domenica 6 marzo 2016

“La vecchia normalità è finita”: febbraio 2016 frantuma il record di temperatura globale

Da “Future Tense/Slate”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)


Di Eric Holthaus


A febbraio le temperature globali hanno toccato un nuovo record assoluto, frantumando il vecchio record stabilito solo il mese scorso nel bel mezzo di un El Niño da record. Ryan Maue/Weatherbell Analytics

I dati preliminari della temperatura di febbraio sono arrivati ed ora è abbondantemente chiaro: il Riscaldamento Globale sta mettendo la quinta. Ci sono dozzine di serie di dati della temperatura globale e di solito io (e i miei colleghi giornalisti che si occupano di clima) aspetto finché non vengono pubblicati quelli ufficiali, circa a metà del mese successivo, per annunciare un mese di caldo record a livello globale. Ma i dati di questo mese sono così straordinari che non c'è bisogno di aspettare: febbraio ha cancellato il record di temperatura assoluto stabilito il mese scorso.
Usando i dati ufficiosi ed adattandoli a diverse linee di base di temperature, sembra che febbraio 2016 sia stato probabilmente far gli 1,15 e gli 1,4°C più caldo della media a lungo termine e circa 0,2°C al di sopra del mese scorso – niente male per il mese più al di sopra della media mai misurato. (Visto che il globo si era già riscaldato di circa +0,45° gradi al di sopra dei livelli preindustriali durante la linea di base 1981-2010 comunemente usata dai meteorologi, quella quantità è stata aggiunta ai dati pubblicati oggi). Tenete in mente che c'è voluto dall'alba dell'era industriale fino allo scorso ottobre per raggiungere il primo grado Celsius e siamo giunti fino ad altri 0,4°C in più solo negli ultimi cinque mesi. Anche tenendo conto del margine di errore associato a queste serie di dati preliminari, ciò significa che è virtualmente sicuro che febbraio batte comodamente il record stabilito solo il mese scorso come mese più anomalamente caldo mai registrato. E' impressionante.

sabato 5 marzo 2016

L'intossicazione dei pesci

Studio: l'aumento delle emissioni di biossido di carbonio costituiscono una minaccia di “intossicazione” anticipata rispetto a quanto si pensasse per i pesci degli oceani del mondo

Da “UNSW Australia”. Traduzione di MR

Di Deborah Smith

Le concentrazioni di biossido di carbonio nell'acqua di mare potrebbero raggiungere livelli sufficienti ad “intossicare” i pesci e a disorientarli molti decenni in anticipo di quanto si pensasse, con implicazioni gravi per la pesca mondiale, hanno scoperto gli scienziati della UNSW. Lo studio della UNSW, pubblicato sulla rivista Nature, è la prima analisi globale dell'impatto dell'aumento delle emissioni di biossido di carbonio da combustibili fossili sulle variazioni naturali delle concentrazioni di biossido di carbonio degli oceani del mondo.

“I nostri risultati sono stati impressionanti ed anno enormi implicazioni per la pesca globale e per gli ecosistemi marini del pianeta”, dice l'autore principale, il dottor Ben McNeil, del Centro di ricerca sul cambiamento climatico della UNSW. “Alte concentrazioni di biossido di carbonio causano l'intossicazione dei pesci – un fenomeno noto come ipercapnia. Essenzialmente, i pesci si perdono in mare. Il biossido di carbonio altera i loro cervelli e i pesci perdono il loro senso della direzione e la capacità di ritrovare la strada di casa. Non sanno nemmeno dove si trovino i loro predatori. “Abbiamo dimostrato che se l'inquinamento atmosferico da biossido di carbonio continua ad aumentare, i pesci e le altre creature marine nelle zuppe di CO2 degli oceani Pacifico del sud e Atlantico del nord avranno episodi di ipercapnia da metà di questo secolo – molto prima di quanto era stato previsto e con effetti più dannosi di quanto pensato. “Entro il 2100, si pensa che le creature di quasi la metà degli oceani della superficie mondiale saranno colpite da ipercapnia”. Lo studio è dei dottori McNeil e Tristan Sasse della Scuola di Matematica e Statistica della UNSW.

https://www.youtube.com/watch?v=eD4xwGhyh9k

L'ipercapnia nell'oceano è prevista sopraggiungere quando le concentrazioni di biossido di carbonio atmosferiche superino le 650 ppm. Gli scienziati della UNSW hanno utilizzato un database globale delle concentrazioni di biossido di carbonio nell'acqua di mare raccolto durante gli ultimi 30 anni come parte di una varietà di programmi oceanografici. “Abbiamo quindi ideato un metodo numerico per elaborare i massimi ed i minimi naturali mensili delle concentrazioni di biossido di carbonio durante l'anno sulla superficie degli oceani del mondo, sulla base di queste osservazioni”, dice il dottor Sasse. “Questo ci ha permesso di prevedere per la prima volta che queste oscillazioni naturali saranno amplificate fino a dieci volte in alcune regioni dell'oceano per la fine del secolo, se le concentrazioni di biossido di carbonio atmosferico continuano ad aumentare”. Per aiutare ad accelerare quest'importante are di ricerca, gli scienziati della UNSW hanno anche offerto premi ad altri ricercatori che possono migliorare i loro risultati. “Prevedere l'inizio della ipercapnia è difficile, a causa dalla mancanza di misurazioni oceaniche globali delle concentrazioni di biossido di carbonio”, dice McNeil. “Stiamo sfidando altri scienziati con approcci predittivi innovativi a scaricare l'insieme dei dati che abbiamo usato, impiegare i loro metodi numerici e condividere le loro previsioni finali, per vedere se possono battere il nostro approccio”. La competizione e i premi sono descritti sul sito web thinkable.org, di cui il dottor of Dr McNeil è fondatore.

