusioni provengono da molti Modelli Integrati di Valutazione, che sono strumenti chiave per informare i politici riguardo a futuri alternativi di cambiamento climatico. 

Ma le cose non sono così semplici, secondo Anderson:

Nella maggior parte dei Modelli Integrati di Valutazione, i bilanci di carbonio per i 2°C sono effettivamente aumentati attraverso l'adozione di tecnologie di emissione negativa. Queste tecnologie attualmente sono poco più che ad uno stadio concettuale di sviluppo, eppure sono omnipresenti negli scenari di 2°C. Questo è più evidente che altrove nel database degli scenari dell'IPCC. Dei 400 scenari che hanno un 50% o più di possibilità di un riscaldamento non superiore a 2°C (con tre scenari rimossi a causa di dati incompleti), 344 ipotizzano il successo dell'adozione su larga scala di tecnologie ad emissione negativa. Ancora più preoccupante, in tutti i 56 scenari senza emissioni negative, le emissioni globali raggiungono il picco intorno al 2010, che è il contrario dei dati di emissione disponibili.  

Questo è veramente agghiacciante: sembra che siamo arrivati al punto in cui la geoingegneria è il solo modo che ci rimane per mantenere le emissioni di carbonio entro i 2°C del bilancio di carbonio. Vale a dire, ameno che non usiamo una macchina del tempo per cambiare il passato e far avvenire il picco delle emissioni nel passato. Anderson nel suo blog dice:

Parlando chiaramente, l'intera serie dei 400 scenari del IPCC per una possibilità del 50% o migliore di restare entro i 2°C ipotizza o una capacità di viaggiare all'indietro nel tempo e l'assunzione con successo e su larga scala di tecnologie ad emissione negativa del tutto speculative. Una percentuale significativa degli scenari dipendono sia dal “viaggio nel tempo sia dalla geoingegneria”.

Anderson dice:

Portare avanti un tale percorso di emissioni per i 2°C non può conciliarsi con le affermazioni ripetute ad alto livello secondo le quali per transitare ad un sistema energetico a basso tenore di carbonio “la crescita economica globale non verrebbe fortemente condizionata”

e riassume con:

Concludo che i bilanci di carbonio associati alla soglia dei 2°C richiedono cambiamenti profondi ed immediati del consumo e della produzione di energia

Anderson ha ragione? Penso di sì, perlomeno finché rimaniamo all'interno delle ipotesi intrinseche dei modelli, cioè della crescita economica continua. Cosa dobbiamo fare, quindi? Be' una cosa che Anderson suggerisce nel suo blog è che non siamo stati bravi abbastanza a spiegare la situazione

...rimane una dissonanza cognitiva quasi su scala globale riguardo al riconoscimento delle implicazioni quantitative dell'analisi, anche da parte di molti di coloro che contribuiscono al suo sviluppo. Non siamo semplicemente pronti ad accettare le implicazioni rivoluzionarie delle nostre stesse scoperte e anche se lo siamo, siamo riluttanti ad esprimere apertamente tali pensieri.

Esiste, infatti, un atteggiamento diffuso nella comunità scientifica secondo cui non dobbiamo allarmare le persone riguardo al disastro climatico, che se lo facciamo le persone scapperanno mentre metteranno le mani sulle orecchie cantando “la-la-la” e che, pertanto, dobbiamo continuare a dire che è solo questione di qualche aggiustamento nei nostri modi di vivere e tutto andrà a posto.

Questo approccio non ha funzionato molto bene finora e penso che sia il momento di cambiare strategia. Anni fa, il presidente Kennedy ha detto che se vogliamo andare sulla Luna, “non è perché è facile, ma perché è difficile”. E ha funzionato. Evitare il cambiamento climatico è sicuramente difficile, ma non impossibile. Ci sono dei modi, se siamo disposti a fare sacrifici.



mercoledì 2 dicembre 2015

Fuffa e rivoluzione. A Parigi vedremo la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni, ma niente di più

di Jacopo Simonetta

Tra manifestazioni, tafferugli e mal riposte speranze, a Parigi va in scena l’ennesimo episodio di un serial che dovremmo conoscere già bene.   Ma se qualcuno si fosse perduto le puntate precedenti, basteranno le dichiarazioni iniziali dei principali leader mondiali ( per Obama qui e per Xi Jinping qui) per chiarire da subito che non ci sarà nessun accordo che possa, sia pur minimamente, influire positivamente sul clima.

Insomma, quello che vedremo sarà la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni a copertura di un piccolissimo arrosto di incentivi a questa o quella lobby industriale.

Disfattismo?   Lo vedremo fra qualche giorno, nel frattempo vorrei ricordare che questa non è certo la prima volta che viene annunciato un “cambio di rotta epocale” in materia di clima o, più genericamente, di ambiente.   Questa è infatti una vecchia storia, cominciata una cinquantina di anni fa e culminata nell'ormai remoto 1992 fra grandi speranze e fuochi d’artificio. In realtà il “nonno di tutti i fiaschi” fu infatti proprio il “Summit mondiale dell’ambiente” del 1992 da cui questa e tante altre conferenze sono poi scaturite.   Fu un vero e proprio picco del movimento ambientalista: contemporaneamente zenit di influenza politica e mediatica, ma anche dimostrazione di incapacità ed inizio della sua ingloriosa fine.

Molti troveranno sbagliate, o perlomeno esagerate, queste affermazioni.   Prima di entrare in qualche dettaglio credo sia quindi opportuno inquadrare brevemente l’evento.

Che la crescita demografia ed economica stavano conducendo l’umanità verso il disastro divenne evidente nel corso degli anni ’70.   Non solo per la pubblicazione di “Limits to Growth”, ma per l’accumularsi di una impressionante mole di dati e conoscenze in tutti i campi scientifici che, nel loro insieme, non davano adito a dubbi (tranne che per la maggior parte degli economisti).   Ma eravamo in guerra, sia pure “fredda”;  una guerra mortale fra le due scuole (o sette) in cui si era diviso il mondo:   Capitalismo versus Socialismo.   Entrambi perseguivano lo stesso fine: il massimo del benessere possibile per un numero crescente di persone.   Ma erano molto diversi i metodi immaginati per raggiungere lo scopo, così come i criteri di selezione delle rispettive classi dirigenti.
In Russia il tema dell’insostenibilità della crescita non fu neanche preso in considerazione.   In occidente se ne parlò molto, ma si fece poco perché porre dei severi limiti alla crescita economica avrebbe ridotto il peso politico-economico e militare dei paesi che lo avessero fatto.   Col rischio molto concreto di essere sconfitti.

Dunque, dopo 10 anni circa di discussioni e parziali provvedimenti, fu deciso che era più urgente rilanciare la crescita.   Cosa che fu fatta  mediante una complessa strategia che comprendeva, fra l’altro, la trasformazione del denaro e della finanza in entità totalmente virtuali, oltre ad un insieme di provvedimenti che vanno sotto l’etichetta di “deregulation”.   In pratica, la progressiva rimozione dei vincoli precedentemente imposti alle attività economiche per fini di tutela ambientale o sociale.  Il risultato non si fece attendere e, nel 1989, l’Unione Sovietica fu sconfitta non già sul campo di battaglia, bensì sul piano puramente economico.

Il crollo del blocco sovietico convinse tutti della giustezza del modello capitalista e fu in questo clima euforico che fu indetto il summit Rio.   Finita la guerra, nessuno aveva più molto da temere e tutti i paesi del mondo potevano finalmente collaborare per risolvere i problemi del sottosviluppo e dell’ambientale una volta per tutte.  O perlomeno così sembrava.Parteciparono ben 172 governi, di cui 116 con le loro massime cariche istituzionali, mentre ad un parallelo forum consultivo partecipavano 17.000 persone in rappresentanza di 2.400 NGO (associazioni non governative).   In effetti, non si era mai visto un evento di questa portata dedicato all’ambiente, ma la montagna partorì un ben misero topolino.   O meglio, produsse un magnifico castello di cristallo, attraverso i cui muri iridescenti non era difficile vedere le solide strutture di cemento e di acciaio del “Business as usual”.

A parte migliaia di pagine di analisi e commenti che nessuno ha mai letto, la conferenza produsse infatti una serie di documenti potenzialmente importanti, ma che ebbero ben poco impatto reale: Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo; Agenda 21; Convenzione sulla diversità biologica; Principi sulle foreste; Convenzione sul cambiamento climatico.