Contatti media:

Dottor Ben McNeil: b.mcneil@unsw.edu.au
Dottor Tristan Sasse: t.sasse@unsw.edu.au
Addetta stampa scientifica della UNSW: Deborah Smith: 9385 7307, 0478 492 060, deborah.smith@unsw.edu.au

Cambiare lo stile di vita contro il cambiamento climatico

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un documento trapelato dalla Commissione Europea fa appello per un dibattito allargato su come mantenere il riscaldamento globale a 1,5°C


La centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar, nel Nottinghamshire. ‘La rimozione di CO2’ potrebbe risucchiare le emissioni dall'aria. Foto: David Davies/PA

Di Arthur Neslen

I paesi europei si dovrebbero preparare per un dibattito di vasta portata sui “profondi cambiamenti di stile di vita” richiesti per limitare il cambiamento climatico, secondo un documento trapelato della Commissione Europea. La Commissione dirà all'incontro dei Ministri degli Esteri, lunedì a Brussels, che serve un dibattito a livello europeo su come limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, secondo una squadra che lavora ad un documento per i Ministri contattata da The Guardian. E' stato scritto in risposta al summit climatico di Parigi della fine di dicembre, che ha concordato un piano per tagliare le emissioni fino allo zero netto per meta secolo e per l'intenzione di bloccare il riscaldamento globale a 1,5°C. Le temperature sono già aumentate di 1°C dal periodo preindustriale e premere sui freni del cambiamento climatico “non è affatto un'impresa facile”, dice il documento. “Richiederà l'esplorazione di possibilità per realizzare emissioni “negative” così come di profondi cambiamenti di stile di vita delle generazioni attuali”.


Le emissioni negative possono riferirsi alla tecnologia di 'carbon capture and storage' alimentata dalla biomassa, alla geoingegneria dell'atmosfera e degli oceani, o alla rimozione di CO2 che risucchia le emissioni dall'aria. Una revisione dell'ambizione dell'impegno a tagliare le emissioni di almeno il 40% dai livelli del 1990 entro il 2030 sarà cruciale, aggiunge l'articolo. Ciò avrà luogo dopo la pubblicazione di un rapporto da parte del IPCC, nel 2018. “Non c'è necessità che la UE aggiorni il suo obbiettivo principale per il 2030 a causa di questo processo nel 2020, ma il quadro temporale presenta alla UE una opportunità di farlo”, dice. La fine del decennio sarà “il solo momento politico significativo prima del 2030 per fare leva su una maggiore ambizione da parte di altre grandi economie come Cina ed India”, così come Stati Uniti e Brasile, afferma il documento. Tuttavia, si sa che la Commissione Europea sta già sviluppando scenari per l'aumento del taglio delle emissioni tramite risparmi energetici ed una nuova direttiva sull'energia rinnovabile. In quel contesto, i gruppi verdi hanno detto di essere delusi dal fatto che l'azione per l'obbiettivo conquistato a fatica degli 1,5°C e stata ritardata.

“La UE deve rifare i suoi compiti a casa e stabilire un percorso per soddisfare una maggior efficienza energetica ed obbiettivi per le rinnovabili”, ha detto il consigliere per le politiche climatiche della UE di Greenpeace, Bram Claeys. “Non possiamo avere fiducia in un piano che gioca a tira e molla col riscaldamento globale e non accelera il passaggio dell'Europa al 100% di energia rinnovabile”. Wendel Trio, direttore di Climate Action Network-Europe, ha detto: “Come tutti gli altri paesi, la UE deve assicurare che le sue politiche siano coerenti con ciò che è stato concordato a Parigi e deve aumentare sostanzialmente i propri obbiettivi per il 2020, 2030 e 2050. Questa discussione deve aver luogo adesso e non venire posticipata per altri tre o cinque anni, come propone la Commissione Europea”. I capi della UE devono discutere la possibilità di alzare l'obbiettivo della UE per il 2030 in un summit il 17-18 marzo. Ma figure potenti all'interno della Commissione cercheranno di assicurarsi che questo avvenga tramite una revisione del blocco delle regole per il mercato del carbonio nel 2023.

Il dirigente capo per il clima della UE, Miguel Arias Cañete, ha già segnalato che gli piacerebbe che l'Unione ratifichi l'accordo sul clima di Parigi ad una conferenza a New York il 22 aprile. “E' nell'interesse della UE di unirsi presto, a fianco di Stati Uniti e Cina ed altri paesi dalle “grandi ambizioni”, dice l'articolo. Altri scenari legali potrebbero anche permettere che l'accordo entri in vigore senza la partecipazione della UE. Le decisioni di alzare l'ambizione climatica saranno molto combattute, con paesi dipendenti dal carbone come la Polonia che probabilmente punteranno i piedi. “La scala potenziale di tale profonda trasformazione richiederà un ampio dibattito sociale in Europa”, dice il documento, che è stato preparato unitamente dalla Commissione Europea e dall'ufficio esteri, il servizio di azione esterna europea. Un aumento di 2°C delle temperature globali potrebbe avere conseguenze che comprendo la migrazione del 20% della popolazione mondiale dalle città inondate dall'aumento del livello del mare, come New York, Londra e Il Cairo, secondo uno studio pubblicato questo mese.

venerdì 4 marzo 2016

Malthus aveva ragione. E adesso?

Da “Montreal Gazette”. Traduzione di MR (via Emilio Martines)






Thomas Robert Malthus ha scritto, in questo Saggio sul Principio di Popolazione che, se lasciata senza controllo, la crescita della popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti. MONTREAL GAZETTE FILES


Di Madeline Weld

Sabato era il 250° anniversario della nascita di Thomas Robert Malthus. Vorrei augurargli molti ritorni felici. E lui continua a tornare, non è così?. Nonostante tutti quelli che dicono che abbia sbagliato tutto o sia fuori moda. Il suo saggio sul Principio di Popolazione sosteneva che, se lasciata senza controllo, la popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti: “Il potere della popolazione e infinitamente più grande del potere della Terra di produrre sussistenza per l'uomo”. Ha previsto carestia, malattie e molta sofferenza, specialmente fra i più poveri. Ma oltre a queste “constatazioni negative”, ha anche riconosciuto “constatazioni preventive” come limitare i tassi di nascite e matrimoni ritardati. Come ecclesiastico, sosteneva “il casto posticipo del matrimonio”.

giovedì 3 marzo 2016

La geopolitica dei gasdotti: finale senza fine


Guest post di Tatiana Yugay,
Docente presso la Plekhanov Russian University of Economics / РЭУ Плехановa Mosca








 

Questa è la parte finale di una serie di post sui gasdotti russi. Vorrei ringraziare il mio caro amico, Ugo Bardi per l'opportunità di publicare i miei post nel suo famoso blog!


E' passato abbastanza tempo dall'uscita del mio post precendente sui gasdotti in Europa. Volevo scrivere sul nuovo progetto Turkish Stream che dovrebbe sostituire il South Stream ma la sua sorte era cosi' incerta.

Come ho scritto in precedenza, il primo dicembre 2014 la Russia ha dichiarato la rinuncia al progetto South Stream, perche l’UE aveva posto troppi ostacoli, principalmente tramite il terzo pacchetto energetico (TEP). Però, subito dopo, i presidenti Putin e Erdoğan hanno annunciato al vertice di Ankara della possibile costruzione di un gasdotto, che terminerebbe al confine greco-turco, garantendo l’accesso del gas russo al mercato europeo.

L’accordo per la grande opera firmato a dicembre tra Gazprom e la turca Botas Petroleum Pipeline Corporation, prevedeva appunto la costruzione di una condotta che doveva passare sempre sotto il Mar Nero, partendo dallo stesso punto del South Stream, ma con arrivo in Turchia invece che in Bulgaria. La capacità di questo tubo avrebbe dovuto trasportare 63 miliardi di metri cubi all’anno. Ma questa capacità era la stessa del cancellato South Stream.



Foto 1 PipeLines

Sembrerebbe che un'alleanza del gas tra Russia e Turchia seguisse naturalmente dalle dinamiche delle relazioni commerciali ed economiche. Secondo Nicolò Sartori, esperto nell'ambito della sicurezza energetica dell'Istituto degli Affari Internazionali di Roma, negli ultimi anni “la Turchia è diventata il secondo mercato di destinazione per il gas russo al di fuori dello spazio ex-sovietico, alle spalle della Germania e prima dell’Italia. Si tratta di un volume pari a quello di tutto il mercato dell’Europa centro-orientale e dei Balcani. Al contempo, la Turchia dipende in modo sostanziale da Mosca per i suoi approvvigionamenti energetici. I 27 miliardi di metri cubi annui, importati e forniti dalla Russia rappresentano il 56% dei consumi totali di gas di Ankara”.

Questo ambizioso progetto sarebbe vantaggioso per entrambe le parti. Da un lato, Gazprom sarebbe rafforzata nella sua posizione nel crescente mercato del gas turco. Inoltre, avrebbe permesso al colosso energetico Russo di raggiungere altri mercati (Italia, Balcani ed Europa centro-orientale). Del resto, la Turchia potrebbe realizzare il suo sogno geoeconomico di diventare un polo energetico per l'Europa perche la Russia voleva fornire il gas fin alla porta dell'Unione europea, al confine tra Turchia e Grecia per non cadere sotto la giurisdizione del Terzo pacchetto energetico. Erano in vista anche altri progetti comuni, favorevoli per la Turchia.

Come sostiene Nicolò Sartori, “La luna di miele energetica annunciata da Putin, avrebbe pertanto trasformato la Turchia nell’hub del gas russo, permettendo al contempo a Mosca la potenziale capacità di diversificare le sue esportazioni verso l’Ue, alla luce della crisi con Kiev”.

Tuttavia, dopo il clamoroso annuncio dell'intesa tra Russia e Turchia le cose hanno cominciato di insabbiarsi. Infine, dopo l’abbattimento del caccia-bombardiere Su-24 delle Forze aeree russe nei cieli della Siria é stato chiaro che anche il Turkish Stream non si farà più.