Ognuno di questi meriterebbe un approfondimento, ma visti i limiti di un post, vorrei solamente chiosare il primo dei 27 principi che avrebbero dovuto guidare le nazioni verso lo “sviluppo sostenibile”.   Esattamente gli stessi principi, si noti, proclamati a chiusura del summit di Stoccolma, esattamente 20 anni prima (1972) in piena guerra fredda (mancava il blocco sovietico e la Cina era rappresentata da Taiwan).

Principio 1:  Gli esseri umani sono al centro della preoccupazione per uno sviluppo sostenibile.   Hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Suona bene.   Effettivamente nel 1972, con un’impronta ecologica globale vicino ad 1, poteva essere sottoscrivibile.   Ma nel 1992, con una popolazione di 5,5 miliardi crescenti ad un tasso senza precedenti, magari qualcuno avrebbe dovuto porsi qualche qualche domanda.

Per esempio, cosa vuol dire “sviluppo sostenibile,?   Perché se voleva dire sviluppare società più parsimoniose e giuste era fattibile.   Ma se si intendeva che era ancora possibile una crescita demografica e/o economica senza scatenare catastrofi era semplicemente falso.   La capacità di carico del pianeta era già stata superata da un pezzo.

Seconda domanda: E’ bello avere dei diritti, ma siamo sicuri che questi non comportino dei doveri di cui non si parla mai?   Ad esempio, avere diritto ad una vita sana ed operosa non potrebbe presupporre il dovere di limitare la propria discendenza?   Oppure il diritto all'acqua potabile, non potrebbe avere a che fare con il dovere di razionarne l’uso in rapporto alla disponibilità? Sempre in tema di diritti, per essere sani e produttivi sono necessari una serie non indifferente di presupposti, a cominciare da cibo, acqua, energia, alloggi, cure mediche, e molto altro ancora.   Per quanta gente tutto questo può essere reso disponibile senza distruggere il pianeta?

Sulla base della situazione e delle conoscenze del 1972 si poteva ancora pensare che per circa 4 miliardi di persone fosse possibile.   Ma nel 1992 era già chiaro che il recupero di condizioni di sostenibilità sarebbe necessariamente passato attraverso una netta riduzione sia della popolazione umana, sia dello standard di vita medio.  Cosa che per europei, americani e giapponesi già allora avrebbe significato dei sacrifici assolutamente traumatici.   Mentre per tutti gli altri avrebbe significato rinunciare definitivamente alla speranza di accedere anche loro al tanto agognato Paese di Bengodi.   Per tutti voleva dire accettare di avere non più di due figli e morire possibilmente intorno ai 70 anni, come ai tempi di Dante Alighieri.

Molto "politicamente scorretto".  E difatti in tutti i 26 punti seguenti si continua a fingere che il numero di persone sia una variabile indipendente e che gli occidentali possano mantenere il loro tenore di vita principesco, mentre tutti gli altri hanno il diritto di raggiungerlo.   Ma, naturalmente, in modo “sostenibile”.
 
Insomma, da parte di chi capiva di cosa si stava parlando, il tentativo fu di contrabbandare alcuni principi assolutamente giusti, come quello di precauzione e quello di responsabilità, in mezzo ad un denso fumo di fuffa in cui ognuno avrebbe potuto trovare quel che più gli piaceva.   Ma mescolati alla fuffa, anche i principi seri divennero parole vuote.

Insomma, la filosofia generale che emerse fu che, OK, salvaguardare l’ambiente era bello ed importante, ma ad alcune condizioni.   In particolare che: a) ogni stato ha il diritto di fare quello che gli pare sul suo territorio; b) i paesi ricchi hanno il diritto di restare tali, semmai devono aiutare gli altri a diventare ricchi anche loro; c) i paesi poveri hanno diritto a diventare ricchi; d) la questione demografica è assolutamente marginale; h) nessuno si deve azzardare a porre dei limiti alla libertà di commercio; i) lo sviluppo economico e la protezione ambientale non sono in contrasto, anzi sono sinergici.