Dal punto di vista economico era assolutamente incomprendibile come la Turchia potesse mettere a rischio un progetto a lungo termine così vantaggioso per entrambe le parti. Anche le informazioni scioccanti che la Turchia rivende il petrolio siriano prodotto nel territorio controllato dal Daesh (ISIS), non hanno completamente spiegato perchè Erdogan abbia preferito i benefici immediati agli interessi a lungo termine. [I filmati e foto divulgati dal ministero della Difesa della Russia mostravano le lunge file di autocisterne con petrolio di contrabbando, proveniente dai territori controllati dal Daesh, che entravano effettivamente in Turchia].

Purtroppo, la geopolitica ha le sue proprie ragioni che non sempre coincidono con le considerazioni di opportunità economica. Come ha raccontato Eugenio Di Rienzo, storico, professore ordinario dell'Università di Sapienza, a Sputnik-Italia, “la Turchia é ritornata ad avere il vecchio sogno di Impero Ottomano. Cioè di riconquistare se non territorialmente ma almeno come l'egemonia tutti i territori che appartenevano all'Impero Ottomano. La filosofia politica di Erdogan è diretta al ritorno ad un controllo del Medio Oriente territorialmente avvalendosi di una parte della Siria e una parte dell'Iraq e facendo fuori una possibilità di un Kurdistan indipendente. E così la Turchia vuole diventare nel Medio Oriente la grande potenza sunnita per poi naturalmente entrare in rotta di collisione con l'Iran sciita. Purtroppo questo sogno folle di ritornare a questo impero — sembra un sogno di Grande Dittatore del film di Chaplin — trova la complicità con gli Stati Uniti”.

Tutto sommato, la Turchia sta usando Daesh come la sua arma e i raid aerei russi hanno scongiurato l’avverarsi di questo incubo geopolitico.

Subito doppo il tragico avvenimento, Nicolò Sartori ha scritto “Quanto accaduto potrebbe avere un forte impatto anche sull’architettura energetica regionale, basata su un crescente ruolo della Turchia come hub del gas, anche in virtù della partnership strategica promossa dal Cremlino nel tentativo di uscire dall’impasse con l’Unione europea per via della questione ucraina».

Dopo l'abbattimento dell'aereo, la Russia ha annunciato delle sanzioni economiche pesanti contro la Turchia. Nondimeno, il 2 dicembre 2015, il ministro dello Sviluppo economico russo Alexey Ulyukayev affermava che il decreto governativo riguardante misure economiche speciali contro la Turchia non si applica per ora ai grandi progetti di investimento come il Turkish Stream.

Andrew Korybko, commentatore politico presso l'agenzia Sputnik, presenta nel suo post “Washington’s “Destabilization Agenda”: A Hybrid War to Break the Balkans?” una ipotesi interessante e nello stesso tempo verosimile. Lui ricorda tutta la catena degli avvenimenti che precedevano l'abbattimento del caccia-bombardiere russo. Prima era la cancellazione del South Stream. E poi dopo l'accordo tra Russia e Turchia sul Turkish Stream avevano ebbero luogo i tentativi di rivolta quasi “Color Revolution” inspirati dagli Usa in Macedonia nel maggio 2015. Anche i disordini in Grecia dopo il referendum sull'austerita' erano provocati allo scopo di spostare Tsipras per sostituire il Balkan Stream con il progetto Eastring patrocinato dagli Usa. Il Balkan Stream doveva essere collegato al Turkish Stream per portare il gas russo al Sud Europa.

Nondimeno, i Balcani si sono mostrati resistenti alle trame americane. Al parere di Korybko, l'abbattimento del Su-24 fu provocato dagli Usa per lanciare l'effetto domino che in fin dei conti ha causato la rovina della cooperazione energetica tra Russia e Turchia.

Tuttavia, Korybko arriva ad una conclusione piuttosto ottimista sul fatto che il progetto Turkish Stream non'è definitivamente annullato, ma è accantonato temporaneamente. Ma quali sarebbero le condizioni della ripresa del progetto? Secondo l'analista, uno scenario più probabile sarebbe che le masse popolari o i rappresentanti militari sconvolti potranno rovesciare il regime di Erdogan.

Korybko prevede che la Cina avrà un ruolo importante nel dare un nuovo respiro al Balkan Stream perché il Balkan Stream sarà un componente decisivo nella infrastruttura del Balkan Silk Road combinata da Cina. “Il Partenariato strategico russo-cinese è destinato a rivoluzionare il continente europeo con un infuso di influenza multipolare lungo il corridoio balcanico, che avrebbe dovuto supportare il Balkan Stream e Via della Seta dei Balcani” (Per approfondire leggi: Washington’s “Destabilization Agenda”: A Hybrid War to Break the Balkans?).

Intanto, nel mondo dei gasdotti non è tutto completamente oscuro. Mentre nel corridoio meridionale tutti i lavori sono sospesi, è emerso di nuovo il progetto Nord Stream-2 in nord Europa. Come indica Nicolò Sartori, “l’azione turca porti non solo al definitivo congelamento di Turkish Stream - a vantaggio della Germania che vedrebbe la strada spianata per il suo Nord Stream-2 - ma anche un chiaro ridimensionamento del ruolo della Turchia nelle strategie del Cremlino”.

Il progetto Nord Stream-2 prevede la realizzazione di due rami di gasdotti con una capacità totale di 55 miliardi di metri cubi di gas ogni anno che porterà energia dalle coste della Russia fino a quelle tedesche attraverso il Mar Baltico. Il patto sociale tra gli investitori del progetto della joint venture “New European Pipeline AG”, che si occuperà della costruzione del gasdotto, è stato firmato il 4 settembre scorso.



Foto 2 nord-stream-

Si può immaginare che nell'attuale situazione internazionale, la realizzazione di un nuovo progetto di gasdotto debba incontrare una strenua resistenza da parte delle forze europee e di oltreoceano. Non è sorprendente che contro Nord Stream-2 sono schierati gli stessi personaggi che cercavano di impedire la costruzione di Nord Stream nel 2006 - con Slovacchia e la Polonia capofila e sostenuti dalla Repubblica ceca, Ungheria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania e Grecia. Il gruppo di paesi dell'Europa orientale ha inviato la lettera alla Commissione europea chiedendo di bloccare il Nord Stream-2. Sostengono che la costruzione del gasdotto va contro le politiche di diversificazione e di sicurezza energetica dell'UE. Secondo la petizione, il gasdotto Nord Stream-2 permetterà alla Germania di dominare il mercato europeo del gas.

Comunque, il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha detto che il progetto non dovrebbe essere considerato come una questione politica, ma come una questione commerciale.

In questo contesto, l'esperto tedesco Alexander Rahr presunta, “Dobbiamo dire francamente che c'è una guerra in Europa: la guerra energetica. Sette paesi, tra i quali la Polonia, hanno inviato una lettera alla Commissione europea con una la richiesta di non permettere questa costruzione. È un attacco alla Germania, le cui attività sono coinvolte nella costruzione del gasdotto, che considerano economicamente molto importante”.

Le autorità russe e tedesche sono adamanti sul fatto che il progetto ha significato puramente commerciale, non politico. Secondo presidente Putin, “Il progetto ha l'obiettivo di garantire il fabbisogno energetico, prima di tutto, al Nord Europa considerando anche i cali di produzione nel Regno Unito e in Norvegia e contemporaneamente l'incremento della domanda di energia in questa parte d'Europa. Non c'è assolutamente l'intenzione di privare qualcuno delle opportunità di transito”, per questo “chiedo di mettere da parte qualsiasi speculazione politica”.

“Il progetto di gasdotto Nord Stream-2 è in assoluto un progetto economico, commerciale, è sicuramente vantaggioso per la Germania e tutta l'Europa, è utile per la Russia” ha detto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov nella conferenza stampa sui risultati della politica estera della Russia nel 2015. Lavrov dice “se saremo pragmatici, penseremo ai nostri propri interessi nazionali, che non violano gli obblighi internazionali, il risultato sarà sempre positivo e raggiungibile”.

La cancelliera tedesca, Angela Merkel presume che il progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream “è una proposta di business economico”; bisogna “garantire un quadro legale” e non escludere l'Ucraina come Paese di transito. Il vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha osservato che il progetto potrebbe essere economicamente vantaggioso non solo per la Germania, ma anche per la Francia e gli altri Stati membri dell'UE, ma per la sua attuazione è necessario che ci siano le “condizioni politiche”. Quest'ultima clausola è ovviamente al fine di dimostrare che la Germania è preoccupata per la sicurezza energetica dell'Unione europea, in particolare dall'Europa dell'Est.

Durante la sua visita a Mosca il 29 gennaio 2016, il primo ministro finlandese Juha Sipila ha affermato che la Finlandia considera il progetto Nord Stream-2 da un punto di vista pragmatico, non politico. “Questo è un progetto commerciale per la Finlandia, e noi siamo pragmatici verso di essa.”

La posizione dell'Italia sul Nord Stream-2 è abbastanza ambigua. La questione del gasdotto Nord Stream-2 è stata sollevata durante il vertice Ue dal presidente del governo Matteo Renzi. A suo parere, è strano che un anno dopo la chiusura del South Stream che ha danneggiato la Bulgaria e alcune società italiane, la questione del Nord Stream-2 è sia stata adottata “in assoluto silenzio.” “L'Italia e la Bulgaria non capiscono perché il South Stream non è possibile realizzare per la UE, mentre il North Stream-2, che porta in Germania, è possibile”.

Gianni Petrosillo, giornalista ed esperto presso conflittiestrategie.it, scrive in maniera fin troppo ironica, “Renzi sembra l’unico a non capire un tubo. Cioè a non comprendere l’importanza delle rotte strategiche dei gasdotti, delle possibili alleanze internazionali veicolate dagli approvvigionamenti degli idrocarburi e degli scambi nel settore energetico che producono vantaggi al sistema politico ed economico di un Paese. La sua dichiarazione riportata qualche giorno fa dal Messaggero lascia letteralmente di stucco: “Siamo in una fase di riflessione, la questione richiede molto tempo per arrivare a eventuale maturazione. Soprattutto non si può perdere la faccia per due tubi…”. Petrosillo presume, “Evidenziati questi scenari, l’offerta russo-tedesca dovrebbe essere colta al volo dalla nostra classe dirigente, così come la possibilità di riaprire il discorso sul South Stream. Insomma, meglio “perdere la faccia per due tubi” (con chi poi?) che finire intubati per deperimento e per false credenze ambientalistiche che potrebbero portarci ad una completa rovina.”

La ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, ha notato che “l'Italia importa dalla Russia, il principale fornitore del nostro Paese, tra il 45 e il 50% della domanda annuale di gas nazionale e questo spostamento di flussi richiederebbe anche nuovi investimenti sulla rete interna europea e sulla connessioni tra gli Stati membri necessari anche per mantenere le attuali forniture europee all'Ucraina e analoghi problemi sorgerebbero anche per alimentare i Paesi dell'area balcanica, nei casi in cui la rotta ucraina dovesse essere abbandonata”.