Difficile assemblare una collezione di ossimori più raffinata di questa.   Ma la misura del fallimento non fu tanto un documento pieno di vuotame che, in casa ONU, è normale.   La vera Caporetto fu che, con poche ed isolate eccezioni, il movimento ambientalista non denunciò il fallimento della conferenza.   Al contrario, si unì al coro di quanti dicevano che, ancorché non perfetto, il risultato era un eccellente compromesso ed un punto di partenza per nuove ed efficaci politiche ecc. ecc.

Insomma, il BAU aveva vinto non solo sul piano politico e diplomatico, ma anche e soprattutto su quello culturale.   Non a caso, nei decenni seguenti le parole d’ordine ed i concetti che erano stati elaborati per modificare alla radice l’impostazione sociale ed economica del mondo divennero gli slogan delle più spudorate campagne commerciali.   E perfino entrarono nella retorica elettorale di tutti i partiti, qualunque ne fosse il programma politico.

Purtroppo, la percezione della realtà dipende in grandissima misura dalla frequenza ed intensità con cui riceviamo i messaggi.   Così, in pochi anni, lo stesso movimento ambientalista finì col perdere la strada, ammesso che mai ne avesse avuta una, finendo col balbettare un guazzabuglio di luoghi comuni, privo di ogni coerenza esterna ed interna.
 
Rio non fu solo la tomba in cui finì ogni speranza di cambiare la rotta suicida del nostro mondo.   Fu anche la tomba del movimento ambientalista e perfino dalla sua cultura, divenuta pudebonda foglia di fico per imbellettare ogni nequizia.   Esattamente quello che in questi giorni sta accadendo a Parigi.
In quest’ottica il ricorso alla violenza è sicuramente una forte tentazione soprattutto per chi, essendo giovane, si rende conto che sarà abbandonato in un mondo che è stato saccheggiato in ogni suo anfratto dai suoi stessi nonni e genitori.

Ma si sa, o si dovrebbe sapere, che le tentazioni sono mostri che apparentemente ti offrono una via d’uscita da situazioni tremende, mentre in realtà ti ci sprofondano ulteriormente.   Se lasciare scarpe in piazza serve solo a sentirsi meno soli, lanciare fumogeni e bruciare automobili serve a peggiorare ulteriormente la situazione, da tutti i punti di vista.   Ma se qualcuno volesse davvero “portare l’attacco al cuore del sistema” avrebbe un modo sicuro e perfino legale di farlo: comprare il meno possibile, spengere luci e termosifoni.   E via di seguito.   Nessun soldato vince la guerra da solo, ma è la sommatoria dei contributi di ognuno che vince.   E questa, udite udite, è una guerra che può solo essere vita.

La barca del capitalismo globale fa già acqua da tutte le parti e non può che affondare, anche senza l’aiuto di nessuno.   Il problema è che tutti noi siamo a bordo e non ci sono scialuppe, al massimo qualche ciambella gonfiabile.   Nessuno se la caverà a buon mercato e molti non se la caveranno affatto, sarebbe bene parlarne ed organizzarsi almeno per limitare
il panico, ma è molto più facile a dirsi che a farsi.



martedì 1 dicembre 2015

Clima 2015: le cose non sono messe bene!

Da “icelandmonitor”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)




Rax / Ragnar Axelsson

Il professor Kevin Anderson esorta i politici ad essere onesti e a riconoscere la scala della sfida della mitigazione e ad attenersi agli impegni internazionali che voi/noi abbiamo fatto ripetutamente per mantenere l'innalzamento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C. 

Di Orri Páll Ormarsson orri@mbl.is Fotografie: Ragnar Axelsson

“Ci troviamo nei 'minuti di recupero' per i 2°C – e le cose non sono messe bene. Tuttavia, il tempo andrà avanti imperterrito anche se superiamo il bilancio del carbonio dei 2°C, avremo anche bisogno di procedere con ancora maggiore difficoltà per una profonda e rapida mitigazione mentre ci prepariamo agli impatti locali di un futuro con 4, 5 o persino 6°C in più. Ma dobbiamo osservare che l'adattamento ad uno scenario futuro del genere non sarà mai sufficiente per i molti milioni di persone che soffriranno e moriranno in conseguenza dell'edonismo alimentato a combustibili fossili di cui godono relativamente pochi di noi – compreso me e molto probabilmente tutti coloro che stanno leggendo; siamo i più grandi emettitori, che hanno esplicitamente scelto di fregarsene”.