Uno dei voci piu' influenti dell'Italia - Romano Prodi, l'ex presidente del Consiglio italiano ed l’ex presidente della Commissione europea, ha scritto l'articolo sul Nord Stream-2 su Il Messaggero. Da un lato, Prodi tratta con la comprensione la decisione russa di bypassare l'Ucraina. Egli scrive, “Esistono naturalmente ragioni fondate perché la Russia cerchi di evitare il passaggio ucraino: infinite sono state infatti le controversie sui prezzi e sui diritti di passaggio. Io stesso, come Presidente della Commissione Europea, mi sono recato più volte a Kiev per cercare di porre fine al vero e proprio furto di gas che veniva messo in atto, ovviamente con il tacito permesso e forse con l’attiva cooperazione delle autorità, facendo buchi nel grande tubo e spillando il gas come si fa con il vino da una botte.”

D'altra parte, Prodi propone un piano che, purtroppo, è quasi impossibile da realizzare in questa fase di confronto tra l'Unione europea e la Russia a causa dell'Ucraina. “La soluzione è quella che da tempo propongo, cioè un’impresa comune per la gestione dei gasdotti che attraversano l’Ucraina. Un’impresa posseduta per un terzo dalla Russia, un terzo dal governo ucraino e un terzo da soggetti europei, in modo che russi ed europei si sentano garantiti nei loro interessi e gli ucraini siano correttamente controllati.”

Gli analisti italiani capiscono benissimo che accanita opposizione al progetto Nord Stream-2 non ha il carattere principalmente economico, ma sopratutto politico. Elena Veronelli scrive nel Fatto quotidiano, “Si fa più agguerrita e ingarbugliata la partita sul gas russo che sta spaccando il Vecchio Continente. Berlino va a braccetto con Mosca ma al tempo stesso chiede all’Europa di mantenere la linea dura e prolungare le sanzioni contro il Cremlino. Roma accusa di doppiogiochismo e incoerenza la cancelliera tedesca Angela Merkel e blocca di fatto il rinnovo delle sanzioni. Il ‘casus belli’ è il raddoppio del Nord Stream”.

Mentre i progetti South Stream e Turkish Stream sono decisamente sospesi a tempo indefinito se non abbandonati per sempre, l'Italia può entrare nel gioco del Nord Stream-2 attraverso il gruppo Eni. Gli business esperti italiani sostengono che “il gasdotto Nord Stream-2 rappresenterebbe un ottimo progetto potenziale per Saipem che ha già realizzato i gasdotti del Nord Stream per un valore complessivo di oltre 1 miliardo di euro e potenzialmente con margini di guadagno ampiamente a doppia cifra”, commentano gli analisti di Equita. Anche per gli analisti di Icbpi qualsiasi coinvolgimento di Saipem nel progetto Nord Stream-2 sarebbe “molto positivo per il gruppo italiano, che ha visto svanire il contratto South Stream da 2,4 miliardi di euro nel corso del 2015, contratto che avrebbe dovuto essere sostituito da uno di dimensioni simili per il progetto Turkish Stream, anche questo abbandonato”.

Dietro la discordia europea è possibile distinguere anche la mano degli Usa. Come ritiene Andrea Indini, “contro Berlino... si sono recentemente schierati anche gli Stati Uniti. Che, come fa notare l'Huffington Post, puntano al Vecchio Continente per esportare il gas naturale.”

E' chiaro che l'arbitro supremo della battaglia tra i giganti e i nani dell'Europa è sempre la Commissione Europea con il suo temibile Terzo pacchetto energia. Secondo Sergey Pravosudov, l'esperto russo, “Il Nord Stream-1 al suo tempo rientrava nelle norme del terzo pacchetto energetico. E adesso la posizione di Gasprom è la stessa che per quel progetto é disponibile alla costruzione di due ulteriori linee. Ma molti altri europei lo considerano come un progetto del tutto nuovo e a Gazprom gli serve ottenere tutti i permessi che per ora ritardano la sua realizzazione”.

Danila Bochkarev, Senior Fellow presso il East West Institute (Bruxelles), scrive, “La situazione è ulteriormente complicata dalle rivendicazioni, che sostengono che la legge energetica dell'UE potrebbe essere applicata anche al fondo marino del Baltico. Se questa opzione diventerà la realtà, il Nord Stream-2 sarà costretto a mantenere il 50% della sua capacità riservata ai fornitori non-Gazprom sia in sottomarino offshore e condotte a terra”.

Ciò nonostante, egli presume che esiste “un elegante soluzione a questo problema... che richiede meno tempo e i sforzi, rispetto ai tentativi di ottenere una deroga alle norme energetiche esistenti dell'UE”. Siccome la Russia “ha già liberalizzato le sue esportazioni di GNL e nessuno puo' impedire a Mosca di prenotare il 50% del gasdotto Nord Stream-2 per le forniture non-Gazprom”. L'esperto sostiene che tale decisione sarà vantaggiosa per tutte le parti interessate: 1) il progetto sarà pienamente compatibile con il diritto comunitario; 2) Gazprom avrà la sua quota garantita di forniture di gas (minimo 27,5 miliardi di metri cubi) e potrebbe anche condividere le spese di costruzione del gasdotto con i fornitori di gas indipendenti russi; 3) la partecipazione dei fornitori non Gazprom permetterà di esportare più gas russo verso l'Europa e di conseguenza aumentare i ricavi del governo.

Così, come un infinito serial tv quello dei gasdotti russi in Europa ha la possibilità di concludersi con un Happy end. Il Nord Stream-2 puo' essere pienamente conforme alle norme del terzo pacchetto energetico e anche la parte importante del South\Turkish Stream puo' incarnarsi nel Balkan Silk Road.



I post precedenti

La geopolitica dei gasdotti

La geopolitica dei gasdotti: Nord Stream













mercoledì 2 marzo 2016

Male, malissimo, sempre peggio

2050: Odissea sulla Terra

di Stefano Ceccarelli

Da Stop Fonti Fossili

Il tempo degli umani è scandito dal susseguirsi delle generazioni. L’arco temporale fra una generazione e la successiva, convenzionalmente fissato in 35 anni, dà la misura di come è cambiato il mondo da quando i nostri genitori avevano la nostra età ad oggi. Allo stesso modo siamo portati a guardare al futuro immaginando le vite dei nostri figli quando essi avranno l’età che noi abbiamo oggi. Mi è sembrato allora interessante provare a rivolgere uno sguardo all’anno 2050, cioè ad una generazione da oggi, tentando di estrapolare alcuni dei trend che oggi osserviamo a livello globale in materia di economia, energia ed emissioni di gas serra, con l'obiettivo di prefigurare l'entità delle trasformazioni necessarie a scongiurare gli impatti più gravi dei cambiamenti climatici.

Partiamo dall’economia. E’ notizia recente che la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso le stime per la crescita economica globale del 2016, portandola al 2,9% rispetto al 3,4% previsto in precedenza. Le ragioni di una revisione al negativo delle previsioni sono note e non mi soffermerò su questo. Faccio solo notare che una crescita di questa entità del PIL mondiale è la media fra gli aumenti dei paesi emergenti – che seppure in forte difficoltà crescono del 5-7% – e quelli non lontani dallo zero dei paesi sviluppati. Supponendo che questo tasso di crescita annuale si mantenga invariato per i prossimi 34 anni (la qual cosa suona tutt’altro che entusiasmante per il mainstream economico-finanziario e per i leader politici, che si ostinano a sognare crescite ben più sostenute), nel 2050 la ricchezza complessiva delle economie mondiali sarà aumentata di 2,6 volte rispetto ad oggi. Se consideriamo che la popolazione mondiale sarà di circa 9 miliardi di persone rispetto agli attuali 7,3, questo dato si traduce in un aumento medio pro-capite di 2,1 volte. E’ ovviamente del tutto verosimile che, per quanto lo scandaloso divario fra una esigua minoranza di superricchi e una maggioranza di poveri possa ancora aumentare, gran parte della nuova ricchezza generata sarà destinata ai paesi in via di sviluppo.

Passiamo ora all’energia. Può un simile aumento di ricchezza avvenire senza una crescita parallela dei consumi di energia? Ovviamente no, e neanche su questo mi dilungo. Osservo solo che, visti i miglioramenti da attendersi in tema di efficienza energetica, i tassi di crescita dell’energia primaria globale saranno con ogni probabilità sensibilmente inferiori all’aumento del PIL immaginato prima. Nell’ultimo decennio l'energia consumata nel mondo è cresciuta in media del 2,1% l’anno, nonostante la profonda recessione che ha colpito l’economia mondiale. Ipotizzando dunque una leggera ripresa dei consumi combinata ad ulteriori progressi nell’uso efficiente dell’energia, ho voluto tentativamente immaginare una crescita dell’energia primaria mondiale del 2% l’anno fino al 2050, anche in questo caso a quasi esclusivo beneficio dei popoli in via di sviluppo la cui popolazione aumenterà rapidamente. Ne risulta al 2050 un raddoppio del fabbisogno di energia rispetto ad oggi.

Con mia sorpresa, ho scoperto che questa grossolana previsione è perfettamente in linea con lo scenario dipinto da Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani in una loro pregevole rassegna appena pubblicata, nella quale viene considerato ottimale un consumo medio pro-capite annuo al 2050 pari a 2,8 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) contro il valore di 1,8 registrato nel 2014. I due studiosi argomentano che il valore di 2,8 tep pro-capite deve ritenersi adeguato sulla base di indicatori che correlano il livello di sviluppo umano di una data popolazione con il suo consumo di energia. Si è visto, ad esempio, che paesi come la Nigeria o il Ciad, che presentano elevati tassi di mortalità infantile, hanno un consumo pro-capite di soli 0,1 tep, e che la mortalità diminuisce con l’aumentare della disponibilità di energia fino ad un livello approssimativamente pari a 3 tep, oltre il quale non vi sono ulteriori apprezzabili miglioramenti. Si deve rimarcare come il valore di 2,8 tep considerato desiderabile è comunque largamente inferiore agli attuali consumi pro-capite di paesi come gli USA o il Canada, pari rispettivamente a 7,2 e 9,4 tep.

Dunque, a meno di incrementi strepitosi nell'efficienza energetica (su cui comunque si deve continuare ad investire) o di un collasso dell'economia globale, si può ipotizzare un consumo mondiale di energia al 2050 pari a 25.200 Mtep (2,8 tep x 9 miliardi), che è appunto circa il doppio di quello, pari a 12.928 Mtep, calcolato al 2014 dalla BP Statistical Review of World Energy 2015. Quale potrà essere il mix delle fonti energetiche a quella data? Non certo quello attuale che vede le fonti fossili giocare un ruolo del tutto predominante. Come sottolineato fino alla noia in questo blog, se vogliamo avere delle chances di contenere a livelli ancora accettabili il riscaldamento globale dobbiamo accelerare la transizione già in atto dalle fonti fossili alle rinnovabili. Pertanto mi sono chiesto quale dovrà essere l’entità dell’incremento annuo da qui al 2050 della quota di energia primaria proveniente dalle rinnovabili non idroelettriche, ed ho provato a fase dei semplici conti.

Ipotizzando che l’apporto percentuale di energia idroelettrica e nucleare, attualmente pari rispettivamente al 7% e al 4%, rimanga invariato (il che vuol dire prevedere comunque un raddoppio del loro contributo in valore assoluto, cosa per nulla scontata considerando per un verso i programmi di smantellamento di molte centrali nucleari nei prossimi vent'anni e per l’altro i limiti alla crescita dell’idroelettrico dovuti alla crescente penuria di acqua in vaste aree del pianeta causata proprio dai cambiamenti climatici), otteniamo gli scenari illustrati nella Tabella 1.



Come si vede, per ribaltare l’attuale egemonia delle fonti fossili non è sufficiente neanche un incremento annuo delle rinnovabili del 10%, che lascerebbe ancora una quota maggioritaria a petrolio, gas e carbone. La situazione invece si ribalterebbe con un aumento annuo del 12%, che farebbe lievitare le rinnovabili ai 2/3 del totale. La conferma che, nelle ipotesi date, il tasso di aumento del 10% è insufficiente a contenere il riscaldamento globale viene dall’elaborazione riassunta nella Tabella 2, nella quale sono riportate le presumibili variazioni delle emissioni di CO2 in funzione dei diversi tassi di crescita delle rinnovabili.


Secondo questo calcolo approssimativo, solo un incremento ininterrotto non inferiore al 12% annuo fino al 2050 può garantire una consistente riduzione delle emissioni in linea con quanto stimato nello scenario RCP2.6 dell’IPCC (quello che dà buone probabilità di contenere l’aumento delle temperature al 2100 sotto i 2°C), che infatti stima al 60% la quota necessaria di energia “low-carbon” al 2050.

Dobbiamo a questo punto interrogarci sulla reale fattibilità di un aumento, anno dopo anno per 35 anni, del 12% della quota rinnovabili non idroelettriche. Per la verità, il 12% è proprio l’aumento complessivo registrato nel 2014 rispetto al 2013 secondo le statistiche BP. E' possibile mantenere per tanto tempo un incremento così sostenuto? E’ facile comprendere che si tratta di un’impresa immane, che in assenza di innovazioni tecnologiche dirompenti richiederebbe la produzione e l’installazione forsennata di moduli fotovoltaici, pale eoliche e centrali solari termodinamiche per molti anni e in ogni angolo del globo (compatibilmente con l'insolazione e la ventosità). Anche con il massimo supporto politico possibile, che peraltro oggi non c'è, una crescita impetuosa di un singolo comparto industriale per un tempo così lungo presenta enormi ostacoli. Secondo l’ultimo rapporto della International Energy Agency (IEA), in assenza di forti stimoli politici ed economici è da attendersi un rallentamento dell’attuale trend di crescita delle rinnovabili sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti, a causa di persistenti barriere di accesso ai mercati, difficoltà di integrazione nelle reti elettriche, mancanza di incentivi adeguati e persistenza di sussidi alle fonti fossili. Va poi ricordato che quasi tutta l’espansione delle rinnovabili registrata finora si riferisce alla produzione di elettricità: i settori dei trasporti e del riscaldamento continuano ad essere dominati dalle fonti fossili, e tutto lascia pensare che lo saranno ancora per parecchi anni.

Oltre ad una certa stabilità economica (tutt’altro che garantita in tempi nei quali la volatilità dei mercati la fa da padrona e il rischio di un nuovo shock globale è dietro l'angolo), all'assenza di conflitti su vasta scala e ad una sufficiente tenuta degli equilibri ecologici fondamentali, il prerequisito fondamentale perché una scommessa così azzardata possa essere vinta è la disponibilità ancora per parecchi anni di energia a basso costo (per uscire dalle fonti fossili abbiamo bisogno delle fonti fossili, come è stato già spiegato in un precedente post), necessaria per la produzione di una mole imponente di dispositivi e impianti di energia rinnovabile e relative infrastrutture di supporto. L’attuale congiuntura che vede le quotazioni del greggio ai minimi da molti anni è una preziosa opportunità e deve costituire uno stimolo a potenziare gli sforzi produttivi. Lo scenario potrebbe mutare in peggio nel giro di pochi anni man mano che la disponibilità di giacimenti ad alto ERoEI andrà a scemare, e a quel punto tutto sarà più difficile e imprevedibile.

Lo sforzo collettivo della nuova generazione di giovani può cambiare il mondo. E’ già accaduto in passato e può accadere ancora. La missione assomiglia ad una nuova odissea, non nello spazio ma sulla Terra, dove però non ci sarà nessun misterioso monolite nero a guidarci. Se fallirà, sarà soprattutto a causa delle scelte sbagliate della nostra generazione, che non potrà mai perdonarsi di aver lasciato un pianeta così malridotto ai nostri figli.